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venerdì, Ottobre 4, 2024

Attenzione, la crozza racconta

” Vitti ‘na crozza supra nu cannuni, fui curiosu e ci vosi spiare, idda m’arrispundiu cu’ gran duluri, muriri senza tocco di campani … “
Qualche soldo in più non è che ti cambi la vita, magari però un aiutino (vedi glossario Bonolis) te lo dà. È probabile che questa sia stata la reazione di Franco Lì Causi allorché nel 1979 la solerte SIAE gli riconobbe la paternità creata sopra un testo tanto antico quanto sconosciuto. La storia parte (Mario Riva avrebbe piazzato qui volentieri il suo “nientepopodimenochè “) dal mai abbastanza rimpianto Pietro Germi che cercava la canzone adatta per l’apertura del suo “Il cammino della speranza”. Lì Causi musicò il testo anonimo sullo stile dei canti di lavoro nelle piantagioni di cotone, dove i colore lo raccoglievano per i padroni dalla pelle chiara, sfoggiando (si fa per dire) al termine di ogni giornata mani martirizzate da un esercito di spine. In Trinacria, invece, il martirio avveniva nelle miniere di zolfo, dove si sgobbava e si moriva in giovane età. Nel corso di un viaggio a puntate nella “sua” Sicilia, la scrittrice Simonetta Agnello Hornby ha detto che se avesse dovuto recriminare qualcosa riguardo la sua famiglia, sarebbe stato il fatto di essere proprietaria di una miniera di zolfo. Tornando a “Vitti ‘na crozza” (la prima incisione è del 1951) , questa “ballad” di casa nostra sfrutta la confessione di una crozza ovvero di un teschio, che racconta l’esistenza dura e amara degli zolfatari. Che se per caso restavano sepolti da una frana non potevano avere “cristiana sepoltura” o il “tocco di una campana”, visto che la democratica Chiesa considerava il sottosuolo e lo zolfo…simboli del demonio !

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