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sabato, Giugno 14, 2025

Il tempo giusto di Daniele, scelta consapevole nel rispetto di legge e dignità

A Chiusi il primo suicidio medicalmente assistito in casa. Il gesto di Daniele Pieroni apre una riflessione silenziosa ma necessaria su libertà, sofferenza e umanità

Il 17 maggio, alle 16:47, nella sua casa a Chiusi, lo scrittore e poeta Daniele Pieroni si è spento serenamente dopo essersi autosomministrato un farmaco letale. Aveva 64 anni ed era affetto dal morbo di Parkinson dal 2008. Negli ultimi tempi la malattia aveva preso il sopravvento: gravi difficoltà respiratorie, disfagia, dipendenza totale da una PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) attiva per 21 ore al giorno. Una vita che ormai si era fatta sopravvivenza, senza prospettive né sollievo, ma che Daniele aveva affrontato con lucidità, cultura e una sensibilità poetica fuori dal comune.

La sua è stata una scelta meditata, non improvvisa, maturata nel corso di anni e formalizzata lo scorso 31 agosto 2023, quando aveva inoltrato all’ASL Toscana Sud Est la richiesta di accesso alla procedura di suicidio medicalmente assistito, come previsto dalla sentenza 242 della Corte Costituzionale del 2019 (nota come sentenza Cappato-Dj Fabo).

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Quella sentenza aveva aperto uno spiraglio nella legislazione italiana, stabilendo che l’aiuto al suicidio non è punibile in presenza di quattro condizioni: la persona deve essere capace di intendere e volere, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che giudica intollerabili, e dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

Tutti elementi presenti nella situazione di Daniele. Il 22 aprile 2025 l’ASL gli ha comunicato il via libera alla procedura, confermando quanto già espresso dal Comitato etico e dal gruppo multidisciplinare dell’azienda sanitaria.

A quel punto si è aperta per lui la possibilità concreta, e legale, di scegliere il tempo e il modo della propria fine. Ha deciso di restare nella sua casa, circondato dalle persone che amava e che lo hanno accompagnato con rispetto e dolcezza in quell’ultimo passaggio. C’erano due dottoresse, un medico legale, una delle sue badanti, l’amico fiduciario, alcuni familiari, e rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni, che lo aveva seguito in tutto il percorso. Una delle dottoresse, su base volontaria, ha preparato le due pompe a rilascio automatico del farmaco; Daniele ha premuto il tasto che ha attivato il meccanismo. Tre minuti dopo, alle 16:50, era morto. Serenamente, senza dolore, con una compostezza che ha colpito tutti i presenti.

Si è trattato del primo suicidio medicalmente assistito in Italia realizzato interamente a norma di legge e interamente a casa. Un fatto che, per quanto intimo e personale, assume anche un valore civile e pubblico. La Toscana è stata la prima regione italiana ad approvare, nel febbraio di quest’anno, una legge attuativa – chiamata “Liberi Subito” – per rendere effettive le procedure di accesso al suicidio medicalmente assistito secondo la sentenza della Consulta. Una legge che prevede tempi certi, definisce ruoli e responsabilità delle ASL e garantisce il diritto delle persone a ricevere una risposta entro 37 giorni dalla richiesta. Proprio quella norma ha permesso a Daniele di compiere la sua scelta nel rispetto della legalità, dell’etica medica e della dignità umana. Nonostante il Governo abbia recentemente impugnato quella legge regionale davanti alla Corte Costituzionale, essa è tuttora in vigore, e la vicenda di Chiusi dimostra come possa funzionare senza forzature, né scappatoie, né ambiguità.

Daniele era consapevole del significato del suo gesto. Non ha chiesto attenzione, non ha voluto trasformare la propria scelta in una battaglia ideologica. Ma ha lasciato una traccia. La traccia di una possibilità, di un diritto esercitato con sobrietà e senza rumore. Il suo volto sereno, come raccontano coloro che erano presenti, resta impresso come una forma di testimonianza: quando una legge è giusta, non produce clamore, ma silenzio. Un silenzio pieno, carico di senso e rispetto. Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha dichiarato che la legge “ha colmato un vuoto, offrendo alle persone una risposta concreta e tempestiva”. Anche la vicepresidente Stefania Saccardi e i rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni hanno sottolineato la responsabilità e l’umanità con cui le strutture sanitarie hanno accompagnato Daniele in tutte le fasi. Non era scontato. In molti casi, anche dopo la sentenza della Consulta, si sono verificate resistenze, ritardi, omissioni. Invece a Chiusi, in Toscana, è successo ciò che dovrebbe sempre accadere: una persona malata, sofferente, lucida, ha potuto decidere quando smettere di soffrire, e lo ha fatto nel pieno rispetto delle regole e della propria coscienza.

Questo non è un traguardo. È un punto di passaggio. Il Parlamento discute da anni una legge nazionale che regoli con chiarezza e omogeneità queste situazioni, ma finora senza esito. È atteso per luglio un testo unico che riunisca le diverse proposte, ma i tempi della politica sono lenti, e le storie individuali hanno bisogno di risposte qui e ora. Daniele non ha aspettato lo Stato: ha trovato nella legge regionale, e nella disponibilità di medici e istituzioni locali, il modo per non trasformare il dolore in disperazione. La sua vicenda non chiede un giudizio. Non esige un applauso. È un invito al rispetto. Rispettare la libertà di chi sceglie di vivere fino all’ultimo secondo, ma anche di chi sceglie – consapevolmente e senza nuocere ad altri – di dire basta. È un invito alla politica a non trincerarsi dietro le ideologie, ma a guardare in faccia la realtà di chi, ogni giorno, si interroga su come affrontare la fine. Daniele Pieroni, con la sua poesia e la sua lucidità, ci ha lasciato una traccia lieve ma profonda. Ha avuto il tempo giusto. E ha avuto il diritto di sceglierlo.

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