Non si è ancora posto il giusto rilievo alla proposta di Legge, la nr. 2328, presentata dal senatore Simone Bossi del Gruppo Lega-Salvini Premier e dal Partito Sardo D’Azione né all’iter avviato nei due rami del Parlamento per “Modifiche all’art. 40 della legge 28 Luglio 2016, nr 154 in materia di contrasto del bracconaggio ittico nelle acque interne”.
La proposta parte da un problema reale, la lotta contro i bracconieri e l’illegalità della pesca nei fiumi e nei laghi, ma tutta l’architrave del disegno di legge si concentra contro la pesca professionale: di fatto contro la piccola pesca artigianale.
Se fossero approvate le modifiche proposte la pesca professionale sarebbe tollerata solo nei laghi e nelle lagune costiere salmastre e vietata, salvo deroghe regionali, nei fiumi e canali.
Cosa avreste pensato se nell’allora “Impero in cui non tramontava mai il sole” Ferdinando II di Aragona, Isabella I di Castiglia, o Filippo II avessero promulgato un editto per combattere e contrastare la pirateria e i filibustieri vietando la navigazione alle navi spagnole, comprese quelle dell’Armada Invencible? Ad un autogol o ad una sorta di regio masochismo!
La logica potrebbe essere la stessa se ci proponessimo, ai tempi d’oggi, di rendere più incisiva la lotta contro le rapine nei negozi vietando l’attività ai gioiellieri, agli orologiai o alle tabaccherie.
Le normative per reprimere l’illegalità della pesca e il bracconaggio nelle acque interne ci sono e gli organismi preposti hanno in molti casi compiuto un buon lavoro: sono state infatti intercettate numerose attività illegali e arrestati i malviventi.
Certamente un rafforzamento di uomini e mezzi, un maggiore coordinamento tra vari organismi e il personale delle Regioni e dei Comuni non solo è necessario ma, soprattutto, indispensabile per garantire e migliorare il controllo e la repressione del crimine nelle acque interne.
Controllo e repressione che riguarda gli scarichi abusivi, l’assenza di depurazione dei rifiuti delle attività industriali, la pesca illegale, il bracconaggio.
Altra cosa se l’oggetto della proposta di legge fosse stato quello di proporre regole ancora più vincolanti per le attività di pesca professionale nelle acque interne o della pesca sportiva in mare. In mare, occorre sottolinearlo, proprio per la pesca sportiva, le normative sono quasi del tutto inesistenti e, purtroppo, nel mare continua il saccheggio delle risorse e un’attività illegale, in molti casi alimentata proprio da una parte della pesca ricreativa.
Il disegno di legge, al contrario, si indirizza contro l’esercizio di una attività che è lavoro professionale, arte, storia locale e turismo, garanzia per l’ambiente: si arriva a sostenere che la pesca professionale è lo scudo dietro il quale si nasconde e prolifera l’illegalità ed è la fonte principale e l’origine del bracconaggio ittico nei fiumi e nei laghi.
L’Alleanza Pesca, giustamente, ha posto un allarme: se il disegno si trasformasse malauguratamente in legge si creerebbe per davvero “un’illegalità mettendo all’indice chi da sempre pratica onestamente questo mestiere e che svolge una funzione di presidio in zone altrimenti abbandonate”. In mare, invece, moltissime imbarcazioni sportive sono spesso dotate di strumentazioni sofisticate ed invasive, assolutamente non consentite alla pesca professionale: quest’ultima, al contrario, è soggetta a normative rigidissime da parte del Parlamento Europeo. L’unica prescrizione corposa per i ricreativi è quella che limita la quantità di prelievi personali a 5 chilogrammi al giorno. Se a bordo di un’imbarcazione salgono 4 sportivi il prelievo sommato arriva però ai 20 kg e non ci sono limiti per il numero di canne usate.
L’Alleanza Pesca si augura che il legislatore rifletta imboccando una direzione diversa da quella voluta dai firmatari e proponenti e sostenuta, non casualmente, da una parte della pesca ricreativa: del resto si dice nel documento della cooperazione “è evidente l’aperto contrasto con i principi fondanti della nostra Costituzione”.
Le Regioni dovrebbero far sentire la propria contrarietà e svolgere, come la Regione Toscana ha saputo fare nel passato, un ruolo attivo e propositivo sul complesso della organizzazione e delle attività di pesca. Una considerazione particolare va prestata proprio a quella parte che costituisce la spina dorsale della marineria toscana: la piccola pesca artigianale, ovvero l’ottanta per cento dell’attuale flottiglia.
L’Onu attraverso il coinvolgimento della Fao ha dichiarato, con una cerimonia solenne svoltasi lo scorso Novembre, il 2022 Anno Internazionale della pesca artigianale e acquacoltura. Si tratta di valorizzare il contributo dei lavoratori ittici, riconoscendo il contributo positivo dato da questo settore al benessere umano, ai sistemi alimentari sani, ad un uso responsabile e sostenibile delle risorse ittiche e dell’acquacoltura. Il settore della piccola pesca, proseguono le motivazioni della Fao, contribuisce alla maggior parte della produzione mondiale assieme all’acquacoltura, al raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Proprio in rapporto a queste valutazioni e per le caratteristiche strutturali delle flottiglie toscane della piccola pesca si pone quindi il problema di un rinnovamento delle imbarcazioni.
Quest’ultime sono infatti vecchie, progettate diversi decenni fa, scarsamente adeguate alle nuove normative di sicurezza e alle esigenze moderne: quelle che hanno alla base una pesca ecosostenibile, lo sviluppo e la qualificazione di attività complementari come il pescaturismo. La sperimentazione e l’utilizzo, anche a livello di strumenti di pesca, di materiali non inquinanti ad impatto zero sull’ambiente marino deve essere introdotta: a partire dalle reti per finire con i mezzi di propulsione. La pesca artigianale è poi strettamente connessa con le vocazioni turistiche della costa toscana e dell’entroterra di fiumi e laghi e, meglio di ora, se aiutata in questa trasformazione ulteriore, potrebbe contribuire allo sviluppo dei territori, alla caratterizzazione dei brand culinari, ai circuiti solidali. Proprio per queste ragioni si potrebbero e si dovrebbero anticipare i futuri programmi europei finalizzando in questa direzione, fin da subito, le risorse del Feamp non utilizzate, che in Toscana sono oltre 600.000 euro.
Si tratterebbe di concentrare le risorse rimanenti su un obiettivo prioritario e non disperderle in mille rivoli: si agirebbe, in tal modo, sul fattore rinnovamento e qualificazione della flottiglia toscana. Un altro aspetto su cui Toscana, Liguria e Sardegna dovrebbero concentrarsi di più è quello del Piano di Gestione. La lettera scritta dagli assessori Agricoltura e Pesca delle tre regioni non è riuscita, almeno fino ad oggi, a smuovere il Ministero. Il Piano di Gestione coordinato tra le tre realtà istituzionali costituirebbe una significativa rivoluzione: ecco perché dovrebbe essere accelerata la sua definizione e approvazione sfuggendo dalla ragnatela della burocrazia, dei rinvii o, peggio ancora, delle opportunità politico-elettorali.
Da un’iniziativa legislativa sbagliata, negativa da bocciare e archiviare prima possibile, sarebbe opportuno e necessario far ripartire e riaprire un grande confronto sulla realtà della pesca professionale, su progetti che facciano compiere quel balzo in avanti a tutto il settore: qualità, assetto, regole condivise, rinnovamento e sviluppo, maggiore integrazione con i tessuti sciali ed economici locali.
L’attuale rialzo delle materie prime si somma ai provvedimenti europei di riduzione delle giornate di pesca. Quest’ultimi sono stati introdotti proseguendo una politica a senso unico che, priva di validi presupposti scientifici e di serie valutazioni sulla diversità delle realtà mediterranee, ritiene che la salvaguardia delle risorse ittiche si possa e si debba garantire solo ed esclusivamente riducendo le attività. Questi due dati negativi colpiscono anche il comparto dello strascico: i costi del carburante, infatti, sono schizzati di nuovo e stanno annullando completamente i ricavi delle attività dopo il periodo, certo non positivo e ancora non superato, di pandemia. Anche in questa direzione sarebbe opportuno attivare iniziative e utilizzare politiche calmieratrici o riconoscere ristori adeguati per evitare che le circa 100 imbarcazioni e imprese i pesca toscane siano costrette a chiudere i battenti. Insomma, per concludere: pirati, corsari, bracconieri, filibustieri non si combattono con regole alla rovescia ma con politiche di qualificazione, sviluppo, innovazione, con un rafforzamento delle professionalità e con il potenziamento delle attività di controllo vigilanza, coordinamento e repressione dell’illegalità. Far leva su un problema per favorire la componente dei ricreativi penalizzando i professionali è la riprova del nove: quando la politica segue gli interessi elettorali e di singole lobby finisce per perdere di vista l’interesse generale e fa danni, produce ulteriori contraddizioni e confusione.
Tra tanti e difficili problemi, emergenze di ogni tipo che dobbiamo affrontare in questo momento, dedicare del tempo prezioso per inseguire il populismo elettorale di un partito che individua nei pescatori professionali gli untori di fiumi e laghi, di fossi e canali: non mi pare davvero proficuo, nemmeno per il partito di Salvini, che ad ogni piè sospinto si dichiara alfiere e difensore dei lavoratori e dei più deboli.