Intervista all’architetto Valerio Barberis prossimo ospite del convegno senese del 3 dicembre “Dalle Valli Verdi alla Forest City”
L’Architetto Valerio Barberis è una figura di spicco nell’ambito dell’urbanistica e dell’architettura sostenibile. Laureato in Progettazione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura di Firenze nel 1995, ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2004. Dal 2005, è docente in Progettazione Architettonica presso lo stesso ateneo. Nel 2000 ha co-fondato il collettivo MDU Architetti, contribuendo a numerosi progetti innovativi. Tra il 2014 e il 2019, ha ricoperto il ruolo di Assessore all’Urbanistica, Opere Pubbliche, Patrimonio, Grandi Opere e Centro Storico del Comune di Prato. Dal 2019 ha assunto ulteriori deleghe, diventando Assessore all’Urbanistica, Ambiente, Economia Circolare e Coordinamento della Triennale delle Opere Pubbliche.
Uno dei suoi progetti più significativi è “Prato Urban Jungle“, un ambizioso piano di forestazione urbana sviluppato in collaborazione con il botanico Stefano Mancuso e l’architetto Stefano Boeri. Il progetto mira a trasformare Prato in un modello di sostenibilità ambientale integrando il verde urbano. Nel 2019 ha co-pubblicato il libro Prato Fabbrica Natura, che sintetizza le strategie innovative di rigenerazione urbana e economia circolare adottate dal Comune di Prato. L’Architetto Barberis è riconosciuto per il suo impegno nel promuovere una visione integrata dell’urbanistica, coniugando sostenibilità ambientale, innovazione e partecipazione comunitaria.
Buongiorno architetto Barberis, il 3 dicembre si svolgerà a Siena il convegno Dalla città delle “valli verdi” alla Forest City, dove lei sarà oratore. Qual è la visione del Comune di Prato in termini di riforestazione urbana e quali obiettivi intendete raggiungere nel breve e lungo periodo?
“Il percorso seguito è stato lungo e ha richiesto molto tempo. Si è trattato di un avvicinamento progressivo alla consapevolezza del ruolo della natura in città. Abbiamo iniziato a parlarne nel 2015, durante la redazione del nuovo Piano Operativo, grazie a un’intuizione degli uffici comunali. Questi incaricarono una startup e un laboratorio di ricerca per valutare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute umana. All’epoca, nel 2015, sembrava un tema particolarmente innovativo. I ricercatori condussero indagini sulle isole di calore, utilizzando metodi che oggi potremmo definire quasi artigianali. Tuttavia, i risultati furono chiari: evidenziarono danni significativi, soprattutto per la popolazione over 65, anche in termini di mortalità. Questo ci portò a introdurre la tematica nel Piano Operativo, inserendola inizialmente nel capitolo sull’Ambiente e l’Agricoltura. Il tema ambientale emerse con forza durante i tavoli di partecipazione, con particolare attenzione alle aree non costruite. Tra il 2016 e il 2017, questo ci spinse a introdurre il tema della forestazione urbana, coinvolgendo specialisti come il Dott. Stefano Mancuso e l’Arch. Stefano Boeri. (ndr: Stefano Mancuso è un botanico e scienziato della neurobiologia vegetale; Stefano Boeri è l’architetto del Bosco Verticale). Mancuso analizzò i benefici ambientali degli alberi pubblici, circa 30.000, mentre Boeri tradusse queste analisi in sei strategie di forestazione urbana. Questo processo trasformò il Piano Operativo in un documento di azione concreta sulla riforestazione urbana, integrando le politiche ambientali nella pianificazione urbanistica”.
Dal Piano Operativo siete passati a piani più specifici?
“Sì. Il Piano Operativo è la struttura generale territoriale e include un vero e proprio Piano d’Azione per la Forestazione Urbana. Nel 2019, basandoci sulle riflessioni contenute nel Piano, partecipammo al programma Urban Innovative Actions (UIA) – NDR: iniziativa dell’Unione Europea per finanziare soluzioni innovative alle sfide urbane -, formando un partenariato composito che comprendeva il Dott. Mancuso, l’Arch. Boeri, il CNR, Treedom e greenApes (NDR: piattaforma digitale che incentiva stili di vita eco-sostenibili). Con questo gruppo presentammo il progetto Prato Urban Jungle, mirato a riforestare le aree urbane densamente costruite. Dove non era possibile piantare alberi tradizionali, il progetto proponeva di usare edifici come supporti per la natura, con facciate verdi e coperture vegetali. Inizialmente, Treedom (NDR: piattaforma per piantare alberi a distanza, fondata nel 2010 a Firenze) avrebbe dovuto incentivare la riforestazione nelle tre aree previste, ma la pandemia di COVID ci spinse a sviluppare un programma complessivo, che integrasse il crowdfunding e la raccolta di risorse per il piano di forestazione della città. Questo portò alla nascita di Forest City (NDR: piattaforma digitale che coinvolge cittadini, scuole, associazioni e imprese nella forestazione urbana e nella sensibilizzazione ambientale), il programma che oggi coordina tutte le strategie per l’incremento del patrimonio arboreo, coinvolgendo sia il Comune sia i privati”.
Avete stimato il contributo della riforestazione urbana alla riduzione dell’impatto delle isole di calore?
“Negli anni abbiamo collegato sempre più la pianificazione urbanistica con quella ambientale, lavorando anche con la ASL per la prevenzione sanitaria. Durante il mio secondo mandato, il Piano Strutturale e il PAESC (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima, strumento adottato dai Comuni per ridurre le emissioni di CO₂ e adattarsi al cambiamento climatico) hanno contribuito a creare un piano per la neutralità climatica.
Abbiamo inoltre attivato convenzioni con il CNR e l’Istituto di Bioeconomia, che hanno realizzato uno studio sistematico sul metabolismo urbano della città, includendo dati satellitari, mappature delle isole di calore, copertura arborea e impermeabilizzazione del suolo. Questi dati, incrociati con le analisi di vulnerabilità sociale derivanti dal rapporto URBES (NDR: documento ISTAT che misura il benessere equo e sostenibile nelle città italiane), hanno rivelato che le popolazioni più vulnerabili socialmente si trovano spesso nelle aree più critiche dal punto di vista ambientale. Questo ha rafforzato la nostra attenzione nell’intervenire in modo mirato”.
Quali iniziative avete intrapreso per coinvolgere i cittadini e sensibilizzarli sul tema della riforestazione urbana?
“Il progetto Prato Urban Jungle ha previsto, fin dall’inizio, un coinvolgimento diretto delle scuole. In collaborazione con Legambiente, è stato creato un toolkit educativo chiamato “Crea la tua giungla”, utilizzato per attività didattiche in tutte le scuole primarie e secondarie della città. Queste attività miravano a sensibilizzare sia gli studenti che gli insegnanti sul tema della riforestazione urbana e continuano ancora oggi, mantenendo alta l’attenzione verso le questioni ambientali. Parallelamente, abbiamo sviluppato Prato Forest City, un portale strutturato su tre livelli: • Cittadini comuni, che possono contribuire attivamente con interventi di gestione del verde pubblico; • Associazioni, coinvolte in campagne di sensibilizzazione e finanziamento; • Imprese, che possono sostenere direttamente i progetti di forestazione urbana”.
“Attualmente – conclude -, il Piano di Forestazione Diffusa analizza tutte le aree di verde pubblico della città, stimando la possibilità di piantare circa 10.000 nuovi alberi. Questo piano permette di sviluppare progetti sia realizzati direttamente dal Comune sia candidati per finanziamenti privati.
Come vengono scelti gli alberi e le piante per garantire la sostenibilità ecologica e promuovere la biodiversità?
“La scelta delle specie arboree segue le linee guida regionali. Ad esempio, abbiamo partecipato al bando Toscana Carbon Neutral, che ha finanziato interventi di riforestazione urbana basati sulla capacità degli alberi di stoccare CO₂. Inoltre, collaboriamo con il Dipartimento di Agraria per individuare le specie più adatte ai diversi contesti urbani. Abbiamo anche creato una struttura di forestazione urbana composta da un architetto paesaggista e un agronomo, che valutano non solo gli alberi, ma anche l’importanza di arbusti e siepi per favorire la biodiversità e migliorare la qualità ambientale”.
Avete previsto azioni di monitoraggio continuo per garantire la sopravvivenza e la manutenzione delle aree verdi?
“Sì. Abbiamo implementato un network di 60 sensori Airquino distribuiti sul territorio per monitorare costantemente diversi parametri ambientali, tra cui: • Inquinanti atmosferici (PM2.5, PM10, gas nocivi); • Emissioni di CO₂; • Temperatura e umidità. Questi dati permettono di identificare gli hotspot di inquinamento, che spesso non dipendono direttamente dalla conformazione urbana, ma da altri fattori come i venti. La mappatura costante del territorio ci consente di intervenire in modo mirato e di ottimizzare la manutenzione delle aree verdi”.
Quali sono le principali fonti di finanziamento per questi progetti?
“Inizialmente, i progetti sono stati finanziati quasi interamente attraverso fondi pubblici e bandi europei. Nel bilancio comunale più recente sono stati stanziati 600.000 euro per la prima tranche di interventi legati alla forestazione diffusa. Tuttavia, abbiamo anche attivato una serie di investimenti privati. Un esempio significativo è il progetto Arte per la Forestazione, promosso dall’Associazione Arte Continua di Marco Pisani. Questo progetto ha organizzato un’asta benefica con opere donate da artisti, raccogliendo 150.000 euro per finanziare il Bosco delle Neofite (Ndr: Con i fondi raccolti, è stata creata un’area verde di 7.500 metri quadrati nella zona Tobbiana-Allende di Prato. Il bosco delle Neofite ospita circa 150 alberi di diverse specie e 400 arbusti, contribuendo a fissare 3.000 kg di CO₂ all’anno e a ridurre le polveri sottili generate dal traffico intenso nella zona)”.
Quali indicatori state utilizzando per misurare il successo del progetto di riforestazione urbana?
“Il Comune di Prato ha un piano di riforestazione diffusa che copre tutte le aree di proprietà pubblica. Per esempio, sulle 42 aree scolastiche abbiamo ottenuto un finanziamento di 3.200.000 euro, integrando così una strategia trasversale che coinvolge tutti gli uffici comunali. Uno degli indicatori principali è il bilancio arboreo, che tiene conto del numero di alberi attualmente presenti e di quelli che verranno messi a dimora. Inoltre, abbiamo definito una scala di priorità basata sui dati ambientali e di vulnerabilità sociale: gli interventi partono dalle aree con le problematiche più critiche. Grazie al Piano di Forestazione Diffusa, è possibile pianificare interventi anche di piccola entità, come la piantumazione di uno o pochi alberi per volta, garantendo così una gestione facilmente sostenibile. Questo approccio consente di monitorare e ottimizzare il processo in modo continuativo”.
Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nell’implementazione dei progetti di riforestazione urbana?
“Gli ostacoli sono stati sia interni che esterni. Internamente, uno dei problemi principali è il timore politico che la riforestazione comporti un aumento dei costi di gestione, un aspetto effettivamente reale ma che, a nostro avviso, risulta trascurabile rispetto ai benefici per la salute pubblica. Dopo il COVID, però, c’è stato un salto di qualità nella percezione del ruolo della natura. Se prima l’albero era visto quasi esclusivamente come un rischio (es. caduta di rami), oggi è riconosciuto come un elemento essenziale per il benessere. Questa trasformazione nell’opinione pubblica ha contribuito a superare molte delle resistenze iniziali”.
Replicabilità e ispirazione. Il progetto di riforestazione urbana di Prato può essere un modello per altre città? Avete costruito un manuale per aiutare altre città a replicare il vostro progetto o condiviso buone pratiche?
“Sì e no. A breve pubblicherò un libro dedicato alle politiche urbane, dove una parte sarà dedicata proprio a questo tema. Inoltre, sono stati scritti diversi articoli, e c’è un movimento crescente di città che si confrontano su queste questioni. Per esempio: • Milano con il progetto ForestaMi; • Parma con il Chilometro Verde; • Firenze con il piano di forestazione urbana; • Modena, che da anni investe nella forestazione; • Padova e molte altre città. Attualmente, ci sono diversi PRIN (NDR: Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale, programma del MUR per finanziare progetti di ricerca scientifica coordinati da università e enti di ricerca italiani) che stanno lavorando per mappare le buone pratiche in Italia. L’aspetto distintivo del modello di Prato è il forte legame tra pianificazione e programmazione. Abbiamo imparato dagli errori del passato: per esempio, in precedenza sono stati piantati alberi troppo piccoli, che non riuscivano a creare spazi pubblici di qualità. Oggi, piantiamo alberi già grandi, che contribuiscono immediatamente all’inclusione sociale e alla vivibilità urbana, anche se questo comporta costi maggiori (circa 300 euro per albero, rispetto ai 30 euro di altre città)”.
Qual è il contributo più significativo del verde urbano al benessere psicofisico dei cittadini, secondo la vostra esperienza? Avete dati che dimostrino questi impatti?
“È difficile ottenere dati specifici dalle ASL sulle aree verdi, poiché una persona non vive 24 ore al giorno sotto un albero. Tuttavia, le evidenze scientifiche dimostrano da anni che ogni euro investito in incremento arboreo genera tre euro di risparmi in termini di prevenzione sanitaria. Il Comune sta collaborando con ASL e Regione per avviare programmi di valutazione mirati. Uno degli esempi più significativi è il progetto Green Hospital, finanziato tramite Prato Forest City e il Comune, che ha trasformato le aree esterne dell’ospedale in spazi verdi. Questo intervento ha migliorato il benessere psicologico di pazienti e visitatori, riducendo lo stress legato alla permanenza in strutture sanitarie”.
Nell’ottica di una maggiore comprensione, oltre quelli già accennati, può elencare alcuni progetti che un comune cittadino può osservare passando per strada?
“Certamente. Alcuni esempi visibili sono: • L’area forestata di fronte al Museo Pecci; • Le aree verdi lungo la declassata; • Il parcheggio Nenni e il parcheggio scambiatore; • Gli spazi verdi davanti alla Campolmi; • Le aree forestate davanti al tribunale. Questi sono solo alcuni esempi, ma per una panoramica completa è possibile consultare la mappatura dettagliata su Prato Forest City, che include tutte le aree verdi sviluppate o in fase di realizzazione”.
Qual è il ruolo di questo progetto nella resilienza al cambiamento climatico?
“Il progetto è fondamentale per affrontare le sfide legate al cambiamento climatico. Nel PAESC (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima), tutte le azioni di riforestazione urbana sono integrate nei piani di adattamento e mitigazione climatica. Ridurre le isole di calore contribuisce non solo a migliorare il comfort termico, ma anche a diminuire la necessità di raffrescamento, riducendo così le emissioni di CO₂. Un altro aspetto cruciale riguarda i sistemi urbani di drenaggio sostenibile. Gli alberi, da soli, possono ridurre il ruscellamento delle acque durante le piogge torrenziali. Pensare di affrontare il rischio idraulico esclusivamente con sistemi fognari tradizionali è ormai irrealistico. La quantità di acqua derivante dalla corrivazione dei suoli impermeabilizzati supererebbe la capacità di qualsiasi rete fognaria. È necessario cambiare paradigma, introducendo soluzioni come: • Rain gardens (giardini di prima pioggia), che assorbono e filtrano l’acqua piovana; • Aree verdi che sostituiscono i parcheggi o altri spazi impermeabilizzati; • Sistemi integrati di gestione delle acque che permettono di ridurre la pressione sulle infrastrutture tradizionali.
Questi interventi, insieme alla forestazione urbana, non solo migliorano la resilienza delle città, ma contribuiscono anche a una maggiore vivibilità”.
Caro architetto ti ringrazio intanto per il tempo che ci hai dedicato. Ci vedremo allora il 3 dicembre alle 17:30 a Palazzo Patrizi di Siena al convegno “Dalla città delle “valli verdi” alla Forest City”!!