“Una democrazia senza elettori non può vivere”

Post del 6 ottobre

Lasciamo pure che la Lega decida, si spera rapidamente, che cosa vuol fare della sua partecipazione al governo. Merita invece tornare sulla questione dell’astensione che alcuni tra voi, Aldo per primo, hanno giustamente segnalato nei commenti di ieri come uno degli aspetti fondamentali nel voto del fine settimana.

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Verso la fine della campagna elettorale mi sono trovato a fare un passaggio da Rivalta, Comune della cintura torinese, è lì davanti a un piatto consumato in rapidità ho chiacchierato con Federico Fornaro, attuale capogruppo di Leu alla Camera.

Ora, dovete sapere che Federico è uno studioso ed esperto di analisi dei flussi elettorali; se ne occupa da anni, ha scritto libri preziosi e il voto di domenica mi ha fatto ripensare a una spiegazione ricevuta da lui quel giorno.

Allora, diciamo che il corpo elettorale (i cittadini italiani) da tempo oramai si dividono in tre categorie, due più consistenti, una più contenuta nella percentuale.

Circa il 40 per cento degli elettori ogni volta che viene data loro l’opportunità, vale a dire a ogni elezione, escono di casa, si recano al seggio e votano: possono compiere scelte diverse a seconda del tipo di elezione (europee, politiche, regionali, amministrative) e dell’offerta che giudicano più credibile e convincente di volta in volta. Ma l’idea di astenersi da quel loro diritto non li sfiora nemmeno.

Poi c’è un 20 per cento circa composto da cittadini distanti dalle urne oramai da anni, talvolta da decenni; a queste persone non interessa il tipo di elezione, non si curano dell’offerta politica né dei candidati in campo, semplicemente hanno smesso di votare, a volte non l’hanno mai fatto, e nulla e nessuno (neppure l’arrivo dei marziani) potrà convincerli a rivedere questa loro convinzione profonda.

Infine esiste un altro 40 per cento (sempre a spanne, si capisce) che sceglie se uscire di casa e andare a votare a seconda del tipo di elezione, del tipo di offerta che trovano, della qualità dei candidati da scegliere. Definiamoli pure “astensionisti intermittenti“: non sono cittadini sedotti per forza dall’antipolitica o dal populismo (categorie in sé alquanto generiche), sono persone dotate di senno, senso critico, che non concedono più “a gratis“ la propria fiducia a questa o quella componente, schieramento, forza politica, candidatura. Dovessi trovare una definizione che ne restituisce il profilo, potrei battezzarli “elettori adulti”.

Se analizziamo i dati della partecipazione di domenica e lunedì, e soprattutto se ci poniamo da subito il tema di come battere la destra nelle urne del voto politico quando ci sarà, recuperare una quota significativa di questi elettori, motivandoli a una scelta di campo, diventa un elemento decisivo.

Però con la stessa onestà, dobbiamo riconoscere che questa azione di recupero non passerà da semplici slogan o appelli (soprattutto se rivolti nell’ultimo miglio della prossima campagna): serviranno coerenza, concretezza, e quel tratto di radicalità nelle proposte e nell’identità di un centrosinistra alternativo a ogni suggestione sovranista, che poi è il grande lavoro, la vera semina, da iniziare adesso dopo il risultato straordinario di questi giorni.

La verità?

Che una democrazia senza partiti fatica a funzionare.

Ma una democrazia senza elettori semplicemente non può vivere.

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