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mercoledì, Aprile 23, 2025

“Ci vogliono togliere il medico di famiglia. Ma senza di noi, la sanità pubblica muore”

Dialogo con Maurizio Pozzi, presidente di Medici 2000 e Sanicoop

Voce storica della medicina generale toscana, e figura di riferimento di Legacoop nel settore, Maurizio Pozzi ha scritto ai Sindaci della provincia di Siena per lanciare un grido d’allarme: salvare la medicina di base è possibile, ma serve coraggio politico e visione.

Con Maurizio, ci conosciamo da tempo, e conosco bene la sua passione per la medicina di famiglia, la tua dedizione ostinata ai pazienti, anche quando – lo so – finisci le giornate con le ossa rotte. Ma stavolta lo sento più preoccupato del solito.

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Hai scritto ai sindaci della tua provincia una lettera molto forte. Cosa ti ha spinto a farlo?

“Quello che sta accadendo è grave. Non parlo solo da medico o da presidente di una cooperativa. Parlo da cittadino. Siamo di fronte a un attacco sistemico alla medicina generale, travestito da riforma. Vogliono concentrare tutto nelle Case della Comunità, spingere per la dipendenza del medico di base come se fossimo tutti “pezzi” intercambiabili in una macchina. Ma se fai così, spezzi qualcosa di essenziale: la relazione fiduciaria con le persone. Il legame umano, la continuità, la prossimità. Senza questi elementi, la medicina territoriale crolla. E con essa, la sanità pubblica”.

Eppure ti sentiamo spesso dire che il sistema ha bisogno di cambiare. Perché questo no, allora?

“Certo che va cambiato. Il problema è come lo vuoi cambiare. Quello che vedo è un progetto miope, costoso e sbagliato nei presupposti. Le Case della Comunità vanno benissimo, ma non devono sostituire la capillarità degli studi medici. Non puoi pretendere che i cittadini di una valle montana facciano 30 chilometri per vedere il proprio medico. Non puoi concentrare tutto in pochi poli e poi raccontare che stai rafforzando il territorio”.

C’è un nodo che ritorna sempre, nella tua lettera e nelle tue parole: la libertà di scelta. Perché è così cruciale?

“Perché la medicina generale non è una prestazione: è una relazione. La gente sceglie il proprio medico, lo conosce, ci costruisce un patto implicito, anche affettivo. Non si può “assegnare” un medico come si assegna un turno in fabbrica. E poi, dietro quella scelta c’è fiducia, storia clinica, conoscenza del contesto familiare, del territorio. E c’è continuità: oggi curo un’influenza, domani riconosco un tumore in fase precoce. È questo che salverà la sanità pubblica, non l’ennesima riforma fatta a tavolino”.

Eppure da anni si denuncia la crisi dei medici di base: troppi pensionamenti, poche borse, scarsa attrattiva per i giovani. Non è anche un fallimento vostro, come categoria?

“Guarda, io non difendo i privilegi. Abbiamo fatto i nostri errori. Ci sono medici che si sono chiusi, che hanno resistito al cambiamento. Ma oggi siamo pronti. Lo abbiamo dimostrato: abbiamo firmato un Accordo nazionale che prevede un “ruolo unico”, abbiamo chiesto le Aggregazioni Funzionali Territoriali, abbiamo ristrutturato i nostri studi a spese nostre, assunto collaboratori, informatizzato tutto. Durante il Covid abbiamo tenuto aperti gli ambulatori, vaccinato le persone fragili, evitato l’implosione. Siamo pronti a cambiare, ma dentro un modello che non tradisca la nostra identità”.

A proposito di modelli: la legge Balduzzi, ormai più di dieci anni fa, ha provato a indicare una strada per integrare meglio ospedale e territorio. Qualcosa, in Toscana e anche nella provincia di Siena, è stato fatto…

“Sì, la Toscana è stata tra le Regioni più attive, puntando sulla presa in carico dei pazienti cronici e sulla sanità d’iniziativa. E nella provincia di Siena si è lavorato bene. In Amiata e nella zona senese, si sono avviati progetti-pilota che hanno cercato di integrare davvero medicina generale, infermieri di comunità, servizi sociali, ospedale. Non tutto è stato perfetto, ma la direzione era giusta. Il problema ora e’ che si rischia di buttare via anche quello che funzionava”.

Appunto. E se invece lo cambiano lo stesso, e senza di voi?

“Il rischio è altissimo. Se rompi questo equilibrio, se svuoti i territori, se fai fuggire i giovani dalla medicina generale, resteranno solo i privati. E lo dico con amarezza: ci sarà chi può permettersi un medico e chi no. Altro che universalismo. È una china pericolosissima, e le prime a pagarla saranno le persone più fragili”.

Come presidente di Sanicoop e membro di Legacoop, hai anche una responsabilità nazionale. Cosa dici al Governo?

“Che ci ascolti. Non siamo un ostacolo, siamo una risorsa. Le cooperative mediche non vogliono sostituire il pubblico, lo vogliono sostenere. Siamo pronti a fare la nostra parte, anche in una nuova organizzazione, purché si riconosca il valore del nostro lavoro, la prossimità, l’autonomia professionale. Non vogliamo diventare ingranaggi, vogliamo restare medici. Di base, sì. Ma nel senso più alto del termine”.

Maurizio, l’ultima cosa. Perché hai scritto quella lettera ai sindaci, non alla Regione o Ministero?

“Perché i sindaci conoscono i territori, la gente, le difficoltà quotidiane. Sono stati spesso lasciati soli, come noi. Sapevo che avrebbero capito il tono, la gravità. Ho chiesto loro di alzare la voce insieme a noi. Non per difendere una categoria, ma per difendere un modello che funziona, quando è messo in condizione di funzionare. E sai una cosa? Mi hanno scritto in tanti, anche commossi. La gente lo capisce, sai. I pazienti capiscono. Speriamo che lo capisca anche chi governa”.

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