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giovedì, Dicembre 12, 2024

Insoliti viaggiatori: Pier Felice Finocchi

Luca Gentili apre la rubrica #andataeritorno a nuovi pellegrini del mondo moderno

Da oggi, nella mia rubrica #andataeritorno, vorrei iniziare a ospitare insoliti viaggiatori: non eroi epici o cavalieri leggendari, ma persone comuni che, attraverso il viaggio, la scoperta e la voglia di condividere le proprie emozioni, sanno raccontarci storie uniche. Storie fatte di luoghi, incontri e sentimenti, che ci portano lontano senza lasciare la pagina (lucagentili).

Pier Felice Finocchi: narratore che viaggia con l’anima e con la musica

Pier Felice Finocchi, autore di Strade d’Oriente, si definisce un narratore di viaggio, non uno scrittore. Il suo obiettivo è condividere esperienze vissute ed emozioni legate ai suoi viaggi. Con uno stile spontaneo e riflessivo, costruito su ricordi evocati da dettagli apparentemente insignificanti, esplora il mondo esterno ma anche sé stesso, cercando significati e connessioni universali attraverso culture, luoghi e storie.

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Un controllo in Afghanistan

Come viaggiatore, mi ha sempre affascinato il modo in cui ogni viaggio lascia un’impronta unica nella nostra vita. Tu, che hai percorso così tante strade nel mondo, cosa pensi che il viaggio abbia cambiato in te nel profondo?

“Per anni, anzi decenni, ho creduto che viaggiare desse a chi lo faceva una maggiore apertura mentale rispetto alla vita e, ovviamente, al resto dell’umanità. Con il tempo, però, mi sono accorto che non è così. Molti, come una chiocciola, portano con sé la propria “casa”, intesa come un desiderio di non mescolarsi troppo e di non lasciarsi coinvolgere dalle persone dei luoghi attraversati. L’apertura mentale arriva solo se c’è curiosità e voglia di capire il luogo in cui sei. Ma non tutti ce l’hanno”.

“Per sapere cosa il viaggio abbia cambiato in me – continua Pier Felice -, dovrei immaginarmi senza di esso. Viaggio da sempre, quindi non posso fare paragoni. Forse potrei chiedermi: “Cosa sarei stato se non avessi viaggiato?” Ma sarebbe solo una speculazione. Sono la somma di ciò che il mio DNA mi ha indotto a essere, delle mie esperienze e della mia educazione. In breve: della Vita”.

Sulla strada con gli Uiguri nei pressi di Kashgar, città cinese della provincia autonoma dello Xinjiang

Spesso mi capita di scrivere nella mia rubrica “Andata e Ritorno” che il viaggio è un dialogo con noi stessi e con il mondo. Per te, com’è questo dialogo?

“Sono d’accordo. Mi viene in mente un viaggio un po’ folle che feci anni fa. Partii da solo da Roma (abitavo lì all’epoca) il 1° febbraio 1989, diretto in Turchia. Non avevo né grande esperienza né un abbigliamento adatto, e quel periodo dell’anno il freddo e la neve erano tremendi. In moto, oltre a cantare spesso, iniziai un dialogo con me stesso fatto di domande e risposte. All’inizio era qualcosa di molto superficiale, per far passare i chilometri più velocemente. Pian piano, però, scesi in profondità e scoprii come funzionano alcune parti di me. Fu una bellissima scoperta. Piccoli momenti illuminanti”.

Come ti descriveresti a un altro viaggiatore?

“Che dire? Il mio modo di essere in viaggio è lo stesso di quando sono a casa. Visitare nuovi luoghi non cambia il mio modo di rapportarmi con gli altri, di divertirmi o di mostrare i miei sentimenti. Viaggiare è semplicemente vivere la propria vita in un posto diverso”.

Pompa di rifornimento benzina in Mongolia

So che vivi in Toscana, a Casole d’Elsa, ma non sei originario della regione. Come ti trovi in questo angolo d’Italia? C’è qualcosa di “esotico” anche nella Toscana per te?

“Non vorrei deludere chi leggerà, ma anni fa, dopo un’operazione per un tumore, decisi di trasferirmi dalla città alla campagna. Scelsi la Toscana semplicemente perché avevo amici in alcune zone di questa meravigliosa regione. Inizialmente vivevo a Casole, ma da nove anni sono nel comune di Montieri. Qualcosa di esotico si può trovare ovunque, dipende da cosa cerchi. Per me, l’aspetto più importante di un viaggio è sempre l’umanità che incontri”.

I mongoli, gente socievole, soprattutto se c’è odore di fare affari

Perché hai scelto la Toscana come casa? È stata una decisione legata ai viaggi o più al desiderio di stabilità?

“Come dicevo, dopo un’operazione importante, seguita da chemioterapia e ventisette sedute di radioterapia, ero molto debilitato. Nei fine settimana, però, avevo la fortuna di poter andare in campagna, a casa di amici a Casole. Lì, oltre a sentirmi guarire, riscoprii il desiderio della campagna. Quello che prima era un sogno, poco reale, diventò un’esigenza concreta. Avendo un lavoro che me lo permetteva, decisi di trasferirmi”.

Qual è stato il tuo primo viaggio in cui ti sei sentito un vero esploratore?

“Esploratore è una parola grossa. Ma direi che a 17 anni, quando partii in autostop per Parigi per assistere a un concerto dei Rolling Stones (che poi non si tenne), mi sentii davvero un po’ come Marco Polo! Un viaggio che mi ha segnato profondamente è stato quello del 1976: via terra fino in India. È durato cinque mesi e mi ha aperto orizzonti immensi”.

Foratura in Kirghizistan, il meccanico in aiuto arriva a cavallo

La musica sembra avere un ruolo importante nella tua vita. Trovi un legame tra i suoni dei luoghi e le tue esperienze di viaggio?

“Sì, moltissimo. Nel mio libro racconto che, oltre alla curiosità per l’Oriente, dovuta a nomi evocativi come la Colchide o la Bactriana, furono i suoni di quei luoghi, rari ma affascinanti, a catturarmi da ragazzo”.

Pier Felice Finocchi in Kirghizistan

Durante i tuoi viaggi hai raccolto strumenti musicali da tutto il mondo. Qual è quello che più ti rappresenta?

“Il primo strumento che acquistai fu un Saz, in Turchia, durante il mio viaggio verso l’India. Lo portai con me per tutto il tragitto. Più tardi ne presi un altro, tornando in moto. L’ultimo l’ho portato sulle spalle dall’est della Turchia fino a casa, lo scorso anno. Sono molto legato anche al Rebab afghano: oltre alla sua straordinaria bellezza, ha un suono evocativo che mi riporta immediatamente in Asia centrale”.

Tra gli strumenti che hai raccolto, ce n’è uno che ti ha sorpreso per la sua cultura o la sua storia?

“Saz e Baglama turchi, il Setar iraniano, il Rebab afghano e il Sitar indiano: ognuno racconta una storia diversa, come le voci umane, ognuno a modo suo sa narrare emozioni”.

Ai confini della Georgia

Nel tuo libro Strade d’Oriente c’è un’intensità particolare. Come passi dal vivere il viaggio al raccontarlo?

“Rivivendolo. Mi fermo, chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo e scrivo ciò che emerge, spontaneamente. Non avrei mai pensato, fino a pochi anni fa, di poter mettere tutto in un libro. Credo che il segreto sia stato non proporre i miei scritti come semplici diari di viaggio, guide o resoconti, ma come racconti di emozioni vissute”.

Cosa speri di trasmettere ai tuoi lettori?

“Che il mondo è ancora un luogo fantastico, pieno di persone eccezionali. Se riuscissimo a guardarci gli uni con gli occhi degli altri, si eviterebbe tanto malessere. E sarebbe bello capire che, al di là di chi ci governa, ciò che le persone desiderano in Finlandia, in Iran, in Albania o in Pakistan è sempre lo stesso: vivere in pace, con ciò che serve, vicino alla propria famiglia”.

Incontri in Afghanistan

Ti definisci un narratore, non uno scrittore. Quali pensi siano le differenze e cosa apprezzi della narrazione?

“Uno scrittore sa inventare, conosce l’animo umano, crea storie e intrecci, sa sorprendere. In teoria, dovrebbe avere anche una buona cultura o, se vogliamo, una grande quantità di nozioni. Io invece mi limito a raccontare ciò che ho vissuto”.

Ci sono storie o luoghi che non hai ancora raccontato, ma che senti di voler condividere un giorno?

“Mi capita spesso, sfogliando il mio libro, di dirmi: “E ora? Hai raccontato tutto, cos’altro puoi aggiungere?” Poi mi fermo, provo ad ascoltarmi e, come succede con uno scatolone in soffitta o in un vecchio armadio, qualcosa salta fuori. Per questo ho già in preparazione un secondo libro”.

Le ospitali yurta in Afghanistan, oggi ce ne sono anche a disposizione dei turisti

Ogni viaggiatore ha un luogo che sente “suo”. Qual è il tuo, anche solo per il ricordo che ne hai?

“Fino a pochi anni fa, senza esitazione, avrei risposto “il mondo turco”, che non è solo l’attuale Turchia ma un territorio molto più ampio, dalle coste del Pacifico all’Anatolia. Ora, dopo l’ultimo viaggio che mi ha riportato in Iran, non ho dubbi: direi proprio l’Iran”.

I bazar sono per te una fonte d’ispirazione e li descrivi con dettagli quasi musicali. Cosa li rende così speciali?

“Sono il cuore di un immenso organismo: la nazione in cui sorgono. Nei bazar, oltre a vivere situazioni che nella nostra società non esistono più, puoi farti un’idea chiara dello stato reale del paese in cui ti trovi”.

Hai vissuto momenti difficili durante i tuoi viaggi. Come riesci a trasformare anche le esperienze negative in ricordi preziosi?

“Succede quasi automaticamente. Una volta passato il pericolo, superata la difficoltà o risolto il guasto, tutto diventa un ricordo, spesso anche piacevole”.

Sosta e campo in Kirghizistan

Qual è stato l’incontro più significativo che hai vissuto durante i tuoi viaggi?

“Di incontri significativi ce ne sono stati tanti, anche perché ho lavorato per ventisette anni con commercianti afghani, pakistani, nordafricani e altri. Ma oggi porto nel cuore Vahid, un ragazzo e la sua famiglia di Mashhad, la seconda città santa dell’Iran. Con lui e il suo gruppo di amici e amiche ho trascorso giorni irripetibili tra i monti che dividono il Turkmenistan dall’Iran. Giorni di intensità, gioia e scoperta che difficilmente potrò rivivere”.

Se dovessi dare un consiglio a qualcuno che parte per la sua prima grande avventura, cosa gli diresti?

“Sii te stesso, senza timori e senza pregiudizi. Sii onesto, chiaro e fidati della vita”.

C’è una frase o un episodio che per te rappresenta la quintessenza del viaggiare?

“Credo che siamo tutti in un viaggio continuo, ma spesso non ce ne rendiamo conto perché siamo anestetizzati dai condizionamenti. E così riusciamo a “vedere il viaggio” solo quando ci allontaniamo dai luoghi in cui risiediamo abitualmente”.

Cosa significa per te viaggiare oggi, rispetto a quando hai iniziato? È cambiato il mondo o siamo cambiati noi viaggiatori?

“Non amo generalizzare, ma dirò una cosa forse antipatica. Una volta, quando incontravo un italiano in viaggio, era una festa: ci si raccontava le esperienze, ci si confrontava, ci si scambiavano consigli e magari si condividevano dei giorni insieme. Oggi, invece, quando vedo un italiano, provo spesso timore. Mi chiedo cosa sia venuto a fare in quel luogo, perché il più delle volte è qualcuno che si lamenta, vede solo il negativo, parla per slogan e non cerca minimamente di vivere il posto in cui si trova. È vero che il mondo è cambiato, ma la genuinità, la delicatezza e l’accoglienza di tanti popoli che ho incontrato sono rimaste intatte”.

Bene, siamo giunti alla fine dell’intervista…

Con Pier Felice Finocchi il viaggio diventa molto più di uno spostamento fisico: è un percorso interiore, un dialogo profondo con sé stessi e un invito a scoprire l’umanità che ci unisce. Le sue parole e i suoi racconti ci spingono a guardare il mondo con occhi nuovi, ricordandoci che, oltre i confini e le culture, ciò che conta davvero è la capacità di emozionarsi e connettersi.

Lo ringrazio ancora per il tempo che ci ha dedicato. Nelle prossime settimane proporremo alcuni suoi racconti.

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