Quando il presente si arresta come in un fermo immagine per un evento straordinario e drammatico, quale è la pandemia che ci affligge, si guadagna almeno un vantaggio: quello di poter analizzare ogni dettaglio di quell’istantanea, nella quale si specchia la nostra società, oggi. E un maggior sforzo di analisi, più che uno sfoggio ‘socialmediatico’ di emblemi, è richiesto proprio in occasioni come queste: quale significato e quale contenuto dare nel 2021 alla lotta sociale per il lavoro e per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori?
Alcuni giorni fa è stato presentato dal Presidente del Consiglio Draghi il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, enfaticamente ma comprensibilmente definito come un passaggio storico per il Paese.
Quel che sappiamo dei suoi contenuti – complice anche la necessità di dover fare presto – è ancora poco e comunque mancano molti di quei dettagli nei quali, come si dice, spesso si nasconde il diavolo: in questo caso, le differenze tra una visione socialmente e solidaristicamente orientata ovvero piegata ancora una volta alla “teologia” del mercato.
Quale fisco, quale mercato del lavoro, quale sanità e scuola pubbliche, quale e quanto protagonismo per ricerca e cultura, quale sistema delle infrastrutture materiali e digitali, quale Mezzogiorno, quale giustizia e soprattutto quale e quanta trasformazione in senso ecologista del modello economico-produttivo verranno fuori dai numeri proiettati negli investimenti dei prossimi anni.
Al netto degli endemici mali della corruzione, delle inefficienze e della “pato-burocrazia”, l’Italia subirà o, se si preferisce, attiverà una trasformazione profonda ma soprattutto rapida delle strutture portanti della società, sia di natura pubblica che privata. E sarà rapida almeno per una ragione semplice ed esogena: quei soldi li dovremo spendere presto e bene sotto il vigile sguardo dell’Unione Europea.
Sarebbe stato bello che questa annunciata rivoluzione socio-economica – se avverrà come ci auguriamo – fosse stata il frutto di una discussione aperta, partecipata e pubblica, di tutti gli attori e corpi sociali del Paese: ma il tempo non c’era e comunque quello passato, fatto di decenni e non di mesi, lo abbiamo consumato tutto, per lo più in malo modo. È però necessario che almeno da oggi in poi il confronto, il controllo e il monitoraggio sulle varie fasi di realizzazione del PNRR avvenga secondo una governance quanto più partecipata e trasparente possibile, assegnando un ruolo di primo piano alle rappresentanze sindacali del mondo del lavoro.
Quando le carte saranno definitivamente scoperte, capiremo quale risposta potranno attendersi i giovani, le donne, il milione di disoccupati e di poveri in più, generati dal disastro pandemico e che cresceranno ancora molto dopo la fine del blocco dei licenziamenti.
Una cosa è certa: senza un forte impegno di risorse e di assetto normativo sul versante della qualità sociale del lavoro, di una rinnovata e corroborata disciplina dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, di tutela del precariato, di politiche industriali fatte di investimenti per la transizione ecologica non solo quale nuovo modello economico-produttivo ma anche e soprattutto come fulcro di piani mirati per il lavoro, la risposta tarderà ad arrivare ovvero porterà benefici esclusivamente ai piani alti della struttura sociale.
Oggi, Primo Maggio 2021, la lotta per il lavoro, per i diritti dei lavoratori è più che mai istanza che in tanti, forse addirittura tutti, abbiamo introiettato come necessità di mettere in sintonia prospettica due ineludibili urgenze: la questione sociale e quella ambientale.
La prima senza la seconda non ha futuro su questo pianeta, la seconda senza la prima non ha speranze. La lotta per tenerle insieme, per rappresentarle e dunque per realizzare maggiore giustizia sociale ed ecologica è il senso più profondo che, credo, possa unirci anche in questo giorno.
Buon Primo Maggio!