“Da questo fortino / opera di Baldassarre Peruzzi / le eroiche donne senesi / difesero nel glorioso assedio / la patria libertà // Gli Amici dei monumenti / posero / MCMXXVIII”: il testo della lapide dice già quasi tutto. La lapide naturalmente è quella posta sui resti del “fortino delle donne” in via Biagio di Montluc. Tale fortino fu realizzato effettivamente dal grande architetto Baldassarre Peruzzi (1481-1536), che fra l’altro abitava in Camollia. Infatti nel periodo 1527-1532 il Peruzzi realizzò, per conto della Repubblica di Siena, tutta una serie di opere di fortificazione alla cinta muraria, fortini, barbacani eccetera, il cui più conosciuto esempio è il fortino tuttora esistente presso porta Pispini. Il nome della struttura residua presso porta Camollia è invece dovuto al fatto che proprio in quel baluardo combatterono eroicamente le donne senesi nel 1554, durante il tragico e fatale assedio da parte delle truppe spagnole e fiorentine.
Quanto all’identità di chi pose la lapide commemorativa, ricordiamo che la Società senese degli amici dei monumenti fu fondata, nel gennaio 1903, dal giovane Fabio Bargagli Petrucci (all’epoca aveva 28 anni), che ne fu anche il presidente, mentre i suoi quattro consiglieri furono il conte Pietro Piccolomini Clementini, il canonico Vittorio Lusini, l’ingegner Pianigiani e il professor Eugenio Casanova. Riguardo all’ambiente circostante il fortino, non è un caso che la via antistante sia intitolata a Biagio di Montluc (1502-1577), il valoroso militare francese che seppe animare i senesi nella difesa della città, e che nei suoi “Commentaires”, libro di memorie che vanno dal 1521 al 1575, usò parole magnifiche per esaltare il coraggio proprio delle donne senesi nell’opporsi agli eserciti del potente imperatore Carlo V d’Absburgo (1500-1558). “Non sarà giammai, donne senesi – scriveva il Montluc – ch’io non immortali il vostro nome (…) perché invero voi siete degne di lode immortale, se mai degne ve ne furono. Al principio della bella risoluzione che questo popolo fece di difendere la sua libertà, tutte le donne della città di Siena si divisero in tre parti: la prima era condotta dalla signora Laudomia Forteguerri, ch’era vestita di color viola e tutte della compagnia che la seguivano erano del medesimo colore, avendo gli abiti alla guisa di ninfe, corti tanto che mostravano mezza la gamba. La seconda la conduceva Fausta Piccolomini, vestita di raso incarnatino e la sua compagnia era dell’istesso costume. La terza, Livia Fausti, tutta di bianco, siccome eran quelle che la seguivano con l’insegna bianca. E sulle loro insegne v’erano di belle imprese ed assai pagherei a ricordarmele. Questi tre squadroni si componevano di tremila donne, parte della nobiltà e parte del popolo”. Ed in altra parte dei “Commentaires”, il Montluc, ricordando quando era impegnato nella difesa di Roma, scrisse queste parole: “Piuttosto piglierei a difendere Siena con le sole donne senesi, che a difender Roma con i romani che al presente ci sono”.
L’eroismo delle donne senesi è ricordato anche, indirettamente, a proposito della fatale sconfitta dell’esercito senese, appoggiato dai francesi, contro le truppe imperiali a Marciano della Chiana del 2 agosto 1554. “I contadini di codesta contrada – scrive Piero Misciattelli – rievocano ancora nei versi di una dolorosa canzone le gesta di quella giornata di sangue. E risolcando i campi lungamente arati, cantano talvolta nei crepuscoli: “Meglio de’ vili cavalli di Franza / le nostre donne fecero provanza”.