Per insoliti viaggiatori: dagli spot alla voglia di libertà. La metamorfosi di Monica tra set, figli e nuovi inizi
Monica Dorigatti, per molti “Cromilla”, è un volto che forse avete già incrociato senza saperlo: negli anni ’80 e ’90 è apparsa in celebri spot pubblicitari — da Moment a Control, dalla lavatrice Margherita alla Coca-Cola — diventando, con il suo sorriso e la sua naturalezza, una presenza familiare sul piccolo schermo.
Oggi quel volto lo si incontra più facilmente sotto un casco, alla guida di un trike giallo acceso, in viaggio verso qualche orizzonte lontano. Monica ha lasciato il mondo della pubblicità per cercare la bellezza nei paesaggi, nei volti e nei chilometri percorsi con il vento in faccia. È diventata tour leader per viaggi in moto in ogni angolo del mondo: dall’Algeria alla Norvegia, dal deserto alla neve, sempre alla ricerca di libertà, incontro e stupore.

La sua storia non è fatta di svolte improvvise, ma di trasformazioni lente e profonde, scandite da passioni sincere e da un’incrollabile curiosità. In questa intervista si racconta senza filtri: dai fotoromanzi al Ladakh, dalla moda all’Elefantentreffen. E ci regala un ritratto autentico di una donna che ha saputo reinventarsi mille volte, restando sempre fedele a sé stessa.
Ciao Monica, mentre preparavo l’intervista ero in difficoltà perché ho letto molte cose che ti sono già state chieste. Sei un personaggio pubblico, non è facile trovare un approccio originale. Quindi cominciamo proprio dai tuoi esordi: come sei entrata nel mondo degli spot pubblicitari?
“Certo, facciamoci questa chiacchierata. Premetto che le domande che mi hai mandato le ho appena guardate e non ho preparato nessuna risposta”.
Meglio così, sarà una chiacchierata “splendidamente complicata”…
“Complicata? Io mi vedo semplicissima. Mi sorprende sempre quando sui social mi definiscono “un mito”, perché non mi sento di fare cose eccezionali. Eccezionale per me è un Premio Nobel, un attore internazionale. Io semplicemente vado in moto”.
Parlando di moto, ho notato spesso che è un ambiente ancora molto maschile. Ad esempio, il termine “zavorrina” mi fa accapponare la pelle. Per qualcuno è quasi un complimento, per me è offensivo. Tu cosa ne pensi?
“Io penso che quando vado in moto non sono né donna né uomo: sono semplicemente un motociclista”.
Interessante…
“Essere donna per me è un dettaglio trascurabile, anche se per altri spesso non lo è. A volte mi diverto un po’ con chi si avvicina incuriosito. Una volta, su un passo di montagna, due motociclisti mi hanno chiesto di fare una foto insieme. Hanno iniziato a raccontarmi entusiasti dei loro viaggi e a chiedermi da dove venivo. Rispondevo evasiva finché mi hanno chiesto: “Ma tu viaggi? Qual è l’ultimo viaggio che hai fatto?”. Ero appena tornata dal Ladakh e dopo un po’ di esitazione gliel’ho detto, spiegando che quello era il mio lavoro, che accompagnavo gruppi come tour leader attraverso passi himalayani oltre i 5000 metri. Sono rimasti sbalorditi, e alla fine mi hanno detto: “Ci hai fatto parlare per mezz’ora e tu avevi ben altro da raccontare!”. Non li avevo interrotti perché erano così contenti di parlare…”

“Queste cose capitano spesso – continua Monica -. Un’altra volta al supermercato vicino casa, mi hanno vista con la tuta da moto e non capivano che abiti fossero. Quando hanno scoperto che accompagno gruppi in moto in giro per il mondo, sono rimasti scioccati. Ora appena sparisco per qualche giorno mi chiedono subito dove sia stata o quando ripartirò. La sorpresa è comprensibile, vedendomi al supermercato con i figli non penseresti mai che faccio questo mestiere, anche per via della mia età ormai grande”.
“Tornando alla tua domanda – conclude -, ho iniziato con la pubblicità a 15 anni. Frequentavo il terzo liceo quando chiesi ai miei di iscrivermi a una scuola di portamento perché volevo fare l’indossatrice. Diplomata, dissi ai miei genitori che avrei tentato quella strada per un anno. Se non avesse funzionato, sarei tornata e mi sarei iscritta ad architettura. Non ero molto alta per gli standard “milanesi” dell’epoca né magrissima; quindi, come indossatrice lavorai nell’alta moda più che altro a Roma, specialmente per stilisti di abiti da sposa. Di contro però venivo scelta molto spesso come protagonista di spot pubblicitari. Ho continuato per circa 17 anni. Da allora, ogni dieci anni circa, ho cambiato lavoro, sempre sovrapponendo una fase all’altra senza mai un taglio netto”.
Ricordo benissimo i tuoi spot: Moment, “Ho fatto l’amore con Control”, la lavatrice Margherita…
“Ah, quello di Control! Mia mamma, pugliese, mi supplicava: “Ti prego, rinuncia!”. Io le rispondevo: “Mamma, è il mio primo spot, non posso!”. Si vergognava tantissimo”.
Fantastico! Tra l’altro per l’epoca era abbastanza provocatorio…
“Anche se poi non si vedeva niente, era solo un primo piano! Dopo ho fatto molti fotoromanzi per Grand Hotel. Ancora oggi tanta gente mi ferma ricordandomi più per quelli che per gli spot”.

È vero, se penso a te, mi sembra di conoscerti da tantissimi anni, senza voler parlare d’età…
“Guarda, non ho nessun problema a dirla: ho 59 anni e quegli spot li ho girati a vent’anni, quindi circa 40 anni fa”.
E quando oggi ti capita di rivederti su YouTube cosa provi? Nostalgia, divertimento, sorpresa?
“Nessuna nostalgia, ricordo quel periodo solo con grande divertimento. Era anche un momento in cui viaggiavo moltissimo. Credo che il virus del viaggio me l’abbia trasmesso mio padre, che era in Marina. Rimase imbarcato finché poté, poi, quando fu obbligato a un lavoro dietro la scrivania, lasciò per fare l’ingegnere. Non voleva una vita da ufficio, amava viaggiare per mare. Mia madre lo seguì finché riuscì, ma questa fase terminò poco prima della mia nascita. Così, mio padre io l’ho vissuto da ingegnere, ma da lui ho imparato una cosa che ancora oggi seguo rigorosamente: mai percorrere la stessa strada per tornare a casa”.

Sono assolutamente d’accordo…
“È una regola da seguire sempre. E poi quando vedo strade che si inerpicano verso posti improbabili, non resisto: mi incuriosiscono troppo, e mi chiedo sempre chissà dove portano??!!“
Anch’io la penso così. Sono appena tornato dalla Baja California, e per evitare di rifare strade già percorse ho scelto piste isolate nel deserto. Un rischio, lo ammetto, ma volevo provare qualcosa di nuovo. Ma torniamo a te: prima hai accennato al fatto che cambi mestiere ogni dieci anni circa?
“Esatto. Quando lavoravo negli spot pubblicitari, a un certo punto ho dovuto fare una riflessione seria. Quello è un mondo in cui si lavora moltissimo fino ai 25-30 anni, poi i ruoli diminuiscono drasticamente. A 25 anni già facevo la mamma nello spot di Margherita, figurati! Certo, esistono anche ruoli per attrici più mature, ma sono molto pochi e specifici (la nonnina dell’ACE, le pubblicità per dentiere…). Mi resi conto che quel lavoro non avrebbe potuto garantire un reddito stabile nel tempo per sostenere la mia famiglia. Avevo anche provato a diventare conduttrice televisiva, senza riuscirci veramente: al massimo facevo televendite. A quel punto, avevo già mio figlio Davide, volevo vivermi la famiglia, e non avevo più voglia né tempo per cercare nuovi contatti professionali”.

“Fu allora – continua – che mi innamorai di un negozio che vendeva articoli etnici. Non esisteva ancora il commercio elettronico, e i proprietari avevano creato un franchising. Io fui la prima ad aderire e aprii a Roma un grande negozio di oggetti meravigliosi che arrivavano direttamente dall’Oriente. Era un lavoro bellissimo, ogni arrivo dei container era una festa. Durò una decina d’anni, finché il mercato etnico diventò molto diffuso e per vari motivi personali passai ad occuparmi di costruzioni edili. Anche qui lavorai per altri dieci anni circa, fino alla crisi del 2008. A quel punto decisi di fermarmi e azzerare tutto. Volevo capire cosa fosse davvero importante per me, e la risposta furono i miei figli. Mi dedicai completamente a loro, sparendo dai social e dalla vita pubblica. Solo dopo qualche anno, quando i ragazzi erano cresciuti e la vita si era riequilibrata, tornai fuori casa, e lo feci proprio in moto, perché era la cosa che più mi mancava”.
Prima di passare alla moto: quella laurea in architettura che volevi prendere, alla fine l’hai presa?
“No, mai presa. Però è curioso, perché poi mi sono ritrovata proprio nel settore edile, occupandomi però della parte organizzativa e finanziaria. L’ingegnere con cui lavoravo scherzava dicendo che ero “quella delle domande imbarazzanti”, perché anche senza essere un tecnico riuscivo sempre a notare se qualcosa non tornava nei progetti. È stato un periodo divertente e gratificante, perché costruire qualcosa dal nulla ti dà una grande soddisfazione”.

Quindi dopo questo è arrivata la moto?
“No, c’è stato quel periodo di vuoto di cui ti ho accennato. Poi però qualcosa è cambiato con “Beat Yesterday” di Garmin, una campagna dedicata a persone che hanno deciso di superare i propri limiti, e alla quale Garmin ha coinvolto anche me. Il progetto arrivò dopo un momento difficile che fortunatamente si risolse. In quel momento decisi di dedicarmi esclusivamente alle due cose che contavano davvero: i miei figli e la salute. Non volevo più vivere correndo dall’alba fino a sera, senza nemmeno il tempo di accompagnare i miei figli a scuola. Così mi fermai, e solo dopo quel periodo maturai il desiderio di riprendere la moto. Non avevo neanche i soldi per farlo, ma dentro di me pensavo: Qualcuno mi pagherà per andare in moto“.
Quello che hai detto mi fa venire in mente una frase di Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay ed ex guerrigliero Tupamaros. La tengo da anni sulla mia scrivania. Dice così: “Non mi stancherò mai di spiegare che per essere liberi bisogna avere tempo da spendere nelle cose che ci piacciono, poiché la libertà è il tempo della vita che spendiamo nelle cose che ci motivano. Mentre sei obbligato a lavorare per sopperire alle tue necessità materiali, non sei libero, sei schiavo della vecchia legge della necessità. Se non poni un limite alle tue necessità, questo tempo diventa infinito. Se non ti abitui a vivere con poco, vivrai solo rincorrendo cose materiali, e la vita passerà senza che tu l’abbia davvero vissuta”.
Trovo che sia un pensiero straordinario, quasi un antidoto al nostro modo di vivere. Ci ricorda quanto sia importante capire il valore del tempo e usarlo per ciò che ci nutre davvero, invece di inseguire il denaro fine a sé stesso…
“Ecco, oggi io sono finalmente padrona del mio tempo”.
Bellissimo…
“Tutto ciò che sono oggi viene da quello che ho vissuto. Lo chiamo il mio “zainetto della vita”. Lì dentro c’è l’esperienza da attrice, utile quando faccio dirette o foto; quella del negozio, che mi ha insegnato a relazionarmi con le persone; e quella delle costruzioni, grazie alla quale ho imparato a organizzare progetti dall’inizio alla fine. Organizzare un viaggio non è molto diverso: progetti, accompagni gruppi, gestisci relazioni. Sono felice di aver trasformato una passione personale, la moto, nel mio lavoro”.

Com’è nata questa passione per la moto?
“Già a 12 anni volevo un motorino, ma mia madre non voleva comprarmelo perché mio fratello aveva avuto un incidente. Quando poi abbiamo cambiato casa e non c’erano mezzi per andare a scuola, i miei furono costretti a prendermelo. A 16 anni ho avuto un Fantic Strada 125 e a 21 una Honda 750”.
Che moto iconica! Mi ricorda Gianna Nannini, che è di Siena come me e anche lei aveva una Honda 750: un’icona sopra un’altra icona.
“Quella moto l’ho venduta quando ho deciso di sposarmi a 23 anni. Volevo una famiglia giovane, perché quando sono nata i miei erano già avanti con gli anni. Mia madre scherzando mi diceva: “Tu sei nata per sbaglio!” E io: Grazie mamma, ti voglio bene lo stesso!“
Fantastico!
“Nonostante la battuta, in effetti mia madre si ritrovò incinta a quasi quarant’anni e portò avanti la gravidanza sperando fosse una femmina: così arrivai io, coccola di casa, anche se ero piuttosto maschiaccio. Tornando a noi, la vita poi ha voluto che avessi figli con grandi differenze d’età: oggi hanno 35, 25 e due gemelli di 19 anni. Quando Davide, il primogenito, era piccolo, provai a riprendere una moto, una 650, ma dopo due cadute da ferma al semaforo e il furto della moto dopo appena tre mesi, capii che quello non era il momento giusto. Certi segni del destino bisogna ascoltarli”.

Sì, decisamente un segno del destino.
“Dal 2002 ho ricominciato ad appassionarmi alle Harley e praticamente non sono più scesa”.
Salutiamo Cromilla. Nella seconda parte, Monica ci racconta il suo primo viaggio importante, la magia dei raduni invernali, la vita da tour leader e l’amore per i chilometri condivisi. Alla prossima settimana
(1 – continua)

“Queste interviste, e quelle che seguiranno, sostengono il progetto ‘Karma on the Road’ – un impegno a lungo termine per fornire protesi ai bambini amputati – realizzato con il supporto di SienaPost e Moto Travel Summit, per diffondere storie di solidarietà e passione motociclistica.”
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