Il Tuscany Camp: dall’aeroporto di Ampugnano alla Cina, passando per l’Uganda
C’è un luogo in provincia di Siena, tra la quiete della Val di Merse e l’eco della grande atletica internazionale, dove si incrociano talenti da tutto il mondo, ambizioni olimpiche e visioni di sviluppo territoriale. È il Tuscany Camp, fondato e diretto da Giuseppe Giambrone, uno dei protagonisti meno appariscenti ma più determinati del panorama dell’atletica leggera italiana.
Tecnico, fondatore del Tuscany Camp e ideatore di progetti, Giambrone è stato al fianco di atleti come Jacob Kiplimo, Solomon Mutai e Oscar Chelimo (oltre a molti altri), accompagnandoli fino alle medaglie iridate e olimpiche.

Ma è anche la mente dietro un’idea coraggiosa: integrare nell’area circostante l’aeroporto di Ampugnano un centro di preparazione sportiva internazionale, capace di attrarre eventi, delegazioni e investimenti da tutto il mondo.
Nel 2021, in piena pandemia, è riuscito a organizzare, proprio su quella pista di atterraggio, una gara valida per la qualificazione olimpica, in collaborazione con la federazione internazionale di atletica, la FIDAL, la Maratona di Xiamen e la Federazione Cinese di Atletica. Un’operazione che ha lasciato un segno e ha aperto nuovi scenari: tra questi, la possibilità di consolidare i rapporti con la Cina, rafforzare il legame con l’Africa e generare un modello sportivo sostenibile e territoriale.
In questa intervista, Giambrone racconta le sue idee, i suoi percorsi e i suoi progetti. Dall’internazionalizzazione dell’atletica al ruolo della scienza nello sport, dalla relazione con le istituzioni locali fino alla possibilità di coniugare sport, formazione e turismo, emerge il profilo di un uomo che ha fatto della corsa non solo una disciplina, ma una direzione.


Come è nata l’idea di integrare nell’aeroporto di Ampugnano un centro di eccellenza per l’atletica leggera e per molti altri sport?
“L’idea era nata in occasione della maratona olimpica che si era svolta lì, ma all’epoca era rimasta una suggestione, non aveva preso corpo e non ci si era investito tempo. Poi, qualche mese fa, ho ricevuto una telefonata da Piero Spinelli: mi ha raccontato che aveva in mente questo progetto e io gli ho risposto che anch’io avevo pensato a qualcosa di simile. Da lì ci siamo trovati in sintonia. È stato lui a risvegliare e promuovere questa iniziativa, che io ho colto al volo, decidendo di impegnarmi per portarla avanti. Inizialmente si era valutata anche l’ipotesi di chiudere l’aeroporto per trasformarlo completamente, ma si tratta di un’operazione molto complessa e delicata, anche perché significa rinunciare a un’infrastruttura pubblica che, per quanto poco utilizzata, potrebbe comunque tornare utile. Quindi si è scelto un approccio di convivenza pacifica: nell’area aeroportuale ci sono 180 ettari di terra, di cui solo circa la metà è impegnata nell’area strettamente operativa, quella “sterile”. I restanti 90-100 ettari, oggi completamente abbandonati, sono esterni a questa zona. L’idea è prendere in gestione proprio questi terreni, riqualificarli e trasformarli in un centro sportivo polifunzionale, dedicato non solo all’atletica ma anche ad altri sport oltre che ad aree di utilità pubbliche e sociali”.

Che tipo di struttura sportiva immagina per quell’area? Ci può fare un quadro dei possibili impianti, servizi e target di atleti?
“Gli sport principali che potrebbero essere ospitati sono naturalmente quelli dell’atletica leggera: pista, pedane per i lanci (martello, disco, giavellotto), corsa campestre, corsa su strada, e così via. C’è poi l’idea di riqualificare la vecchia pista di go-kart, già asfaltata ma oggi deteriorata, e trasformarla in una pista per il pattinaggio su strada. Sarebbe un’opportunità importante per tanti giovani atleti senesi, anche di livello internazionale: abbiamo campioni del mondo che attualmente sono costretti ad allenarsi su strade trafficate, rischiando ogni giorno. Vorremmo anche realizzare una palestra grande, di circa 600 mq, riqualificando l’edificio dell’ex ristorante, senza costruire nulla di nuovo: solo recuperando quello che già c’è e che oggi è abbandonato. Una struttura del genere, ben fatta, manca del tutto in questa zona e sarebbe preziosa per tutta la comunità”.
“Un altro elemento molto richiesto – continua Giambrone – è la piscina, utile sia per i corsi e le attività estive per bambini e famiglie, sia per attrarre atleti e appassionati di triathlon, un segmento turistico di alto livello. Poi tennis, padel e altri sport molto diffusi, per offrire servizi anche ai turisti che soggiornano negli agriturismi e nelle strutture ricettive della zona. L’idea è creare un punto di riferimento che arricchisca l’offerta sportiva, turistica e sociale dell’intero territorio. Ci sarà spazio anche per aree verdi e spazi pubblici: zone picnic, barbecue, percorsi vita, aree gratuite e aperte a tutti, un’area cani etc… C’è anche l’idea di un anello da 6 km di corsa campestre tutto su prato attorno all’area aeroportuale. Inoltre, attrezzi da esterno per il fitness, percorsi salute, per incentivare l’attività fisica all’aperto e migliorare il benessere della popolazione”.
“Investire in salute, prevenzione e qualità della vita – conclude – significa anche risparmiare sulla sanità. E da queste parti mancano totalmente spazi pubblici per lo sport: ci sono pochissimi parchi attrezzati in tutta la Val di Merse. Questo centro potrebbe servire un bacino vasto, non solo la Val di Merse ma anche la zona senese, che ne avrebbe grande bisogno. Infine, è importante sottolineare che questa proposta guarda anche ad attività di alto livello. Per esempio, per due anni abbiamo ospitato la nazionale cinese di atletica, che qui si è allenata nelle discipline dei lanci, ottenendo poi medaglie mondiali. È un esempio concreto delle potenzialità di un centro ben strutturato: può attirare atleti internazionali, creare sinergie, e valorizzare il territorio anche dal punto di vista sportivo e culturale”.

A che punto è il progetto? Ci sono interlocutori istituzionali già coinvolti, come Regione, Comune di Sovicille o Università?
“Il progetto è praticamente pronto. Siamo in una fase in cui vogliamo avviare un confronto con le istituzioni, a partire dal Comune di Sovicille, che sta mostrando grande interesse e supporto. Ci sono anche diversi investitori privati disponibili a partecipare. Il problema principale, al momento, non è di tipo economico, ma normativo: serve verificare la fattibilità giuridica dell’intervento e la possibilità di ottenere una gestione temporanea dei terreni per sviluppare le attività. Per quanto riguarda i rapporti con l’Università, c’è già un forte interesse da parte di enti accademici e scuole cinesi, che vorrebbero mandare qui studenti e atleti per esperienze di studio e allenamento. Con l’Università di Siena non sono ancora stati formalizzati accordi, ma è un passaggio che intendiamo affrontare una volta verificata la fattibilità del progetto. Prima serve il via libera normativo, poi si potrà passare agli accordi operativi. Inoltre, abbiamo relazioni consolidate con alcune federazioni estere molto importanti: l’Arabia Saudita, la Cina – di cui sono responsabile tecnico per il settore corsa -, alcune federazioni del Nord Europa e del Qatar. C’è grande interesse, anche da parte di agenzie estere specializzate nel turismo sportivo, nel proporre questo tipo di esperienze a sportivi amatori e professionisti. Se il progetto dovesse partire, l’aspetto universitario sarebbe cruciale: permetterebbe l’arrivo di studenti-atleti, soprattutto cinesi, che qui potrebbero sia allenarsi ad alti livelli sia studiare. L’interesse della Cina va oltre la corsa: se ci saranno strutture adatte, potrebbero svilupparsi anche discipline come biathlon, triathlon e altre attività, con grandi potenzialità sportive, turistiche ed economiche”.

Ha avuto interlocuzioni con i rappresentanti del mondo economico e commerciale locale?
“Come ho detto prima, ci sono molti imprenditori interessati a sviluppare questo tipo di progetto aggiuntivo: non solo locali, ma anche internazionali. L’idea è quella di creare posti di lavoro, recuperare poderi oggi completamente abbandonati per trasformarli in piccoli agriturismi, sviluppare un modello di hotel diffuso sull’intero territorio, riqualificare case disabitate e rilanciare quei borghi che stanno via via spopolandosi. Abbiamo già ricevuto diversi segnali di interesse da parte di persone che possiedono case o poderi nella zona, e che hanno manifestato la volontà di ristrutturarli per destinarli all’accoglienza turistica. C’è infatti un’evidente carenza di posti letto, che rappresenta una delle criticità attuali: ma proprio questa criticità può trasformarsi in un’opportunità. L’aumento della domanda porterà inevitabilmente a investimenti per il recupero degli immobili esistenti. Voglio ribadirlo con chiarezza: nessuna nuova struttura, nessuna cementificazione, nessun impatto inquinante. Solo il recupero di case già esistenti, spesso ridotte a ruderi, che potranno tornare a vivere e a generare economia, con un impatto ambientale pari a zero. L’obiettivo è quello di creare, sull’intera area, una sorta di villaggio turistico diffuso. Non si prevede alcun aumento di cemento o asfaltature: il paesaggio resterà com’è, semplicemente riqualificato. Gli atleti e i visitatori che già in parte arrivano – e che potranno aumentare grazie ai nuovi servizi – raggiungono la zona in aereo, atterrando a Roma, Pisa o Firenze, e non utilizzano l’auto privata. Questo significa minore inquinamento e nuove opportunità anche per le imprese locali che offrono servizi di trasporto con conducente o altre forme di mobilità sostenibile”.

Qual è la filosofia fondativa del Tuscany Camp? In cosa si distingue rispetto ad altri centri di preparazione atletica?
“Il Tuscany Camp si distingue da altre realtà perché è una società — una SRL — che offre servizi a atleti, manager e altre figure. Ha creato un sistema di facilitazioni nel territorio per permettere a federazioni, atleti e altri di allenarsi qui, usufruendo di percorsi misurati e di altre strutture. Ad esempio, gli studi medici di San Rocco sono disponibili per curare gli atleti e offrono altre connessioni funzionali all’attività sportiva. Una particolarità del Tuscany Camp riguarda poi gli atleti “interni”, quelli che seguo direttamente e che vivono qui tutto l’anno. A loro abbiamo dato in comodato d’uso gratuito con cessione di fabbricato regolare una splendida villa settecentesca, dove vivono in autogestione. Non pagano l’affitto: lo copre il Tuscany Camp attraverso gli sponsor. Sono loro stessi a cucinare, pulire, lavarsi, insomma a gestire la casa, come in una grande famiglia. Questo ha un doppio vantaggio: un risparmio economico importante perché non serve creare un ristorante o un servizio di pulizie dedicato, ma soprattutto è una scelta filosofica. L’obiettivo è far crescere mentalmente e fisicamente gli atleti. I giovani talenti selezionati possono vivere a contatto diretto con i loro idoli, i campioni che vincono medaglie. Li vedono come persone normali, con problemi e sacrifici, e non come eroi irraggiungibili. Vivendo, mangiando e allenandosi insieme, i ragazzi creano una mentalità di altissimo livello: possono emulare i loro idoli senza timore reverenziale, e vedono anche che il successo non “monta la testa”, perché tutti — dai campioni ai più giovani — devono contribuire alle faccende quotidiane. Questo clima spinge anche i campioni a mantenere alta la concentrazione e la disciplina, perché sanno che i giovani hanno fame e vogliono superarli. È un circolo virtuoso che fa bene a tutti. Questa idea non è nata come progetto imprenditoriale, ma come scelta tecnica per creare un ambiente favorevole alla crescita di atleti mentalmente e fisicamente preparati”.

Quali sono le metodologie di allenamento e i modelli scientifici a cui si ispira?
“Uno dei miei punti forti è lavorare non solo sull’aspetto tecnico e fisico della corsa, ma anche su quello psicologico. Oggi lo sport di alto livello non è solo corpo, ma soprattutto mente. Questo è il futuro e noi stiamo investendo molto su questi aspetti. Inoltre, l’educazione è fondamentale, soprattutto per gli atleti africani. Per molti di loro arrivano soldi e fama, ma se non sono ben educati rischiano di perdere la testa, cadendo in alcolismo, droga o altri problemi, spesso con esiti tragici. Per questo insegniamo loro l’inglese, l’uso di strumenti come Excel, e li formiamo anche per un futuro imprenditoriale. Questo approccio non solo li aiuta a evitare la deriva, ma permette anche di reinvestire i guadagni in attività nei loro villaggi di origine, creando lavoro e sviluppo locale. Alcuni atleti che abbiamo formato sono oggi imprenditori con decine di dipendenti in Uganda, e questo è un motivo d’orgoglio per noi: non diamo soldi a pioggia, ma costruiamo una rete di sviluppo reale e duraturo. Allo stesso tempo, per gli atleti che rimangono in Europa, offriamo una formazione che dà loro un valore aggiunto a fine carriera, rendendoli protagonisti anche fuori dallo sport. L’obiettivo è che possano diventare ambasciatori e volti attrattivi per il turismo sportivo, contribuendo a far crescere il progetto nel suo complesso. Inoltre, con il nostro progetto cerchiamo ti far emancipare le ragazzine africane e tirarle fuori oltre che dalla povertà, anche da una mercificazione del loro stato di donna. Sin dall’età di 12 anni, vengono date in sposa per 5 mucche e 2 pecore circa, senza che la loro vita valga nulla, ma solo al servizio del marito, dei figli e della casa da accudire”.

Il Tuscany Camp ha avuto atleti da molti paesi. Che valore ha la dimensione interculturale nell’esperienza sportiva che promuove?
“Per il territorio è un enorme valore poter integrare ragazze e ragazzi di diversi sport locali ad alto livello, facendoli confrontare e ispirare dai campioni che vivono qui. Questo favorisce lo sviluppo di giovani talenti locali che si avvicinano all’atletica e ad altri sport. Non si tratta solo di atleti africani: ultimamente la maggior parte viene dall’Italia, da città come Torino, Cuneo, Palermo, che si trasferiscono qui da giovanissimi con le famiglie per realizzare il loro sogno. È un motivo di grande orgoglio per noi”.

Lei ha lavorato con la federazione ugandese e con atleti come Kiplimo, Mutai e Chelimo. Come sono nate queste collaborazioni?
“L’idea di lavorare con l’Africa è nata proprio con il Tuscany Camp, perché volevo scoprire una nuova realtà rispetto a Kenya ed Etiopia, già molto conosciute. Ho scelto l’Uganda. Ho iniziato da un atleta ugandese alcolizzato in fine carriera che viveva in Italia, aiutandolo a rimettersi in forma. Da lì sono andato in Uganda, ho scoperto tanti ragazzi di talento, tra cui Mutai, il primo medagliato mondiale per noi a Pechino 2015 sulla maratona. Da allora è stato un crescendo di successi con atleti di altissimo livello: Jacob Kiplimo, Oscar Chelimo, Victor Kiplangat, tutti campioni mondiali e olimpici. All’inizio era difficile trattenerli perché mancavano fondi e contratti: quando vincevano se ne andavano. Oggi, grazie al supporto dell’azienda svizzera ON, che investe nel progetto, possiamo contrattualizzarli, seguirli meglio e mantenerli qui a lungo. Ora sono loro a cercarci, facilitando scouting e collaborazioni, persino con la Cina, che vuole sviluppare il mezzofondo e ci ha contattato proprio per questo motivo. Il nostro obiettivo ora è scoprire e formare giovani talenti cinesi, oltre a continuare a crescere quelli italiani e africani”.

Qual è il legame tra il Tuscany Camp e la Val di Merse? Come viene integrata l’attività sportiva con la valorizzazione del territorio?
“Il legame con il territorio è molto forte fin dall’inizio. Il Comune ci ha sempre sostenuto e ha creato percorsi tabellati di circa 25 km con cartelli ogni 500 metri, utili per l’allenamento e per manifestazioni sportive e pubbliche. Le istituzioni locali sono un grande facilitatore – anche se non riceviamo sovvenzioni economiche -, che rientra nella filosofia di autonomia del progetto. La popolazione locale ci supporta molto, anche come tifosi, e questo si è visto chiaramente durante il lock-down, quando il blocco delle attività sportive ha suscitato grande solidarietà verso gli atleti e i loro sacrifici”.

È possibile coniugare lo sport di alto livello con percorsi di formazione, educazione e inclusione per i giovani del territorio?
“Assolutamente sì. Lo sport è un potente veicolo per integrare giovani di diverse discipline, permettendo loro di emulare i campioni che vivono qui. Così si creano opportunità per i talenti locali, con esempi concreti di successo anche a livello nazionale. Abbiamo inoltre iniziative formative che insegnano inglese, uso del computer e altre competenze, per aiutare gli atleti a costruirsi un futuro oltre lo sport. Ora, con il sostegno di ON, possiamo ampliare queste offerte. Il Tuscany Camp è anche un modello di integrazione sociale: nella villa convivono atleti di dieci nazioni diverse, con culture, religioni e colori della pelle differenti, che si considerano fratelli e si aiutano a vicenda, senza rivalità. Per questo siamo stati scelti dal Ministero degli Esteri come esempio nazionale di integrazione e italianità nel mondo, e dovremmo essere inseriti nei progetti che include il Made in Italy e il Piano Mattei in Africa. È un segnale importante di pace e unione tra popoli”.

Che ruolo possono avere le istituzioni scolastiche e universitarie della provincia in una strategia sportiva integrata?
“Dal punto di vista tecnico-scientifico, collaboriamo da anni con l’Università di Verona e, da sempre, con l’Università di Siena, in particolare con il professor Marco Bonifazi e la medicina dello sport con il prof. Flavio D’Ascenzi. Studiamo fisiologia, coordinazione e dinamiche cardiache degli atleti d’élite, un campo ancora poco esplorato a livello internazionale, dato che la maggior parte degli studi riguarda amatori e non campioni di livello mondiale. Questi studi potrebbero aprire nuovi scenari nella scienza sportiva e nella comprensione delle caratteristiche fisiche uniche degli atleti di altissimo livello. Stiamo inoltre lavorando per integrare lo sport di alto livello con percorsi formativi nelle scuole superiori e università, per permettere agli atleti di continuare gli studi senza rinunciare all’attività agonistica. Con l’Istituto Bandini di Siena abbiamo già una solida collaborazione per offrire agevolazioni e supporti agli studenti-atleti, aiutandoli a conciliare studio e allenamento e per questo mi sento di ringraziare il dirigente scolastico Prof. Alfredo Stefanelli”.

Che idea ha del futuro dell’atletica leggera in Italia?
“Il futuro dell’atletica leggera in Italia è molto positivo e ricco di fermento. Negli ultimi anni abbiamo visto una crescita significativa, con molti atleti di interesse internazionale che si sono messi in luce nelle recenti edizioni di Olimpiadi e Campionati Mondiali. L’Italia è ormai riconosciuta come un esempio di altissimo livello nel panorama internazionale. Un ruolo fondamentale in questo percorso lo sta svolgendo il presidente della Federazione, Stefano Mei, una persona molto valida che proviene direttamente dal mondo dell’atletica: è stato un grande campione e quindi conosce profondamente cosa significa vivere e praticare questo sport, non è soltanto un dirigente o un politico. Questa sua esperienza si riflette anche nella direzione tecnica, che punta a una formazione sempre più qualificata e strutturata degli atleti. Inoltre, c’è una collaborazione stretta e proficua con il Tuscany Camp, una realtà che viene utilizzata per raduni tecnici e per la formazione degli atleti. Il direttore tecnico della federazione prof. Federico Leporati e prof. Tito Tiberti vengono spesso a lavorare con noi, a scambiarsi informazioni e a migliorare continuamente la preparazione degli atleti. Per noi è una grande opportunità poter avere sul territorio italiano un centro di eccellenza dove vivono e si allenano campioni di livello mondiale. Questo non solo arricchisce la comunità sportiva, ma rappresenta un enorme vantaggio per i giovani atleti italiani, che possono confrontarsi e crescere allenandosi insieme a grandi campioni. È quindi una situazione di grande reciproco beneficio”.