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venerdì, Aprile 25, 2025

Mototerapia, un lavoro e il modo di stare al mondo

Per Insoliti viaggiatori seconda parte di intervista Monica Dorigatti (Cromilla), niente da dimostrare ma tanto da raccontare tra chilometri e incontri

Dopo aver ripercorso le tante vite di Monica Dorigatti — tra set pubblicitari, negozi etnici e cantieri edili — ci eravamo lasciati nel momento in cui, superata una fase difficile, riscopre la moto come forma di libertà e rinascita personale.

Ora il viaggio entra davvero nel vivo: Monica ci porta con lei tra viaggi epici, trike gialli, rally sotto la neve, chilometri condivisi e quella “mototerapia” che è diventata il suo modo di stare al mondo.

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Riavvolgiamo il nastro della tua storia: qual è stato il primo viaggio che consideri davvero significativo, quello dell’imprinting? A Stefano Cipollone, comune amico, feci la stessa domanda e lui ricordò il suo primo viaggio sul Gran Sasso col 125 e la tenda, dicendo che quello lo ha portato a fare ciò che fa oggi. Per te invece qual è stato?

“Ho una storia simile: avevo circa 14 anni quando con due compagni di classe decidemmo di andare al Lago del Turano, distante circa 80 km da Roma. Io avevo un motorino Sì e l’altro un Boxer”.

Fantastico!

“Il terzo amico che aveva un Fifty ci diede buca, così io e Renzo, mio compagno di banco, partimmo comunque. Arrivammo al lago sotto un diluvio universale e tornammo zuppi, ma appena arrivati, scesi dal motorino, ci tuffammo subito nel lago. È un ricordo che conservo con molto piacere. Voglio però raccontarti anche come passai dal trike alla moto. Quando ricominciai ad andare in moto da adulta, volevo viaggiare insieme ai miei figli, ma non mi sentivo sicura sulle due ruote. Tutto cambiò quando vidi un bellissimo trike family, non come quelli che vedi di solito”.

In effetti io in Italia ne ho visti pochi, molti solo negli USA.

“Il primo trike che comprai aveva il motore del Maggiolone Volkswagen, due enormi marmitte e un lungo forcellone, un Easy Trike Family con due posti posteriori, ideale per viaggiare con i figli”.

Mai visti in Italia.

“Infatti, ma in Germania e Austria ce ne sono molti. Facevo comunque parte di un gruppo oltre 100 trike. Ero felicissima perché finalmente potevo avere il vento in faccia e portare con me i figli. Un giorno, però, dovevo andare a un raduno e il trike si ruppe. Il mio compagno insistette perché prendessi una delle moto dal garage. All’inizio non volevo, ma dopo un tentativo con la Sportster, che non mi convinse, provai con la Road King. Durante quel viaggio da Roma a Brescia e ritorno, capii che volevo una Road King tutta mia.
La comprai su eBay in America e per due anni la moto venne modificata tra Roma, il Delta del Po e Pescara. Una volta pronta, nel 2010, il mio primo grande viaggio fu fino a Capo Nord”.

Che storia fantastica!

“Sì, quindi direi che i due viaggi speciali della mia vita sono stati quello da ragazzina e poi quello che mi ha riportato definitivamente sulle due ruote. Avevo il freno a mano tirato dalla responsabilità verso i figli, ma alla fine non mi hanno mai limitata, anzi sono sempre stati la mia forza”.

E il primo grande viaggio lo hai fatto da sola o in compagnia?

“Quel primo viaggio con la Road King “prestata” fu da sola. Da quel momento decisi definitivamente di tornare alle due ruote, anche se ho continuato ad avere un trike Harley con cui viaggio tuttora. Non ho mai portato i figli in moto per prudenza, ma col trike sì, come quando Chiara mi ha accompagnato all’Elefantentreffen nel 2012, un’esperienza bellissima per entrambe”.

Ti sei subito sentita pronta per il grande viaggio o hai cercato un gruppo?

“All’inizio viaggiavo coi raduni del Chapter, che diventavano l’occasione per spostamenti anche lunghi in solitaria. Il mio primo vero viaggio completamente sola è stato il Krystall Rally del 2013 in Norvegia, un rally invernale impegnativo con neve e temperature rigide”.

Come ti sei organizzata per quel viaggio? Hai fatto modifiche particolari alla moto?

“Ero stata con Chiara all’Elefantentreffen l’anno prima e volevo qualcosa di più. Le proposi di venire, ma lei preferì restare per gli esami di terza media. A quel punto partii da sola, senza troppa programmazione, scegliendo un itinerario prudente e segnandomi le concessionarie Harley lungo la strada. Era inverno, viaggiavo con temperature fino a -17 gradi tra neve e vento; perciò, scelsi il trike per ridurre il rischio delle cadute. Alcuni mi dicevano che con tre ruote non vale, ma io rispondevo: Non vale secondo quale regola? Non voglio record, voglio solo fare questo viaggio, e farlo a modo mio“.

Ti capisco perfettamente, viaggiare da soli mette sempre alla prova, indipendentemente dal mezzo o dalle capacità. Durante l’ultimo viaggio ero solo in mezzo al deserto. Avevo guidato per ore, cadendo più volte, fino al punto da non riuscire più a rialzare la moto. Ero così stanco che pensai seriamente di dormire lì, in mezzo al nulla, dato che mancavano ancora 90 chilometri prima del primo centro abitato. Fortunatamente, dopo un’ora, arrivò un gruppo di ragazzi con moto da cross: mi aiutarono a sollevare la moto e mi dissero che dopo pochi chilometri la sabbia sarebbe finita. Così ripartii, arrivando col buio.
Questo è uno di quei momenti in cui ti accorgi che, anche quando ti senti sicuro, da solo certe situazioni rischiano di diventare non risolvibili. Anche una cosa banale, come rialzare la moto.

Poi c’è un altro aspetto: io, ad esempio, non amo viaggiare col buio. Tu come ti comporti?

“Anch’io, durante il viaggio al Krystall Rally, mi ero data una regola precisa: viaggiare solo di giorno”.

Giusto.

“Ovviamente andando a nord le ore di luce erano poche, quindi partivo mai prima delle 9:30 (per evitare il ghiaccio) e cercavo di fermarmi entro le 5 del pomeriggio. Nei trasferimenti più lunghi, ad esempio i 650 km dall’Italia alla Germania, facevo soste rapidissime per benzina e cibo. L’ultima parte del viaggio in Norvegia era spettacolare, tutta neve: il trike mi permetteva di divertirmi senza la paura di cadere, anche se non avevo gomme chiodate, ma solo termiche posteriori e una tassellata Heidenau davanti”.

Che tipo di motociclista sei in viaggio? Io preferisco tappe brevi (circa 300 km), fermandomi spesso a esplorare e fotografare. Tu?

“Alcuni trasferimenti sono inevitabili. Per arrivare in Norvegia, ad esempio, devi attraversare Austria e Germania: tappe lunghe, spesso solo di puro spostamento, specialmente d’inverno. Se uno vuole visitare la Germania, fa un viaggio apposta. Ma se la meta è la Norvegia, quei chilometri li devi fare. Quando devo andare nel nord Italia, ad esempio, preferisco il treno: in autostrada non mi diverto. La moto per me è sinonimo di viaggio, non di spostamento”.

“E poi – continua – ci sono due modi in cui viaggio: quello lavorativo e quello personale.
Nel lavoro è tutto organizzato: tappe, tracce, benzina, ristoranti, alberghi… c’è un piano preciso, salvo imprevisti. Nel privato invece è tutta un’altra storia: con il mio compagno abbiamo un’intesa perfetta. Se io ho fame, lui pure. Se ho voglia di fermarmi, lo stesso vale per lui. E lì divento bradipo: mi guardo intorno, parlo con tutti, mi godo il tempo”.

Preferisci viaggiare sola, con gruppi, o con qualcuno con cui sei in particolare sintonia?

“Dipende. Quando viaggio in coppia o con amici ovviamente si tende a stare nel gruppo ristretto. Con Fabio il mio compagno, ho grande serenità: spesso mi segue anche nei viaggi di lavoro, ma sa rispettare i miei spazi. Lui scherza dicendo che quando è in viaggio con me è scapolo“.

Fantastico!

“È fondamentale avere questa tranquillità reciproca, altrimenti sarebbe impossibile lavorare. Viaggiare da sola, invece, ti rende più aperta verso gli altri: una donna sola su un trike giallo, magari in una tempesta di acqua e vento, incuriosisce la gente che si avvicina per fare domande e conoscerti. Una volta, nelle Langhe, ho avuto un’esperienza bellissima. Mi trovavo lì per lavoro, promuovendo itinerari motociclistici, ma avevo anche tempo per esplorare da sola. In quei giorni decisi di visitare tutte le Big Bench, quelle grandi panchine panoramiche colorate che allora erano ancora poche. Fu straordinario, perché su ogni panchina incontrai qualcuno che mi raccontò la sua storia. Ricordo un ragazzo marocchino che non era mai tornato in Marocco e voleva sapere com’era il suo paese da me, che l’avevo visitato spesso. Su un’altra panchina incontrai una mamma separata in vacanza coi figli, e mi sentii subito in sintonia con lei. Infine, vicino a una panchina trovai un luogo molto particolare per dormire, vicino a un tempio buddista, dove una signora mi raccontò storie affascinanti sul posto. Insomma, viaggiando da sola si aprono possibilità d’incontro uniche”.

Mentre raccontavi mi hai fatto venire in mente una cosa successa in Australia. Mi ero fermato a fare colazione, adoro le egg benedict. La cameriera era cilena, così iniziamo a parlare e le racconto dei miei viaggi in Cile. Improvvisamente il suo viso cambia, diventa triste. Mi fermo, preoccupato, e lei mi risponde: “È che da quando sono qui non riesco più a tornare a casa. Non guadagno abbastanza per un biglietto aereo, e tu hai visto luoghi del mio paese che io non ho mai visto”. Quella frase mi è rimasta impressa.

“Mi è successa una cosa simile con quel ragazzo marocchino di cui ti dicevo”.

Mi vengono ancora i brividi se ci ripenso. Viaggiare è davvero un grande privilegio, anche se lo faccio sempre in modo semplice, non certo nel lusso.

“Il viaggio è il tuo tempo, quello che ti permette di staccarti completamente dagli impegni quotidiani, dagli orari e dal calendario”.

Curiosità: partecipi anche ai viaggi precursori, quelli di scouting?

“No, lavoro per un tour operator e mi occupo di viaggi stradali già collaudati: Tunisia, Algeria, Capo Nord, Grecia. Non sono coinvolta nelle prime fasi esplorative”.

Non ti stanchi mai di ripercorrere strade già viste?

“Prima di lavorare con Libermoto ero già stata in Tunisia sette volte. Certo, puoi variare leggermente l’itinerario, ma i punti principali restano gli stessi, un po’ come visitare Roma: Colosseo, Fontana di Trevi, San Pietro. Però ogni viaggio diventa unico grazie al periodo dell’anno, alle condizioni meteo e soprattutto alle persone che incontro. Ogni gruppo porta con sé storie diverse”.

È vero, il contatto umano è fondamentale, ogni volta diverso.

“Con i gruppi devi adattarti rapidamente: ti trovi improvvisamente con 15-20 persone sconosciute con cui condividi tutto, per esempio nei viaggi verso Capo Nord, che durano 23 giorni e 10.000 km. Si crea sempre un legame speciale, perché per loro non sei solo un tour leader, ma la “fatina” che li aiuta a realizzare il loro sogno”.

Non sono mai stato a Capo Nord, forse non ho trovato l’occasione giusta.

“Ti assicuro che la Norvegia è meravigliosa”.

Ti prometto che ci andrò.

“Ci sono strade spettacolari, come l’Atlantic Road, anche se in estate perde un po’ di fascino per via dei camper. Personalmente preferisco strade secondarie, con panorami mozzafiato sui fiordi e sull’oceano. Una cosa incredibile della Norvegia è la sensazione di sicurezza che provi vedendo case senza recinzioni né grate”.

È vero, casette colorate immerse nella natura, senza nulla intorno.

“In Italia avremmo già messo recinti, telecamere, cancelli, cani e allarmi!”

Nel mio girovagare ho scelto alcuni luoghi speciali per quando non potrò più viaggiare molto, come Grenivík in Islanda. Credo sia bello anche in inverno, ma forse meglio andarci in primavera.

“Il mio sogno invece è tornare in Norvegia proprio d’inverno”.

Io nei primi mesi dell’anno di solito viaggio nell’emisfero sud: Patagonia, Australia, Nuova Zelanda. Sono luoghi dove, anche se è estate, fa sempre abbastanza fresco.

“Io questi viaggi non li ho fatti per “colpa” dei figli. Ovviamente scherzo: li ho voluti e non sono mai stati un limite, semplicemente preferivo stare con loro. Quando partivo, la prima settimana mi godevo il viaggio, dalla seconda iniziava la malinconia. Ho cominciato a fare viaggi lunghi, come Capo Nord, quando i ragazzi erano più grandi”.

Come tour leader, quando succedono imprevisti come moto guaste, avete un meccanico al seguito?

“No, niente meccanico. Abbiamo un furgone con attrezzature base, principalmente kit per gomme. Evitiamo interventi profondi perché le moto sono diverse. Personalmente non capisco nulla di meccanica e preferisco delegare questa parte tecnica a chi ne è capace. Io mi occupo di organizzare e viaggiare”.

Che dinamiche si creano nei vostri gruppi? Io, ad esempio, non amo molto viaggiare in gruppi numerosi.

“Nei nostri viaggi il gruppo è limitato a 12 moto. Il tour operator con cui lavoro ha scelto questo approccio proprio per favorire relazioni autentiche: con troppa gente, non riesci nemmeno a imparare i nomi”.

Concordo pienamente.

“E con numeri così gestibili, se c’è un piccolo problema — una foratura o una pedalina che si stacca — cerchiamo di risolvere sul momento. Altrimenti abbiamo il furgone d’appoggio che può caricare la moto fino alla sosta successiva, dove troviamo un meccanico”.

Quello che trovo più difficile nei viaggi di gruppo sono i rifornimenti e l’attesa per chi è in ritardo. Come fai a tenere unito il gruppo?

“All’inizio del viaggio faccio sempre un breve briefing con poche regole, ma chiare. La puntualità è fondamentale: se rispettiamo gli orari possiamo fare più soste, goderci i luoghi o rilassarci prima. Di solito lo capiscono tutti. Se qualcuno arriva in ritardo, cerco di aiutarlo a reintegrarsi senza creare tensioni. Se c’è un imprevisto vero, basta avvisare e il furgone aspetta. Ma non posso fermare tutti perché qualcuno ha deciso di dormire mezz’ora in più”.

Chiaro.

“Non mi arrabbio quasi mai, anche perché non soffro di antipatie: è un vantaggio enorme nei viaggi di gruppo. Ogni persona ha il suo stile e le sue abitudini. Per questo do sempre le tracce GPX, così ognuno può seguire il proprio ritmo senza obblighi”.

Giustissimo.

“Rispettiamo chi va più piano, ma lasciamo divertire anche chi vuole “aprire il gas”. Quando il percorso lo consente, do il via libera, poi nei punti di incrocio ci si ricompatta”.

Ottimo. Una domanda utile per chi ci legge: spesso mi sento dire “non ho la moto giusta”. Tu cosa rispondi?

“Hai presente un Road King 1340 a carburatori?”

Certo.

“È proprio con quello che ho fatto il mio primo viaggio a Capo Nord. E non una sola volta: due viaggi da 10.000 km partendo dall’Italia. Con la stessa moto ho fatto Tunisia, Marocco, Grecia, Spagna… e perfino la Via del Sale”!

Una strada stretta e sterrata, l’ho fatta anch’io!

Sì, e l’ho fatta proprio con quel Road King — di certo non la moto ideale per quel percorso! Era una scommessa con il direttore dell’ATL del Cuneese che mai avrebbe creduto che mi sarei presentata davvero. È ovvio che ogni moto ha il suo contesto: con un enduro sarebbe stato tutto più semplice, ma l’ho fatto per gioco e passione”.

È ovvio, ci sono moto pensate per ogni tipo di viaggio.

“Esatto. Una ragazza, ad esempio, ha viaggiato con noi su una Kawasaki Ninja 400, senza problemi — ma i nostri sono viaggi stradali. Quando voglio divertirmi davvero, mi concedo qualcosa di più audace. Comunque la “moto ideale” dipende: per il viaggio o per la persona? Per me è quella che mi dà emozioni. La mia moto del cuore resta il Road King 1340, anche se è meno performante. Quel suo “pop-pop” mi fa sorridere. Per lavoro, però, uso una BMW GS700, decisamente più comoda”.

L’ho usata anche io in tanti viaggi. E ti capisco: io chiamo “mototerapia” il mio tempo con la Bonneville 1200. Ha un suono da baritono che mi rilassa.

“Ti capisco benissimo. È quella sensazione per cui vorresti abbracciarla”.

Esatto, proprio così, è la mototerapia.

“Ecco perché, per me, la moto ideale resta il mio “re”, il Road King”.

Mi dicevi di esperienze editoriali e comunicazione. Ti va di raccontarmele?

“Tutto è iniziato nel 2017, sul palco del Roma Motodays, dove intervistavo moto viaggiatori e operatori del settore. Da lì è nato anche il rapporto con l’ATL del Cuneese e la celebre scommessa della Via del Sale. Un giorno mi dissero: “Hai fatto l’Elefantentreffen e il Krystall, ma non l’Agnellotreffen?”. E io: “Ok, vengo anche all’Agnello!”. Così ho iniziato a frequentare le Valli del Cuneese e ho collaborato con il sindaco di Casteldelfino, Alberto Anello, molto attivo nella promozione mototuristica. Abbiamo organizzato diverse iniziative, tra cui la “Casteldelfino Raid Experience”. L’evento Agnello Bikers Republic un mese e mezzo in cui ho accompagnato motociclisti alla scoperta del territorio. Poi un evento dedicato nell’ambito del progetto europeo Terres Monviso“.

“All’interno di quel progetto – continua – è nata la guida “MotoViso”. Ero in lizza con Fabrizio Bruno, un tour operator e viaggiatore incredibile, un vero ex Marlboro Man. Invece di competere, gli ho proposto di lavorare insieme. Lui era più forte nella scrittura di itinerari, io nella parte social e comunicazione. È nata una collaborazione bellissima e molto professionale. La guida oggi si trova nelle Porte di Valle e in PDF online, completa di tracce GPX”.

Un progetto davvero coerente con ciò che fai oggi.

“Esatto”.

Un tassello che completa il tuo profilo.

“E che prosegue anche nella mia pagina Facebook, che uso come un blog. Racconto itinerari, prendo appunti, condivido esperienze. È bellissimo quando qualcuno segue un percorso che ho descritto e mi manda una foto per ringraziarmi”.

Parliamo dei raduni invernali: l’Agnellotreffen, il Krystall… perché ti appassionano così tanto?

“Perché la neve è magica: ovatta i rumori, tutto brilla. E poi ci sono i personaggi folli che partecipano! Inventano di tutto pur di arrivarci in moto: catene fai-da-te, sci laterali, moto coperte di pellicce, sidecar rosa, perfino vasche da bagno con l’acqua calda. Io col trike, al confronto, sono normale! E poi c’è il fuoco. La sera ci si raduna attorno, si cucina, si chiacchiera, si ride. È un’atmosfera unica”.

Sei riuscita a coinvolgere tutti i tuoi figli in questi viaggi?

“La prima è stata Chiara. In un raduno invernale vietato alle donne mi disse: “Andiamo all’Elefante?”. Detto, fatto. Poi anche Federico mi disse: “Mamma, Chiara sì e io no?”. Così lo vestii con le mie cose: sembrava uno stoccafisso, ma era felice!”

Me lo immagino, tipo zombie!

“Siamo andati insieme all’Agnellotreffen, dove è diventato la mascotte del gruppo. Due anni fa ha preso la patente, e il giorno dopo ha fatto con me 500 km per andare da Stefano Cipollone a Ortona, affrontando pioggia, vento e sterrati. Tornato a casa, gli ho chiesto: “Come guido?”. E lui: “Guidi da donna”. Mi sono infuriata! Poi ha riso: “Guidi piano, per non perdermi!”.Qualche tempo dopo, in un giro vicino casa, ho aperto il gas e l’ho seminato. Mi ha guardato stupito: “Oh, ma te… sei andata via!”. E non ero io quella che guidava da donna?

Bellissimo. Ma parliamo di questo tuo cambio mestiere ogni dieci anni. A che punto sei ora? Quando pensi che cambierai ancora pelle?

“Probabilmente quando il fisico inizierà a dirmi di rallentare. Vado per i 60, anche se non me li sento affatto, ma la carta d’identità è quella. Per ora reggo bene: un viaggio al mese lo faccio ancora volentieri, anche perché i figli sono grandi e ho più libertà. Però ho già messo in conto che prima o poi dovrò rallentare. Sto iniziando a occuparmi di più della community di Libermoto: creo occasioni d’incontro, do una mano nell’organizzazione degli itinerari… magari in futuro farò meno chilometri e più pianificazione. E poi ho voglia di viaggiare anche per conto mio, con calma. Avevo in mente di tornare in Norvegia quest’anno per vedere finalmente l’aurora boreale: un bel giro con il trike tra Agnellotreffen, Elefantentreffen, Krystall Rally, e poi su alle Lofoten verso fine inverno.
Purtroppo sono caduta a piedi! E mi sono rotta una mano, così… sono finita a Zanzibar! La mano ora è guarita e sono ripartita con i tour”.

Posto comunque bellissimo, e caldo!

“Infatti! Dai, diciamo che sono ancora nella fase centrale di questo decennio… c’è tempo per cambiare di nuovo. Grazie davvero per questa bellissima chiacchierata”.

Grazie a te, Monica. A presto!

Il viaggio continua: nelle prossime settimane, nuovi motociclisti, nuove rotte e lo stesso desiderio di libertà.

(2 – fine)

“Queste interviste, e quelle che seguiranno, sostengono i progetti solidali di ‘Karma on the Road’ – un impegno a lungo termine – realizzato con il supporto di SienaPost e Moto Travel Summit, per diffondere storie di solidarietà e passione motociclistica.”

Contatti mail: luca@gentiliblog.it

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