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sabato, Novembre 23, 2024

Autonomia Differenziata: verso il referendum

La mobilitazione della Società civile: una firma per un’Italia unita, libera, giusta

Con questo slogan, semplice ma efficace, è partita la raccolta firme per abrogare la legge che spaccherebbe il Paese.

Dal 13 luglio è entrata in vigore la legge Calderoli sull’autonomia differenziata (legge n. 86 del 26 giugno 2024).

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Sono molte le organizzazioni della società civile, così come sindacati e partiti, che stanno promuovendo la raccolta delle firme per abrogare totalmente la legge con un Referendum popolare. Parliamo di realtà radicate nel Paese e con competenze molto variegate e diverse fra di loro.

Nonostante la calura vengono allestiti banchetti in tutta Italia e le prime risposte sembrano più che lusinghiere, sommata al dinamismo di alcuni Consigli regionali che stanno già approvando i quesiti referendari.

Firmare diviene importante anche come segnale ai recenti dati sull’astensionismo elettorale. C’entrerà poco direte voi ma credo che, oltre ad essere impegno civile e sociale, poter firmare per richiedere giustappunto questo referendum abrogativo è quasi un impegno morale!

Entrando più nel merito, in una materia è oltremodo complessa, allorquando si parla di competenze delicate come quelle tra Stato e Regioni, sembra folle permettere alle regioni di poter chiedere ed “amministrare” ben 23 materie (rapporti internazionali e con l’UE, commercio con l’estero, tutela e sicurezza sul lavoro, istruzione, tutela della salute, ordinamento sportivo, porti ed aeroporti civili, infrastrutture, energia ecc.). Non tanto e non solo per le regioni che attualmente soffrono situazioni complesse dal punto di vista della “sostenibilità” economica ma paradossalmente anche per le più “felici” dal punto di vista del bilancio! Nell’arco di poco tempo verrebbe imbastito un abominio istituzionale con 20 realtà solo all’apparenza autonome ma assai più povere e incapaci.

Già da tempo i Presidenti (non governatori come tanta vulgata vorrebbe) Zaia, Cirio e Fontana pretendevano dal Governo la “devolution” di materie prive degli ormai famigerati Lep (livelli essenzili delle prestazioni) come la Protezione civile ad esempio.

Questo passaggio in realtà si colloca su un lungo e travagliato percorso nella storia del nostro Paese, un percorso che volle le regioni già in Costituzione ma che le vide nascere dopo anni (al netto della realizzazione di quelle a Statuto speciale che tante disparità hanno innescato e mantenuto) e che le vide evolvere con la poco lungimirante riforma Bassanini.

Nel grande dibattito sulle continue e profonde riforme di cui l’Italia avrebbe necessità si è parlato sovente di “autonomia”, con la Calderoli – persona che in merito a leggi incredibilmente nocive è molto competente – si registrerebbe però un caos di non poco conto.

A mero titolo d’esempio, concedere competenza legislativa su salute e sicurezza permetterebbe a ogni regione di agire nel campo dell’ispezione e della prevenzione al ribasso. Non passa giorno che la cronaca ci renda conto delle morti “bianche”, la situazione potrebbe davvero collassare.

Delirante sarebbe poi poter contare su programmi scolastici fortemente difformi, devastando le radici culturali del Paese e facendo crescere generazioni di persone in una cornice “provinciale” e incapace di dialogare con la modernità del mondo.

Aumenterebbero poi, ed è la questione più seguita e dibattuta in ambito locale e nazionale, le disparità sanitarie col forte rischio che le regioni con maggiori risorse potranno curare e le altre no. Connesso a questo pure la paura di un tramonto definitivo del SSN che, pur con limiti, pecche e scandali, nel corso degli ultimi 45 anni qualche risultato d’eccellenza ha comunque garantito all’Italia.

Anche soltanto con la pandemia si è capito come fosse necessario investire su una capillare “riattivazione” della sanità territoriale, l’Autonomia differenziata potrebbe chiudere definitivamente una stagione di innovazione ed aprire la porta ad una privatizzazione della salute a tappeto.

Senza dilungarsi poi sui temi della tassazione progressiva e del welfare pubblico poiché la destra al governo è del tutto contraria ai principi di solidarietà e di redistribuzione del reddito che dovrebbero animare un Paese coeso ed energico. Il fatto poi che, oltre alle competenze, le regioni possano trattenere il residuo fiscale, non essendo esso più distribuito su scala nazionale a seconda del bisogno collettivo, ci fa capire la levata di scudi, giusta e generosa di tante sigle sindacali, su tutte la Cgil.

Pensare quindi, dopo un quarto di secolo del nuovo millennio, un’Italia degli stati regionali come si studiava per gli esami di Storia moderna è del tutto follia. Non perché il mondo post globalizzato sia il migliore, ci mancherebbe, ma perché ci estranierebbe completamente da un’ottica di competitività.

Unito ai temi economici, a braccetto, quello sulle politiche ambientali, quanto mai attuale. La sfida della deteriore evoluzione climatica o la si affronta insieme, coniugandola magari con la sostenibilità economica per la parte delle fasce di popolazione più povere, o è già persa!

Va da sé che la politica, e penso ai partiti di centrosinistra in primis, deve comunque lavorare affinché si modernizzi il Paese e si superino gli individualismi che tanto male gli hanno fatto, in primis dando il via allo stesso odio antipartitico.

La coesione raggiunta dai promotori del referendum venga quindi riassorbita in una piattaforma che tenga unita anche la società civile, senza un progetto di lungo respiro sarà comunque difficile avere un’Italia più giusta, libera e soprattutto unita.

Fra le tantissime cose ne ho citate, confusamente e distrattamente, poche. Ma reputo già che con queste parole si possa positivamente giustificare la nostra firma, o sui moduli o online.

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