Il Diritto universale all’assistenza sanitaria e la Sanità pubblica sono una grande conquista di civiltà.
La stessa sanità privata non esisterebbe senza una sanità pubblica. Va detto, senza se e senza ma. Ma non è questo il punto. Non c’è da smantellare.
Caso mai da rafforzare. Rivedere. Riformare, se possiamo usare questa parola. Perché con le trasformazioni sociali in atto qualcosa non funziona più.
Non sono soltanto problemi di previsione e di programmazione che, pure, ci sono. Come la carenza di personale sanitario medico e infermieristico evidenziano. O problemi organizzativi come le difficoltà di “tracciamento” hanno evidenziato.
Qualcosa si è rotto con l’invecchiamento della popolazione e la sua longevità, e con il tema delle malattie croniche. Troppe le storie di anziani che vengono sballottati da un ospedale ad un altro, alla ricerca di una specializzazione o di un posto letto in comunità.
E non c’entra il Covid. Il Covid semmai ha messo in luce ed esasperato i canali interrotti tra sanità territoriale e sanità ospedaliera. Ma i tappi preesistevano.
Ora sono tanti nodi che vengono al pettine. Anche a seguito dello stress che la pandemia ha provocato ad operatori e alle strutture. Dal ruolo dei medici di famiglia, al diritto ad una morte dignitosa quando è solo l’accanimento terapeutico a tenerti in vita. Al ripensamento dell’ospedale come un centro di specializzazione con attività complesse in sinergia tra loro.
Forse troppe cose da ripensare con la pandemia non ancora definitivamente alle spalle.
C’è un punto su cui bisogna dirsi la verità per quanto scomoda possa essere. La sanità attuale ha perso (smarrito?) l’obiettivo di fondo: mettere al centro il malato. L’uomo, la donna… che ha bisogno di cure. E non “semplicemente” la malattia e i sintomi su cui intervenire.
L’organizzazione e la logistica andrebbero orientate su nuovi obiettivi. Costa troppo?
Probabilmente, a scandagliare, troveremmo cose esistenti che non funzionano, oppure duplicazioni realizzate senza una vera ragione ma solo per “accontentare” qualche insoddisfazione o qualche buon proposito. E poi, le risorse alla sanità arriveranno.
Probabilmente le nuove tecnologie potrebbero venirci davvero in soccorso con forme di monitoraggio e con la ricostruzione del quadro clinico del malato oggi affidato nei fatti alla famiglia – e gli anziani soli? – e alla buona volontà dei medici di base, oltra alla lettura improbabile di raccolte di documenti e referti.
Ma non possiamo affidarci solo alla tecnologia. Avremo bisogno di una nuova leva di operatori sanitari. E anche di una nuova leva di dirigenti della Sanità pubblica.
La verità è che ci sarebbe bisogno di un nuovo movimento di cittadini per una nuova riforma sanitaria. O no? Altrimenti il rischio è che i soldi alla sanità arrivino e tanti, ma che vengano “semplicemente” spesi per opere pur meritorie di manutenzione o abbellimento dell’esistente ma senza una visione prospettica del futuro.
Per non parlare di cose delle quali non abbiamo ancora evidenza scientifica: da quanto dovremo convivere con la pandemia a quali eredità sanitarie il Covid si lascerà alle spalle.
Ecco, quello che non è possibile sentire è che va tutto bene “madama la marchesa”; e che tutto è stato previsto… tutti i protocolli sono stati rispettati, peccato che il paziente è morto.
Per nostra fortuna questo approccio non appartiene all’assessore alla Salute della nostra regione Simone Bezzini.