Luoghi da abitare

Pomeriggio primaverile al lavoro. Le giornate si allungano ma io devo restare davanti al computer: sto lavorando al progetto per la costruzione della casa di un’amica di vecchissima data. 

Tempo addietro lei e la sorella hanno venduto la casa di famiglia ed è stato proprio grazie alla quota dei proventi di quella vendita che è stato possibile procedere con il progetto per la realizzazione della sua nuova abitazione. Me la ricordo ancora bene, quella casa. Per averci passato tanti dei pomeriggi della mia adolescenza. Mi ricordo bene la sua stanza, con le sue foto alle pareti, mi ricordo bene la cucina, dove ho assaggiato per la prima volta lo zenzero (all’epoca mi sembrò un sapore esotico), mi ricordo il soggiorno, che ci ospitava per i compleanni. 

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Ricevo una sua mail e, sul momento, mi aspetto un quesito di carattere tecnico, uno dei tanti su cui ci troviamo a riflettere in questo periodo. E invece l’argomento è un altro.

E’ stata contattata dall’acquirente della casa dei suoi genitori, che, credendo in buona fede di farle piacere, le ha inviato con orgoglio le foto scattate a seguito degli interventi di ristrutturazione. Un modo per renderla partecipe della fortunata trasformazione della casa in chiave contemporanea. 

Lei sembra smarrita. Mi chiede se io abbia voglia di vedere le foto per commentarle insieme. Ricevo i file e quando li apro riconosco gli spazi, ma non riconosco l’ambiente. Quello che vedo risponde ai canoni attualmente di moda: ambienti minimali, con prevalenza di bianco sulle superfici, linee pulite, forme semplici. Le foto sembrano scattate prima dell’ingresso degli abitanti, dato che non ci sono oggetti, quadri, personalizzazioni di alcun tipo.

Le chiedo che effetto le abbia fatto e come si senta. Mi risponde rassegnata che la sua casa di ragazza non esiste più. Lo dice come se si fosse, definitivamente e senza appello, chiuso un capitolo della sua vita; come se quella visione la obbligasse a fare i conti con il passato, con il distacco. Dalla se stessa di allora, dalla sua casa paterna, dalla sua città. Capisco il suo turbamento.

Non posso che confermare la sua sensazione, concordando che la casa che anch’io conoscevo non è in quelle fotografie. Tuttavia, se è vero che fisicamente non c’è più, la sua casa, intesa come luogo della memoria, esisterà sempre nei suoi ricordi. E nei miei. questo le dico, e lei mi ringrazia.

Serata d’estate di alcuni anni più tardi. Concerto di Gianna Nannini alla Fortezza Medicea. Gianna manca dalla sua città da tanto tempo, per la precisione da un meraviglioso concerto in piazza del Campo a cui ero presente (ricordo la sua energia dirompente, tanto che, presa dall’entusiasmo, si arrampicò sul ponteggio del palco e gli addetti alla sicurezza dovettero insistere perché scendesse). Racconta che, nonostante l’assenza prolungata, non ha dimenticato le sue origini e la sua città natale. Dice di essere tornata a casa, di cui mantiene tanti cari ricordi: “La memoria è un luogo da abitare”, sono le sue esatte parole. 

Tutti hanno un luogo del cuore, un luogo a cui tornare e in cui sentirsi a casa, anche se hanno girato il mondo o sono diventate famose.

E allora ripenso alla mia amica, e al fatto che la vita funziona per tutti allo stesso modo.

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