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giovedì, Dicembre 12, 2024

Più vicini al Regno di Lo con un mulo simpatico e indipendente

Quando l’uomo chiamato “Terra” scavalca monti e attraversa fiumi per giungere a Pokhara

Terza parte del racconto di una “Vera Avventura nel Regno di Lo”. Nella prima delle sei puntate, due settimane fa, lasciammo il protagonista, Dharan, finalmente giunto a Kathmandu, all’inizio della sua ricerca del “luogo dove il vento racconta storie dimenticate”, in quella di una settimana fa lo abbiamo visto scegliere come compagno di viaggio, Arman, un uomo dai mille segreti...

३ Tin – (tre) Verso PokharaPartenza nella notte

Uscii dal tempio che era ancora buio, le attività nei vicoli di Kathmandu si muovevano appena; era difficile camminare nella città alla luce della lanterna.

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Arman mi aspettava nella piccola corte a fianco della sua abitazione, il mulo carico, il telo a coprire le provviste. Le poche cose personali le aveva messe in una borsa di tela legata con un namlo (21). La stoffa grezza, annerita dall’uso, sembrava un’estensione della sua vita nomade. “Un carico leggero è la chiave per un viaggio lungo”, disse sorridendo.

Un Namlo

Eravamo partiti e a me era tornata l’eccitazione del viaggio: il senso di vuoto e la stanchezza del giorno precedente erano scomparsi. Il mulo ci seguiva docile e l’acquisto sembrava azzeccato; aveva un’aria simpatica e indipendente, ogni tanto si fermava, alzando il muso verso il vento, come per fiutare il cammino. “Ha più esperienza di noi – disse Arman con un sorriso – fidati di lui quando noi ci saremo persi”. E rise sonoramente, allungando il passo.

Il cammino verso il fiume Trishuli

Il primo giorno riuscimmo a compiere quasi venti chilometri e ci accampammo nel piccolo abitato di Thankot. Dal passo di Chandragiri potevamo vedere tutta la valle di Kathmandu alle nostre spalle.

Riuscivamo a sostare sempre in piccoli agglomerati di capanne: la gente era ospitale, e trovai sapori a me sconosciuti, come il tsampa (20), una farina di orzo tostato mescolata con tè salato e latte fino a formare una poltiglia nutriente, o il Gundruk (35), fatto con cavolo o foglie di senape fermentate.

Ma quello che non mancava mai a ogni sosta era il Chiya (34), un tè speziato con latte, zucchero, cardamomo, cannella e zenzero. Non era solo un’ottima bevanda, era un modo per raccontarsi storie, scambiare informazioni con gli altri viandanti sulla strada che avremmo dovuto percorrere.

Avrei voluto chiedere molte cose ad Arman, ma lui sembrava così sicuro del cammino che le domande sembravano quasi superflue. Mi ero ripromesso di carpirgli qualche informazione quando avremmo fatto una sosta più lunga per riprendere fiato.

I giorni scorrevano uguali: sveglia all’alba e cammino lento e costante per tutta la giornata. La strada era disseminata di Chorten (11): marcavano il percorso e ti permettevano di fare una sosta, svolgere qualche grano del mala (17) recitando distrattamente un mantra.

Un mala

Om: Purifica l’orgoglio / Ma: Purifica la gelosia / Ni: Purifica il desiderio e l’attaccamento / Pad: Purifica l’ignoranza e il pregiudizio / Me: Purifica la povertà e l’avidità / Hum: Purifica l’odio e la rabbia.

A volte lo recitavo lungo il cammino per tenere la cadenza del passo e darmi forza.

La sfida del monsone

La sera in cui finalmente vidi la riva del fiume Trishuli tirai un sospiro di sollievo: avremmo camminato per giorni lungo il torrente e, a detta di Arman, saremmo andati con un passo più spedito.

Mai previsione fu più errata: la notte, forse la coda del monsone, colpì la valle e un’acqua torrenziale discese dal cielo. Al mattino, quando sembrava che la terra si sciogliesse sotto i nostri piedi, iniziai a parlare ad alta voce, guardando il cielo: “Non mi sono convertito a una religione, ma a un modo di vivere. Ho imparato a vedere il sacro in ogni cosa: nel fuoco che illumina il tempio, nell’acqua che scorre tra i ghat e nel vento che soffia sulle montagne. Ma per dio Shiva, ferma questo flagello.”

Guardai Arman che, con una calma sorprendente, estrasse un piccolo pacchetto contenente riso e incenso. Lo lasciò su una pietra piatta e, rivolgendosi a me, disse: “Offriamo questo a chi controlla il fiume. Non si sa mai.”

Poco dopo le piogge si attenuarono e il vento sembrò portare via le nuvole scure. Mi domandai allora se si fosse trattato di pura coincidenza o se davvero una forza soprannaturale ci avesse messi alla prova; quale Naga (22) dispettoso, quale Mara (23) avevamo sfidato?

Un naga

Dopo una mezza giornata di attesa decidemmo comunque di attraversare il fiume insieme al mulo, su una zattera rudimentale gestita da un barcaiolo locale. Il fiume era ancora gonfio e minaccioso. Il barcaiolo, comunque, ci disse che si poteva fare, basta che anche noi ci fossimo messi ai remi.

Salii sui bambù, che parevano sommariamente legati. Arrivati nel mezzo, la corrente agitava la fragile zattera. Il mulo, spaventato dal movimento e dal rumore delle acque, iniziò a scalpitare. Cercai di calmarlo, ma un improvviso colpo d’acqua fece inclinare la zattera. Per un momento, sembrò che stessimo per ribaltarci. Arman, con un colpo di remo, riuscì a mantenere l’equilibrio, mentre io mi aggrappai al mulo per non farlo cadere.

Mentre la situazione sembrava tornare sotto controllo, urlai al mio compagno: “Non so come tu faccia. Sembri sempre in controllo”. Arman mi guardò con un sorriso ironico: “Non è il controllo, Dharan. È accettare che il fiume può portarci via da un momento all’altro, ma ti prego, per ora, non smettere di remare”.

La pausa a Bandipur

Ci accampammo lungo la riva opposta e per quel giorno non riuscimmo ad andare oltre: non era possibile sfidare così la sorte.

Nei giorni successivi, più che camminare, strisciavamo nel fango. Il povero mulo aveva le orecchie basse e il carico leggero legato sulla nostra testa con il namlo (21) era per me quasi una pena insopportabile.

Dovevamo in ogni modo fare una sosta di qualche giorno per riprenderci. Sulla nostra strada c’era un luogo ideale: Bandipur. Anche se i ripidi sentieri che portavano sull’altopiano potevano essere una sfida per il mulo, decidemmo di allontanarci dal fiume.

Bandipur è fantastica: crocevia di uomini e merci, con le rosse case di mattone e legni in stile Newari, sembra una scintillante, sofisticata perla.

Trovammo alloggio in una casa di un commerciante locale; ripuliti, giravamo tra gli stupendi templi, nel mercato delle stoffe e tra le spezie allineate in piccole montagne colorate sui banchi.

Le persone stavano preparando la festa del Chhath Puja e le strade erano decorate con ghirlande di margherite gialle. Le donne portavano grandi piatti decorati con offerte: banane, cocco, thekua (24), e accendevano lampade di terracotta vicino alle piattaforme dove sarebbero stati effettuati i riti. Il fumo si alzava dai fuochi, le persone si immergevano fino alla vita nel piccolo bacino d’acqua al centro del paese: l’acqua è simbolo di purezza e connessione con Surya (25). Tutto era un fermento di preghiere e offerte per ringraziare il Sole per la vita che ci dà e chiedere prosperità per il prossimo raccolto.

Bandipur

A sera, la famiglia che ci ospitava ci invitò al loro banchetto. Le splendide figlie danzavano per noi, avevano sari luminosi dai colori del sole (giallo, arancio, rosso) decorati con bordi dorati, braccialetti tintinnanti, fiori tra i capelli. La grazia dei gesti era indescrivibile: le dita sembravano tessere storie invisibili nell’aria, ognuna seguendo una traiettoria precisa, il corpo morbido e flessuoso accompagnava piccoli passi di danza. I miei occhi seguivano i movimenti ipnotici delle mani, catturati dalla sensualità dei gesti, finché un ultimo colpo di tamburo interruppe la danza.

Arman mi guardò soddisfatto e, strizzandomi un occhio, mi disse: “Non ci sono danze così nel mio villaggio, solo le donne anziane che pregano”.

Poi la più giovane delle ragazze si avvicinò e mi porse un piccolo fiore come simbolo di benedizione e con una flebile voce mi sussurrò: “Il sole non illumina solo il nostro villaggio, ma anche il tuo cammino. Porta questa luce con te”.

Partire l’indomani sarebbe stato complicato.

Il lago Phewa

Arman al mattino mi scosse: “Dai, dobbiamo partire”, mi sussurrò sottovoce.

Fuori, l’ultima stella sembrava resistere alla luce del sole nascente, come una lanterna dimenticata dagli dèi: per me un presagio, un segno che il viaggio verso il Regno di Lo aveva il loro favore.

Impiegammo ancora cinque giorni per raggiungere Pokhara, camminando tra colline verdi, scolpite dal lavoro degli uomini. Quando scendemmo poi verso il fiume Seti, il terreno tornò umido e fangoso; il nostro mulo, dopo i giorni di riposo e l’abbondante fieno, sembrava comunque rinato: trotterellava dietro di noi senza impuntature.

Il lago Phewa e le cime innevate dell’Annapurna si rivelarono all’orizzonte, offrendo un senso di compimento e meraviglia.

Pokhara ci accolse con la sua calma. Il lago sembrava uno specchio, riflettendo le montagne come se volesse imprigionarne la maestà. Mi sentivo in equilibrio, come se il cammino avesse forgiato le forze opposte che convivevano in me e ora, in armonia, non tentavano di sopraffarsi.

“Il vento non può spezzare la montagna; la montagna non può fermare il vento”.

Eppure, non avrei mai immaginato che le prossime tappe mi avrebbero portato a confrontarmi con antichi segreti e con le ombre della mia stessa anima.

(3 – continua)

Glossario

(11) Chorten: Stupa Tibetana – (17) Mala: Rosario usato per contare i mantra – (20) Tsampa: Farina d’orzo tostata – (21) Namlo: Striscia di stoffa robusta che si avvolge intorno a un carico e viene assicurata sulla fronte – (22) Naga: Spiriti-serpente legati ai corsi d’acqua che possano influenzare le condizioni atmosferiche – (23) Mara: Entità che rappresentano le tentazioni e gli ostacoli sulla via dell’illuminazione – (24) Thekua: Dolci tradizionali – (25) Surya: Sole e simbolo di purezza e connessione nella tradizione indiana – (34) Chiya: Tè (Masala Chiya è il tè alle spezie – (35) Gundruk: Piatto fatto con cavolo o foglie di senape fermentate.

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