Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Renzo Ponzecchi…
Inizio questo intervento riportando quello che il geografo Strabone (storico e geografo greco, nato ad Amasia, città del Ponto, poco prima del 60 a. C. ) scrisse relativamente alla visione urbanistica degli antichi Romani: «Mentre i greci consideravano di aver raggiunto la perfezione con la fondazione di città, preoccupandosi della loro bellezza, della sicurezza, dei porti e delle risorse naturali del paese, i Romani pensarono soprattutto a quello che i Greci avevano trascurato: il pavimentare le strade, l’incanalare le acque, il costruire fogne che potessero evacuare nel Tevere tutti i rifiuti della città. Selciarono le vie che percorrevano tutti i territori, tagliando colline e colmando cavità, in modo che i carri potessero raccogliere le mercanzie provenienti dalle imbarcazioni; le fogne coperte con volte fatte di blocchi uniformi, a volte lasciano il passaggio a vie percorribili con carri di fieno. Tanta è poi l’acqua che gli acquedotti portano, da far scorrere interi fiumi attraverso la città ed i condotti sotterranei, tanto che ogni casa ha cisterne e fontane abbondanti, grazie soprattutto al gran lavoro e cura di Marco Vipsanio Agrippa, il quale abbellì Roma anche con molte altre costruzioni. Inoltre le città si distinguono per la presenza di anfiteatri e terme».
Tutte le opere infrastrutturali da loro create portarono la crescita di territori che fino ad allora ne erano completamente privi. Assicurando traffici commerciali con importanti benefici economici. Strabone sottolinea come le “…le città si distinguono per la presenza di anfiteatri e terme” Ritroviamo tuttora in tante città europee le opere di urbanizzazione, luoghi monumentali e ludici dell’Impero Romano. Un esempio illuminante di gestione e sviluppo del territorio.
Nel medioevo la cultura urbana è basata sulla città autosufficiente con un visione esclusivamente rurale del territorio. La città medievale si presentava come entità autonoma, circoscritta da mura, inserita in un particolare paesaggio agricolo e ben riconoscibile da lontano per il profilo di torri, tetti e guglie che la sintetizza come simbolo collettivo, in cui si identificano tutti i cittadini. Anche grandi realtà come le città di Firenze dei guelfi e dei ghibellini dovettero aspettare i Medici per una idea di sviluppo dei territori. La decaduta Milano dei Visconti fu rivalorizzata da Francesco Sforza. Un esempio di espansione urbanistica viene espressa da Venezia nel XIII secolo e nei primi decenni del secolo successivo. Grandi bonifiche avevano trasformato la città mostrando una grande intelligenza politica, creando terre vivibili strappate alle paludi. La sua grandezza nasce anche da questa visione urbanistica. A partire dalla rivoluzione industriale tutta l’urbanistica subisce una radicale trasformazione.
Due i processi che segnarono un profondo cambiamento delle città e dei territori. Masse di popolazioni abbandonarono le campagne in cerca di condizioni storiche ed economiche migliori. Secondo, questa imponente migrazione determinò una rapida espansione degli spazi urbani. E’ interessante conoscere quello che nel 1845 Friedrich Engel scrisse nel libro «La situazione della classe operaia in Inghilterra». Giuseppe Scandurra le riporta nel pregevole testo “ Passeggiando con Engels alla scoperta della città moderna”:“La grande città moderna sarà infatti per Engels la conseguenza della nascita dei grandi stabilimenti industriali che allora richiedevano molti operai i quali dovevano lavorare insieme in un solo edificio e, di conseguenza, abitare insieme. Gli operai e le operaie avevano però i loro dei bisogni, scrive lo studioso tedesco, e per soddisfarli saranno necessario l’arrivo da fuori di altre persone con differenti competenze: artigiani, sarti, calzolai, formai, muratori e falegnami ecc. In questo modo dai villaggi nasceranno piccole città che andranno sempre più ingrandendosi. Queste, inoltre, saranno sempre più collegate tra loro, quasi a formare un unico distretto industriale: da una parte grazie alle prime ferrovie che collegheranno, per esempio, Liverpool a Manchester (1830), dall’altra in virtù delle nuove strade ferrate che metteranno in connessione Londra con Southampton, Brighton, Dover ecc.”
L’evoluzione urbanistica di queste città dove le grandi industrie, ormai scomparse, è stata importante. Prendiamo per esempio Manchester. Negli anni, con la crisi delle industrie, molti dei vecchi magazzini sono stati riconvertiti in appartamenti e le sue aree più decadenti sono state valorizzate da opere di street art. Trasformata in meta culturale – vero e proprio museo all’aperto di architettura industriale – ha dato vita a un movimento dal nome suggestivo, City of Trees. Inoltre è molto attivo il mondo digitale che fa della Manchester una Smartcity. Pianificazione e sviluppo urbano ha nella rigenerazione degli spazi periferici e urbani uno strumento che porta a nuove soluzioni residenziali, direzionali, culturali, spazi di innovazione tecnologica.
Torino, città legata al nome della Fiat e delle altre imprese del settore manifatturiero avviate al suo interno durante il Novecento, negli anni Novanta la città intraprende un processo di trasformazione che la porta a cambiare il suo profilo e la sua identità, investendo sempre di più nella ricerca, nell’innovazione, nella formazione e, soprattutto, nel turismo e nella cultura. Molti spazi industriali vengono riqualificati dal settore pubblico, altri sono rifunzionalizzati su iniziativa privata. Mi permetto di fare alcuni esempi di riconversione di spazi in aree urbane e periferiche create in Italia. La città di Novara si è presa una porzione dell’ex caserma Passalacqua e ha trasformato un luogo chiuso in spazio aperto, “Nòva” prima punto di aggregazione per i giovani, poi «hub di innovazione sodale» con spazi per studenti e laboratori di arte, sartoria e fotografia, innovazione tecnologica e digitale. Volterra, con il progetto di un teatro stabile dentro il carcere: primo al mondo. Bari, siamo nel quartiere San Paolo, storia di isolamento che produce degrado e malavita. Il riscatto parte dal metrò e si completa con «San Paolo 2030», rigenerazione in QM, Quartiere Museo. La «Musealizzazione urbana» parte da un coinvolgimento della cittadinanza e della sua arte popolare, infine ha portato in questo museo all’aperto 15 murales realizzati da artisti di calibro internazionale.
La rigenerazione della Necchi a Pavia, 11 ettari di territorio e aree dismesse nel cuore della città storica. L’ex Manifattura Tabacchi a Verona, riconversione urbanistica promossa dagli imprenditori Hager e Signoretti che collega la città al quartiere fieristico passando per la futura stazione dell’alta velocità. Il Parco abitato di San Liberale a Treviso, rigenerazione urbana e sociale che ricuce il tessuto del quartiere con spazi limitrofi e centro. Tutto nasce dall’associazione Mecenate 90 che presentò a Roma i progetti di rigenerazione urbana a matrice culturale. Prato, la “città fabbrica”. Come nel panno che ancora produce, il tessuto urbanistico era ordito dalla residenza e tramato con opifici, rifinizioni, tessiture, filature ecct….. Questa era la “mixitè”. La crisi ha colpito duramente il distretto tessile. L’opera di rigenerazione urbanistica dei luoghi dismessi dall’industria ha seguito tre strade. Una, di semplice sostituzione della produzione tessile con il settore confezionistico che produce numeri impressionanti per volumi e risorse economiche e in minima parte in attività commerciali. L’altra una serie di generose opere di abbattimento dei vecchi locali per far spazio a nuove costruzioni residenziali/direzionali. Per ultimo, il recupero di ex fabbriche, ridisegnando così nuove funzioni sociali e ricreative. Fra i tanti interventi fatti emergono la Biblioteca Lazzerini e il Museo del Tessuto, nati con una intelligente rigenerazione di spazi precedentemente utilizzati da una grande industria tessile nel centro della città. Ottimi interventi di recupero sono stati fatti da privati nella parte suburbana (zona vecchio ospedale) della città, rilevando vecchi capannoni e creando ristoranti, discoteche e luoghi di ritrovo. L’attenzione a ricreare nuove funzioni non si è limitata agli spazi produttivi dismessi. L’esempio di “Officina Giovani”: stazione di servizi e spazi a disposizione dei giovani della città ha sostituito i vecchi macelli comunali. Altra ex fabbrica acquistata dal comune di Prato è diventata il terzo centro polifunzionale “Prisma” (Prato Industrial Smart Accelerator) a beneficio della città e del suo tessuto produttivo. Esiste un’area startup e coworking a sostegno dell’attività giovanile. Il riuso e la valorizzazione di beni pubblici e privati per fini ludici e culturali promuovono relazioni sociali all’interno delle città. Relazioni che devono stimolare le amministrazioni locali a coinvolgere i cittadini ad assumere un ruolo attivo e consapevole nella cura della «cosa pubblica».
Renzo Ponzecchi