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venerdì, Novembre 22, 2024

Ogni atleta ha un suo blocco

A “bordo Olimpiade”, Stefano Bartoli, colligiano, spiega il suo lavoro di mental coaching

I riflettori del mondo intero sono accesi su Parigi, la Tour Eiffel, la Senna ai limiti della balneabilità e su uno stuolo di atleti ed atlete che ogni giorno gareggiano su passerelle, piste, campi e piscine. Ma dietro a tutto questo “splendore sportivo” delle Olimpiadi di Parigi 2024 c’è dell’altro.

Un altro mondo, molto meno visibile ed appariscente, ma altrettanto importante ai fini del risultato sportivo e della preparazione degli atleti, che esattamente come macchine da corsa, hanno bisogno di “manodopera specializzata” per essere performanti nel momento in cui la performance deve raggiungere il picco massimo per competere nella gara.

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Per fare questo ci si affida a varie figure professionali. Specialisti del lavoro tecnico e fisico, dell’alimentazione e della mente. E proprio su quest’ultimo aspetto ci vogliamo concentrare, per capire cosa c’è dietro alla preparazione mentale di un atleta olimpionico.

Ne parliamo con il dott. Stefano Bartoli (foto), originario di Colle di val d’Elsa, psicologo, psicoterapeuta, direttore operativo del Centro di Terapia Strategica e Coach, specializzato nella Terapia Breve Strategica e nella Scienza della Performance del Professor Giorgio Nardone e che in questi giorni probabilmente sarà a Parigi a seguire da vicino le gare degli atleti che con lui hanno iniziato un percorso di allenamento di tutto quello che attiene alla sfera della preparazione mentale.

Dottor Bartoli, partiamo dall’inizio. Perché un atleta di successo decide di rivolgersi a uno psicologo dello sport per migliorare le proprie performance?

“Gli atleti, e più in generale il mondo dello sport, hanno riscoperto una saggezza antica: quella che afferma che, per vincere o avere successo, è necessario un supporto completo, un vero e proprio entourage. Se da un punto di vista fisico questo è da tempo scontato, basti pensare che ogni atleta professionista dovrebbe avere un nutrizionista e un preparatore atletico dedicato, di recente si è compreso quanto sia fondamentale lavorare anche su altri aspetti, come quelli psicologici ed emotivi”.

“Negli ultimi anni – continua Bartoli -, ci siamo resi conto che, anche se un atleta è al massimo della forma fisica e possiede abilità tecniche eccellenti, tutto ciò rischia di essere vanificato durante la performance se non è in grado di gestire adeguatamente le proprie emozioni. Questo concetto è da sempre noto, ad esempio, nelle arti marziali, dalle quali io provengo, dove la gestione delle emozioni è parte integrante dell’allenamento. Pertanto, possiamo dire che, per quanto riguarda l’aspetto dell’allenamento mentale, l’innovazione consiste nel riscoprire insegnamenti antichi”.

Lei segue da anni squadre e atleti, alcuni dei quali sono impegnati nelle Olimpiadi. Ci può illustrare il percorso che solitamente segue con atleti di tale livello?

“Il percorso e le tecniche della Terapia Breve Strategica e delle Scienze della Performance, sviluppate grazie al lavoro del mio maestro, il professor Giorgio Nardone, si articolano su tre livelli. Il primo livello è tecnico: consiste nel trovare la strategia più efficace ed efficiente per raggiungere l’obiettivo concordato. Il secondo livello è centrato sulla comunicazione tra il professionista e l’atleta; non basta solo individuare la strategia giusta, ma è fondamentale saperla comunicare efficacemente. Infine, il terzo livello riguarda la relazione che si instaura tra il coach e l’atleta. Questi tre aspetti permettono di sviluppare un lavoro professionale completo. Trovare la strategia adeguata, modulare la comunicazione e instaurare una relazione di fiducia reciproca, che consenta all’atleta di affidarsi con serenità, rappresentano la formula per un lavoro di alta qualità”.

Quali sono i blocchi mentali su cui si trova più spesso a lavorare con gli atleti di alto livello?

“Ogni atleta ha i propri blocchi mentali. Un blocco comune, che riscontriamo frequentemente, è legato all’eccesso di volontà di eseguire una prestazione perfetta, ovvero al tentativo cosciente di controllare ogni gesto tecnico. Questo può sembrare paradossale, poiché secondo una logica comune, se non ti concentri sul gesto tecnico non riuscirai a eseguirlo correttamente; in realtà, non è così. Se un atleta si focalizza troppo su quali muscoli contrarre, dove appoggiare il piede o come muovere il braccio, rischia di bloccarsi. È un po’ come la storia del millepiedi che, quando gli viene chiesto come riesce a camminare con così tanti piedi, si blocca nel tentativo di razionalizzare ogni movimento. Il paradosso è che questo blocco deriva da un eccesso di controllo del movimento stesso, finalizzato al desiderio di eseguirlo alla perfezione”.

“Quando un atleta è in una fase di alta prestazione – aggiunge -, entra automaticamente in uno stato di grazia o trance performativa, che gli consente di muoversi senza dover razionalizzare ogni gesto. Pensiamo ai ballerini: se si concentrassero esclusivamente sui movimenti tecnici, senza lasciarsi trasportare dalla musica, non ballerebbero in maniera armoniosa. Dando per scontata una preparazione tecnica adeguata, si lavora quindi con l’atleta per farlo muovere liberamente, lasciandosi andare in una trance performativa che gli consenta di superare i propri limiti. Un altro blocco riguarda la gestione delle emozioni prima e durante la gara. Spesso, l’attivazione emotiva è adeguata, ma se supera una certa soglia, si rischia il blocco. In questi casi, lavoriamo per trasformare, ad esempio, la paura in coraggio”.

Come sta seguendo i suoi atleti in questa fase di gare?

“Ogni atleta ha un proprio mondo e necessita di un approccio differente. Alcuni atleti richiedono un lavoro mirato sulle loro fragilità personali, altri invece sulla preparazione specifica per la gara. Ci sono anche atleti che hanno bisogno di tecniche per raggiungere rapidamente uno stato di alta prestazione, e in questi casi utilizziamo tecniche ipnotiche. Ogni percorso è sartoriale, cucito su misura per l’atleta. Pensare che questo lavoro possa essere standardizzato per tutti è un grave errore, tipico di chi non conosce bene il settore. Ciò che funziona con una persona potrebbe non funzionare con un’altra, quindi è fondamentale che il professionista trovi la strada giusta per raggiungere l’obiettivo, lavorando con le caratteristiche specifiche dell’atleta”.

In un mondo dove sembra esserci molta improvvisazione, lavorare con la mente delle persone è assai complesso. È corretto?

“L’essere umano è complesso. Così come è complesso lavorare con il corpo, lo è anche con la mente. Per spiegare questo concetto possiamo usare la metafora del diamante prezioso da intagliare. L’atleta è come un diamante: l’abilità non sta nel colpirlo con forza, ma nel saper incidere le forme giuste nel modo giusto, affinché la pietra preziosa possa brillare in tutto il suo splendore”.

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