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lunedì, Febbraio 3, 2025

S’Ozzastru, l’olivastro patriarca

Quarta e ultima puntata di “Straordinari matusalemmi vegetali” con un vegetale che potrebbe aver frequentato fate e giganti

Vi ho parlato di un albero millenario, di un’erba perenne che forse vive duemila anni e di un paleofiore. Cinquemila anni fa, mentre i Sumeri tracciavano le prime parole sulla creta e le piramidi d’Egitto erano ancora un sogno, queste piante già respiravano sotto cieli antichi. Duemila anni fa, mentre l’Impero Romano costruiva strade che univano popoli lontani e stendeva leggi che avrebbero segnato la storia, questi testimoni vegetali erano già lì, immobili, ad osservare il passaggio del tempo.

Negli scorsi anni mi sono ritrovato a camminare tra di loro, cercando di ascoltare le loro storie, che concludo con S’Ozzastru, l’olivastro patriarca. Non è la fine di questi racconti, ma solo l’inizio: il preludio a nuove storie.

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Oggi vi porterò in un luogo facilmente accessibile, dove si può arrivare anche in auto, nella bellissima Gallura, in una località chiamata Santu Baltolu di Carana. Qui risiede S’Ozzastru.

La costa sarda

Ho scelto volutamente il termine “risiede,” perché le stime più prudenti dicono che abbia 3.000-4.000 anni, forse anche 5.000. Un’età che mi fa pensare che “risiede” sia la parola giusta per qualcuno che è qui da quando gli abitanti della Sardegna costruivano menhir, dolmen e adoravano il sole, o scavavano le Domus de Janas, le “case delle fate” o “delle streghe,” per i loro riti funerari.

La prima volta che ho visitato questi luoghi era un inizio di ottobre di alcuni anni fa. Appena sceso dal traghetto, l’aria era fresca, pungente, un’eredità del grande temporale della notte. Mi colpì tagliente, e d’istinto, come una tartaruga, ritrassi la testa, stringendomi nella giacca per trattenere il calore. Volevo vedere la Tomba dei Giganti di Coddu Vecchiu, e le voci dicevano che qualcuno avesse trovato ossa di uomini di dimensioni straordinarie. Gli archeologi, invece, hanno trovato solo ossa scarnificate, a cui era stata raschiata via la carne, deposte in queste tombe dalla forma di una barca rovesciata, chiuse sul fronte da una fila di rocce a mezzaluna. Le strutture, per alimentare il mito, sono sempre in luoghi particolari, allineate lungo gli assi magnetici della terra.

Per raggiungere Santu Baltolu di Carana, presi una vecchia sterrata che scavalcava la montagna. Saliva ripida, segnata dall’acqua. Era così malconcia che, incrociando un’auto della forestale, li fermai per assicurarmi che fosse percorribile. Mi rassicurarono: solo l’ultimo tratto in discesa poteva creare difficoltà.

Procedetti e, superato il colle, vidi finalmente gli olivastri di Luras. Non ero preparato. Pensavo tra me: “Cosa saranno mai? Belli, certo, ma la Sardegna ne è piena.” Poi vidi S’Ozzastru, con il suo tronco di dodici metri di circonferenza, una chioma che copre seicento metri quadrati, circondato da “giovani” che hanno almeno duemila anni.

Sàra stata la luce del mattino, ma la pianta sembrava emanare luce, non assorbirla. Era come scolpita nell’erba del prato. Mi fermai sotto le fronde, alzai lo sguardo verso il sole che filtrava appena tra i rami ritorti, intrappolato nel fitto delle foglie.

Mi avvicinai con cautela, consapevole della leggenda che circola su S’Ozzastru. Si dice che abbia un legame con gli spiriti maligni e che, in tempi antichi, fosse considerato un rifugio per entità sovrannaturali, capaci di portare sfortuna o malattia a chi osava avvicinarsi senza rispetto.

Pastori e viandanti, secondo la tradizione, lasciavano offerte – piccoli oggetti o frammenti di pane – per placare queste presenze e garantirsi un passaggio sicuro. Si credeva che l’ombra dell’albero proteggesse i giusti e tormentasse chi portava cattive intenzioni.

Forse sono solo credenze, ma testimoniano il profondo rispetto e timore reverenziale che le persone provavano verso un albero così maestoso e antico.

Potete immaginare l’angoscia che provai quando, quasi un anno dopo, lessi su Repubblica: “Il fuoco devasta la Sardegna: in cenere l’olivastro millenario.” Sbiancai. Mi tremarono le gambe. Poi scoprii che l’albero bruciato era più a sud, a Tanca Manna, ma il dispiacere rimase.

Questa paura mi spinse, poco più di un mese dopo, a tornare con alcuni amici. Li usai quasi come cavie: li mandai avanti e osservai i loro passi rallentare man mano che si rendevano conto della maestosità di S’Ozzastru.

Per giorni, non riuscii a smettere di pensare a quell’albero. Mi chiesi se vivesse in un mondo parallelo, dove il tempo non ha lo stesso significato che ha per noi. La nostra intera vita, per lui, potrebbe essere poco più di un battito di ciglia.

S’Ozzastru sembra oggi ben custodito, con un presidio fisso. Ma per farvi capire quanto non riusciamo più a gestire i nostri luoghi, nello stesso viaggio, mentre ero alla ricerca di inusuali percorsi seguendo una piccola traccia, ho costeggiato un torrente dalle acque rosse vermiglio. Era la prima volta che andavo in questa zona della Sardegna e, ovviamente, mi sono reso conto di essermi perso. Sull’isola ci sono molte miniere abbandonate, e questa era sicuramente il risultato dell’acqua di scolo di una miniera. Tra bellissimi boschi, l’effetto era scenografico, cromaticamente fantascientifico, ma l’acqua e il terreno erano certamente pieni di metalli pesanti. Chissà quali sono gli effetti su una famosa e bellissima spiaggia distante poco più di un chilometro, mi chiesi.

A sera, andando a bere una birra sulla famosa spiaggia, ho notato una bandiera blu che, in un certo senso, avrebbe dovuto tranquillizzarmi. Eppure, non riuscivo a ignorare il contrasto tra quella certificazione e l’acqua rossa che avevo visto poche ore prima.

Conclusione

Quattro racconti, quattro straordinarie emergenze naturali: ognuna unica, ma accomunata dalla loro capacità di sfidare il tempo e raccontarci la resilienza della vita. Abbiamo attraversato canyon e foreste, ci siamo fermati sotto chiome millenarie e abbiamo scoperto la fragilità di un fiore che vive sul filo dell’equilibrio.

La tomba dei giganti

Questi matusalemme vegetali non sono solo testimoni di ere passate: sono un richiamo, un monito. Ci ricordano che la nostra esistenza è intrecciata a quella della natura, che la loro sopravvivenza dipende anche dalle nostre scelte.

S’Ozzastru, con la sua maestosa chioma e la sua incredibile longevità, è il simbolo perfetto per concludere questo viaggio. Non è soltanto un albero, ma un custode della storia, un guardiano del tempo che ci invita a riflettere su cosa significhi davvero proteggere ciò che ci è stato affidato.

Questo è il mio invito: guardate questi luoghi, questi esseri straordinari, non solo con meraviglia, ma con consapevolezza. Preservarli non è solo un dovere verso il passato, ma un atto d’amore verso il futuro.

E, forse, da queste storie nasceranno nuove domande, nuovi percorsi, e altri racconti da condividere.

(4 – fine)

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