Ovvero: leggere un libro e interpretarlo come un invito alla riflessione
Che dire de “I secoli di Siena” di Alessandro Orlandini? Nella prefazione, Gabriella Piccinni gli assegna un ruolo non da poco, perlomeno per i senesi che leggono il libro: contribuire a sbrogliare gli ingarbugliati fili della propria storia recente.
Di più, se, i senesi di oggi riuscissero a leggere il filo rosso che lega la lettura storica che l’autore propone potrebbero trarne l’ispirazione per progetti innovativi e magari un colpo di genio collettivo.
Dunque il libro andrebbe, va, letto tutto. Ma mani e occhi scorrono sulle ultime sedici pagine. Non che il resto non sia interessante, le ultime pagine, sono però quelle in cui l’autore navigando sul filo della storia giornalistica, e della memoria, affronta e risolve la narrazione della storia recente della città. Mettendole in collegamento con la prima parte, assai più lunga, con un’impostazione storiografica classica.
Una particolare narrazione. Il tentativo di proporre una ricostruzione storica della vicenda cittadina legata alla crescita senza precedenti della sua Banca e al suo rovinare precipitosamente.
E’ però subito chiaro che l’autore ha una sua particolare visione. Come se non riuscisse ad astrarsi dal proprio vissuto. Si, perché a suo modo è anch’egli un protagonista. Certo non un montepaschino e neppure un banchiere. Come tanti lo erano. E tanti ora non lo sono più. Montepaschini, molti meno e sicuramente molti, molti meno banchieri.
Ma torniamo al nostro Autore, era anche un protagonista, sì. Impegnato in politica e amministratore pubblico. Certo, professore e giornalista. E quindi un osservatore attento. Questo fatto non toglie nulla, anzi, aggiunge.
Si parte dall’affermazione che dal 1973 con Mazzoni della Stella si apre la sequenza dei sindaci di provenienza montepaschina. Lo si inserisce in un contesto di un’inedita disponibilità dei bancari a partecipare alla vita pubblica e non soltanto in politica. Provenienti da esperienze sindacali. Segnala subito questa particolarità. Su cui tornerà più volte. Segnalando in particolare il peso forte (egemonico? verrebbe da dire, ma non usa questo termine, Gramsci non è nelle sue corde) del sindacato Fisac-Cgil.
Ma è davvero così? Nessuno proveniente dalla Fisac si è mai seduto al tavolo del CDA della Banca e neppure della Fondazione. A parte Vittorio Mazzoni della Stella – ma era preistoria – il dato è questo. Il resto è una ricostruzione giornalistica convincente quanto non corrispondente a esatta ricostruzione.
Il secondo elemento che Orlandini mette in luce come la discussione su Fondazione e Banca abbia costantemente al centro il tema della senesità e del “modello siena”.
I fatti ci sono tutti. Il punto, ma è una nostra impressione che tutta la storia si faccia ruotare attorno al Pci-Pds-Ds-Pd. Con una visione un po’ troppo partitocentrica che taglia e toglie tutta la dialettica istituzionale e lascia ad esempio in secondo piano il ruolo della Fondazione.
E’ poi, mettiamola così, è una ricostruzione così veloce che non si capisce bene perché i senesi decidano prima con De Mossi e poi con la Fabio di operare una cesura storica. E neppure perché questa cesura storica venga imputata tutta in capo alla vicenda Banca?
Chi è venuto con e dopo le “rottamazioni” non ha responsabilità del disastro politico del Pd?
Oltre a questo, dovremmo anche fermarci sul tema se davvero le indagini e i processi non hanno fornito nulla alla storia? Agli appetiti di sangue sicuramente no, ma al senso di giustizia? Attenzione è possibile che questo corno del problema sia un capitolo tutt’altro che risolto con le assoluzioni nei processi. Prima o poi una discussione dovrà essere fatta.
E poi, per scrivere una storia di quegli anni, come tutte le storie c’è bisogno delle fonti. Di più fonti. Ma questa carenza non può essere imputata all’autore.
Difficile capire bene senza poter leggere ad esempio i verbali, del periodo, della Fondazione o della Banca. Anche se sono portato a pensare che non saranno mai disponibili. Qualcuno in una commissione del consiglio comunale qualche anno fa lo aveva proposto ma restò inascoltato. Ma il nodo di allargare le fonti resta. Anche se mi limito a segnalarlo, considerando che non sono e non sarò uno storico.
Detto questo, con rapidi flash, il nostro è un modesto invito intanto alla lettura, sicuri che il lavoro di Orlandini sia un punto di partenza; che anche altri protagonisti avranno voglia e tempo di tirare fuori carta e penna il e proporre qualche lettura ulteriore, per arricchire il quadro. E magari qualche storico allargherà la ricerca.
Se elaborazione del lutto deve essere, in tanti dovranno partecipare alla veglia. Si tratterà probabilmente di capire gli anni ’90 e poi gli anni dopo la crisi globale del 2008. E gli intrecci e stravolgimenti tra prima e seconda repubblica e il loro riverbero su Banca, Fondazione e istituzioni locali.
Se poi volessimo davvero trarne insegnamenti per il futuro, bisogna essere consapevoli che quella pagina è tutta da scrivere.
Ivano Zeppi