E il dubbio che ci prende se c’è davvero bisogno di imbrattare la pietra serena
Cercando di camminare con lo sguardo verso la nostra bella città , per cercare una diversa coscienza dei luoghi, senza dimenticare strade e percorsi che non sono secondi a nessuno, oggi “Dalle quinte di Porta Tufi a casa”.
È un percorso che faccio tutti i giorni: casa, garage, casa. Strade, muri, pietre che sembrano conoscermi, che sento di conoscere, eppure qualcosa stona.
I grandi cartelli pieni di annunci e inviti sembrano dissolversi, si sfogliano. Le patinate pubblicità si mischiano, rendendo confusi i messaggi, i brand si sovrappongono come in una coperta rattoppata troppe volte.
La spessa coltre di fogli, accumulati e appiccicati, lascia ora intravedere la corrosa struttura mangiata da rosse macchie di ruggine. Un microcosmo da scenario post-atomico, da “the day after”. Un antico strumento di promozione che ora è divenuto improvvisamente obsoleto.
I brandelli di carta ciondolano strappati, mossi dall’alitare del vento. Forse rimuoverli e restituire luce alle antiche mura darebbe maggior dignità alle quinte di mattoni ferrigni che fiancheggiano la strada. Sarebbe una rivincita, un ritorno all’origine.
E che opera di pietà si farebbe rimuovendo i paletti neri e gialli che ci dovrebbero proteggere dagli indisciplinati automobilisti, che bucano i lacerti di una pietra serena di cui si è persa la memoria. Vorrei sparissero: non proteggono l’angusto marciapiede e danno solo senso di precarietà .
Quando arrivo al prato di Sant’Agostino lancio sempre un’occhiata alla grande facciata del ginnasio, splendidamente composta dall’Arch. Agostino Fantastici. Peccato scontrarsi con i cassonetti, con l’antico vespasiano forse l’ultimo rimasto a Siena.
Oggi, sbarcando sulle prime pietre che annunciano la piazzetta dei Fisiocritici, mi hanno anche infastidito le strisce bianche che simulano un percorso pedonale. Ho avuto un gesto di stizza: c’era proprio bisogno di imbrattare la pietra serena, in una zona pedonale dove le auto e i mezzi a motore dovrebbero camminare in punta di piedi e gli umani essere liberi di ammirare questi antichi luoghi?
Stento a capire in quali spazi dovremmo vivere: quelli reali che richiedono rispetto, cura e amore, o dei simulacri digitali che ricostituiscano la splendida architettura dei luoghi, lascito di chi con maniacale cura cercava la bellezza anche nelle più semplici delle cose?
La bellezza della nostra città è fatta di grandi, ma soprattutto di piccole cose, e mai riusciamo a metterci mano senza sciupare con poca coscienza di quello che abbiamo per le mani.
Per concludere, un lemma dal “Vocabolario di Architettura” di Agostino Fantastici 1806:
GUASTARE – Distruggere, demolire, o mutare in peggio la forma di qualunque casa.