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lunedì, Giugno 30, 2025

Coca Cola, e tutti dicono di sapere cosa bevi…

Le avventure e le disavventure di un povero viaggiatore con divagazioni sulla cordigliera andina

Dopo tante avventure in terra mongola, luoghi dove ho lasciato il cuore e dove l’uomo è ancora spettatore e non interprete di paesaggi primordiali, questa settimana cambio tono. Mi prendo una pausa dal racconto delle imprese e vi parlo di immagini. Di muri. E di messaggi.

Se vi capita di attraversare le aree rurali del Perù, dell’Ecuador, della Bolivia – e potrei aggiungere molti altri paesi – noterete che muri e case sono spesso interamente ricoperti di scritte. Non manifesti. Murales. Pubblicità politiche, soprattutto. Nomi di candidati a Gobernador, Alcalde, Consejero. Lettere tracciate a mano che occupano facciate intere, oppure appaiono solitarie su muretti che delimitano campi miseri.

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La carta costa. E si rovina. Meglio un secchio di vernice, un pennello, e un povero peones che traccia lettere incerte ma destinate a durare. Come le scritte dei vecchi Giri d’Italia, ancora visibili su remoti passi di montagna: “W Gimondi”, “W Merckx”…

In questi contesti rurali la comunicazione visiva si adatta all’ambiente. Mescola propaganda, artigianalità, praticità. Ma ciò che colpisce ancora di più è la pubblicità dei grandi marchi. Coca-Cola, in testa.

Il logo bianco e rosso si staglia sbiadito sulle pareti di case di adobe, nei villaggi dell’altopiano o nella selva. Non affreschi sacri, ma loghi commerciali dipinti a mano, accanto agli slogan dei candidati locali. Alcuni sono persino belli, fatti con cura. Ma ti chiedi: ha senso promuovere una bibita zuccherata dove manca l’acqua da bere? O un politico che promette strade dove non esistono ospedali?

In questi luoghi dimenticati, la pubblicità non è solo comunicazione. È una domanda sospesa. Non si vende un bene: si vende una promessa. Di gioia, di festa, di comunità. Ma che festa è, se manca l’acqua, se il cibo scarseggia?

E allora ti chiedi se può davvero bastare una bibita per celebrare qualcosa. Dove l’acqua non arriva e tutto manca. Non si vende un sapore: si vende un’illusione. Un attimo soltanto, dipinto su un muro che cade a pezzi.

Una bottiglia di Coca-Cola può costare meno di un litro d’acqua. Succede, per esempio, in Chiapas. Lì l’acqua potabile è rara e cara. Le bibite gassate invece sono ovunque. E le conseguenze si vedono: il Messico è tra i paesi con il più alto tasso di diabete di tipo 2 al mondo. In Ecuador hanno cercato di correre ai ripari con una tassa del 20% sulle bevande zuccherate. Ma è sufficiente?

Uno studio pubblicato su ScienceDirect racconta il caso del popolo Tsimané, nella regione amazzonica della Bolivia. Una comunità tradizionalmente dedita a caccia, pesca e agricoltura di sussistenza. Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando.

Chi vive più vicino ai centri urbani, come San Borja, consuma più bibite zuccherate. Chi ha più soldi, le consuma ancora di più. Il passaggio è chiaro: si abbandona l’alimentazione tradizionale, e si apre la porta a obesità, carie, diabete. Modernità, sì. Ma a quale prezzo?

E io, in mezzo a tutto questo?

Ricordo bene la prima insegna che mi fece riflettere. Era in una piazza assolata di un paese boliviano di cui ho già dimenticato il nome. Cercavo un piatto caldo, e sulla facciata di una casa vidi il logo perfetto della Coca-Cola. Svolazzi bianchi, fondo rosso, la pittura stinta che sembrava tenere insieme l’intonaco che cadeva.

Dentro una bottega, una donna mi servì un piatto con patate di quattro colori, tre pezzetti di carne di lama e grossi chicchi di mais bianchi. Non avevano acqua, solo mate de coca.

La sosta del mattino

Lungo le strade, nei punti dove per qualche motivo si rallenta, è normale trovare una tienda, un comedor, una fonda. Il cartello che spicca sempre è uno: “Caldo de gallina criolla”. Una zuppa di gallina ruspante.

Al mattino, dopo un paio d’ore di guida, avevo preso l’abitudine di fermarmi in uno di questi locali, proprio quando la vita inizia a girare veloce, indaffarata. La mamita è tra i fornelli, circondata da bambini.

Entravo e tutto si fermava. I bambini smettevano di giocare. Lei mi guardava, mi sorrideva. Mi proponeva l’unico piatto che aveva. Io chiedevo caffè. Non lo avevano quasi mai. Allora tiravo fuori il mio Nescafé, una piccola scatola nello zaino. Chiedevo solo acqua bollente.

Lasciavo qualche sol sul tavolo – più di quanto costasse il pasto – e mi sedevo. La vita riprendeva. I bambini tornavano ai giochi, la mamita alla cucina, con la pentola che borbottava.

Io, con la tazza calda tra le mani, osservavo gli scaffali. Una latta d’olio per motori. Una bottiglia di liquore. Una d’acqua. E l’immancabile Coca-Cola.

La benzina

I distributori ufficiali boliviani – YPFB – sono rari e lontani. E, in teoria, i viaggiatori stranieri devono registrarsi e pagare la benzina a prezzo maggiorato. Ma nella pratica, spesso ti rifiutano la vendita. Troppa burocrazia. Troppi problemi.

Allora impari: vai dal meccanico, dal negoziante, dal sarto. O dalla mamita della tienda. E lì la trovi: la bottiglia da due litri di Coca-Cola. Ma con dentro, benzina. La bottiglia diventa unità di misura. E quando si rompe, la tagliano. Diventa un imbuto.

Un giorno, nella foresta

In Ecuador, stavo attraversando una foresta pluviale. Il pantano era alto. Più volte il basamento del mio motore ha toccato il fondo, incastrandosi nella melma. Ho proseguito usando piroghe per traghettare la moto sui fiumi. A un certo punto, ci siamo trovati davanti un ponte improvvisato: barili galleggianti e una griglia di ferro.

Ho ispezionato la struttura. “Meglio uno per volta”, ho detto al mio compagno. Il ponte oscillava anche solo a camminarci sopra.

Con il cuore in gola ho iniziato la traversata. Sembrava infinita. Poi, l’altra sponda. Mi volto. Guardo lui fare lo stesso. Ce l’abbiamo fatta.

Eravamo nel punto più profondo della foresta. Una baracca di legno, sulla riva di ghiaia. E, arrugginito, un cartello di ferro. Quasi illeggibile. Ma lo riconosco: la scritta Coca-Cola. Con una freccia che indicava… il nulla.

Potrei raccontarvi altri mille episodi. Ma mi fermo qui. Con le parole di Vasco: “Piccolo spazio pubblicità… Coca cola chi, coca cola, coca, casa e chiesa…”

E come sempre: Se tutto è andato bene, allora nulla è andato bene. Stay Wild, Stay Shanti

(9 – continua)

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