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giovedì, Novembre 21, 2024

“Remember Fgci” in attesa del febbraio fiorentino

Ricordi di un ingresso in politica raccolti con l’impegno e la collaborazione di Ivano Zeppi

Ivano Zeppi, in pensione dal 2019. Ha passato gli ultimi trent’anni nel movimento cooperativo toscano di Legacoop con diversi incarichi aziendali e associativi. In precedenza, tra il 1971 e il 1991 è stato un iscritto e ha assunto responsabilità politiche e incarichi diversi, a livello locale, territoriale, provinciale, regionale e nazionale nelle varie organizzazioni del Pci. Oggi con lui vogliamo parlare specificamente degli anni ’70; e della sua esperienza fatta nella Federazione giovanile comunista italiana, in particolare.

L’occasione è data dall’organizzazione a Firenze il 10 febbraio 2024 di una “convention” aperta ai così detti “figgicciotti”, soprattutto a quelli che erano iscritti nel periodo tra il 1970 e il 1980, perché c’è molto da rievocare. Ivano Zeppi è tra gli organizzatori di quell’evento, ma anche persona intelligente e con buona memoria…

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Ivano come è cominciato tutto?

“La Fgci dici? La prima tessera dei giovani comunisti fu quella del 1971 a Chianciano Terme. Mi fu consegnata da Albo Fregoli che, nel 1975 sarebbe diventato Sindaco della cittadina termale, dopo un lungo colloquio passeggiando in su e giù per via Dante. Ero davvero molto giovane: avevo concluso le scuole dell’obbligo, iniziato l’Istituto professionale Marconi di Chiusi e i miei primi tre mesi di “apprendistato” come ragazzo di portineria in un albergo perché anch’io dovevo contribuire in casa”.

Fregoli doveva convincerti di qualcosa?

“Non più di tanto. Lui, per il Partito stava facendo proselitismo. Fu facile per me iscrivermi, nella mia famiglia, sia da parte di babbo che non c’era più che di mamma, erano tutti comprovati comunisti. Famiglie mezzadrili della Valdorcia e Valdichiana dove il PCI aveva radici profonde costruite negli anni bui del fascismo, e con la resistenza partigiana. Un cemento che avrebbe retto alla crisi delle campagne e ai processi di inurbamento. E tuttavia c’era qualcosa di più… stavano arrivando nella provincia italiana gli influssi del ‘68 studentesco e del ‘69 operaio”.

Quindi vuoi dire che era maggiore l’ascolto del Pci per i giovani?

“Qualcosa si stava muovendo nel profondo della società. Nel 1970 a Montepulciano e Chiusi – i centri scolastici delle superiori – iniziarono i primi scioperi degli studenti. C’è da dire che più che da Siena, lì si sentiva l’influsso del movimento amiatino. E, nel 1971 ci fu il primo sciopero dei lavoratori alberghieri, con i picchetti che avrebbero lasciato strascichi giudiziari. Mi ricordo di aver divorato la documentazione nazionale contro l’apprendistato e averne fatto oggetto di una discussione in classe. In quel periodo molti giovani chiancianesi aderirono alla Fgci. Nell’arco di qualche anno diventammo un centinaio. Quindi, sì, l’attenzione per i giovani stava crescendo”.

Quale esperienza, a te quindicenne o giù di lì, faceva provare la Fgci?

“Pur non rinunciando al ruzzo, sentivamo di fare prima di altri coetanei cose da grandi. Conquistammo una sede nella Casa del Popolo e soprattutto la disponibilità pomeridiana della saletta che organizzammo con due ping pong, a nostre spese. Non eravamo “la figgicci dei biliardini” – riflessione polemica che si sarebbe aperta di lì a qualche anno nella conferenza di organizzazione del 1974 -, ma ci andavamo vicini. Con Amos Fregoli ci autofinanziavamo, organizzando con un compagno più anziano le feste da ballo nei fine settimana. Allora funzionavano ovunque, con i complessini che si venivano formando. Ricambiavamo però l’attenzione che il Partito – guidato dal “saggio” Chionne, capocantoniere Anas – ci dedicava, con le diffusioni domenicali de L’Unità. Riuscimmo, così facendo, a dotarci di un impianto serigrafico per farci i manifesti da soli che fu un fatto decisivo perché, allora, la tipografia rappresentava il costo maggiore della politica assieme alle spese postali”.

Sentendoti parlare, sembrerebbe che chi stava in Fgci non fosse soggetto a confrontarsi con le logiche del centralismo democratico… La vostra vita era un respirone di vita continuo…

“Erano anni vivaci. L’austerità, e le targhe alterne, furono l’occasione per un confronto sulla crisi energetica e la critica al modello di sviluppo in tutte le cellule di partito, cioè le organizzazioni di base di allora a livello dei territori. Erano anni che sarebbero culminati con il referendum sul divorzio (1974) e con le elezioni amministrative del 1975. In preparazione del referendum sul divorzio vissi la mia prima esperienza a Frattocchie. Era allora la scuola nazionale di Partito in cui sarei ritornato più volte. Agli inizi degli anni 80, ci avrei passato un anno, in un corso diretto da Luciano Gruppi. Ma tornando al 1974, ho ancora il ricordo dell’attivo degli iscritti – un centinaio di persone – convocato per dare il via alla campagna referendaria. Un Partito attento, combattivo, consapevole della posta in gioco, dal punto di vista dei diritti civili ma anche del possibile scontro con i principi cattolici, la guerra di religione che taluni volevano scatenare e che non ci fu”.

Ivano Zeppi con la divisa dell’albergo

Cosa era importante per voi politicamente in quegli anni?

“Erano anni, gli anni Settanta, colmi di fermenti. Il Vietnam e non solo. La nascita delle regioni aveva sprigionato una forte attenzione al territorio, e quindi ai servizi sociosanitari, all’agricoltura, alle infrastrutture. Il Partito diviene il punto di organizzazione e di riferimento in un complesso rapporto di intermediazione sociale e di rapporto tra cittadini e istituzioni. Con una duplice spinta: approfondire i temi del territorio e le radici dei comunisti italiani. Su questo secondo tema mi ricordo un ciclo di seminari sulla storia del Pci organizzato dal compagno Priamo Caleri. Una spinta forte venne dal congresso, e soprattutto dagli articoli di Enrico Berlinguer su Rinascita: la riflessione sul Cile e il compromesso storico. Chianciano in quel periodo era in fermento. Erano gli anni d’oro del termalismo sociale. L’Amministrazione comunale poteva permettersi un ciclo di spettacoli teatrali a cui Giorgio Gaber era presenza immancabile e “l’anno culturale di Chianciano” con il filosofo marxista Umberto Cerroni. Di entrambi gli appuntamenti era instancabile organizzatore l’assessore alla cultura Luigi Moni”.

Ma se c’era un territorio c’era anche un posizionamento da difendere. Il nemico era la Dc?

“Certo che si avvertiva anche il peso dell’avversario. Ma non era la Dc nei confronti della quale era sospesa quella dialettica religiosa che ho ricordato. Allora, come oggi, erano i fascisti o l’idea che avevamo di essi. E’ del 1972 l’apertura a Montepulciano della sede del Movimento sociale italiano che dette vita a  una forte manifestazione di protesta. Poi, a inizio anno 1975, con il congresso provinciale del Pci, fui chiamato a rimpinguare le fila dei dirigenti provinciali della Fgci. Si stava avvicinando il cambio generazionale nella Federazione Comunista di viale Curtatone. Di lì a pochi mesi il segretario Calonaci e altri compagni della segreteria, come Barellini e Carli, sarebbero entrati nella giunta della Provincia. Massimo Roncucci, segretario provinciale della Fgci, sarebbe diventato responsabile organizzazione del Partito. E così… toccò a me sostituirlo”.

Supponiamo che a questo punto la Fgci fosse molto diversa da quei due tavoli da ping pong…

“Allora l’organizzazione giovanile seguiva la struttura territoriale del partito. Molto capillare, in circoli anche di piccole dimensioni, che di lì a poco sarebbero scomparsi, ma che ci tenevano impegnati in lunghi viaggi notturni per tenervi incontri e riunioni. Fu un modo per conoscere la provincia di Siena. E farci conoscere. Fu proprio dal 1975 che il PCI iniziò a proporre candidati diciottenni. La presenza fondamentale dei giovani figgicciotti ruotava attorno agli studenti medi e alle scuole del capoluogo e degli altri centri scolastici. La Fgci attraverso gli organi collegiali era la forza di rappresentanza maggiore degli studenti. Anche se, a livello di piazza e cortei, doveva vedersela, e non poco, con i gruppi di sinistra. Solitamente costituiti da ragazzi più anziani. Allora, a Siena i gruppettari sostavano instancabilmente sugli scalini del Consorzio Agrario in via Pianigiani… In Fgci, in quegli anni pesava l’assenza all’Università, dove era forte la sezione universitaria del Partito. La riorganizzazione della presenza tra gli studenti universitari avvenne con un lavoro che partì dalla mensa, e soprattutto dalle Case dello studente. Riacquistammo una presenza significativa tra gli studenti fuori sede e anche di altre nazionalità, palestinesi in particolare. Arrivammo persino a promuovere una cooperativa di lavoro per organizzare delle attività di servizi. Non furono anni facili, anche se Siena non era Bologna né tantomeno Roma”.

Cioè?

“Nella grandi città era sicuramente più impegnativo essere giovani e comunisti. Siena infatti non conobbe il terrorismo, se si esclude gli attentati all’Upim e alla Coop – incendi provocati da ordigni con palline da pingpong -. Ma il clima di quelli che furono chiamati gli anni di piombo si respirava anche qui. Lo si comprese meglio nell’82 con l’eccidio dei carabinieri a Monteroni d’Arbia – successivo alla rapina in via Sansedoni ad opera di Prima Linea –come anche la rossa provincia di Siena fosse zona di transito, o forse addirittura di riposo, dei terroristi. Molto del lavoro in quegli anni fu rappresentato dal trovare un fronte di iniziativa comune con i movimenti giovanili socialisti e democristiani per avere un ruolo nei comitati per l’ordine democratico che si formavano a livello di ogni Istituzione. Inutile nasconderlo, molte spinte si persero e si smarrì più di un entusiasmo. Mi resta tuttavia il ricordo di essere riusciti, a partire dalla 285, la legge sull’occupazione giovanile, ad impostare un lavoro per molti versi originale di riflessione sui giovani e l’agricoltura che ci collegò alle spinte delle associazioni e delle istituzioni del mondo agricolo che in quegli anni si avviavano al percorso della scelta della qualità dei prodotti. Ci porto anche ad essere invitati alle riunioni della commissione agraria, uno dei consessi più impegnativi del Partito”.

Chi era e cosa faceva un segretario provinciale della Fgci?

“Allora, essere segretario provinciale della Fgci a Siena significava essere a ruolo come funzionario – rivoluzionario a tempo pieno, qualcuno amava definirsi -, avere cioè uno stipendio che ti assicurava di che vivere; essere invitato o eletto negli organismi dirigenti provinciali – comitato federale e comitato direttivo – del Partito; e soprattutto far parte del Comitato Centrale della Fgci, il parlamentino nazionale che aveva sede a Roma in via della Vite. Insomma, per quattro anni fu una vera full immersion nella politica provinciale e in quella nazionale. Ho un ricordo ancora fresco della riunione del Comitato Centrale ad Ariccia, introdotto da Renzo Imbeni, che avrebbe convocato il congresso di Genova. Renzo Imbeni avrebbe lasciato la segreteria per tornare a Bologna. Una parte della Fgci voleva Amos Cecchi, fiorentino, responsabile degli studenti, come segretario. Ma il Partito, almeno così si diceva, era di altro avviso. Fu così che alla riunione di Ariccia parteciparono “due esterni”, Fabio Mussi e Massimo D’Alema, entrambi con responsabilità politiche nel Partito di Pisa. Al congresso di Genova, in commissione elettorale – presieduta da Imbeni – le scelte però furono chiare. Imbeni propose alla commissione un largo rinnovamento del gruppo dirigente e la sua ricostituzione intorno a D’Alema. Fu un gruppo dirigente di grande spessore e livello, in grado di confrontarsi con intellettuali del calibro di Pasolini; di reggere un “confronto” in alcune grandi città con “il Movimento” che stava nascendo e che aveva una forte venatura anticomunista. Un gruppo dirigente capace di “dialogare” e confrontarsi con il partito. L’intervento di D’Alema al comitato Centrale del Pci sulla necessità di stare nei movimenti…”

Una vera e propria scuola politica…

“Lo fu, davvero. Furono quattro anni difficili, che terminai, passando al Partito; la responsabilità di segretario provinciale della Fgci andò a Sandro Starnini. Fabrizio Vigni era già passato a dirigere la commissione scuola della Federazione. Stefano Bellaveglia era in Cna, ad occuparsi di finanza. Della Fgci sarei ritornato ad occuparmi anni dopo, nel 1986, quando Renato Pollini, amministratore nazionale del Pci, mi chiese di passare alle dipendenze di Botteghe Oscure e Pietro Folena segretario nazionale della Fgci mi chiese di assumere la responsabilità di amministratore nazionale della Fgci, di entrare cioè negli organismi esecutivi. Le due cose non erano incompatibili, anzi… ma questa è un’altra storia…”

Arrivavi da Chianciano, anzi prima ancora dalle campagne di Pienza, quali significati aveva la città in cui ora dovevi abitare?

“Da Chianciano, allora, era esclusa la pendolarità. Dovetti organizzarmi per vitto alloggio. Qualche mese in via del Porrione fino a quando il Pesce d’Oro rimase aperto, poi una cameretta a palazzo Berlinghieri nel Casato e, a pranzo e cena, da Ennio nel vicolo San Pietro. Fin quando nel ‘’77 con Letizia, che di lì a poco sarebbe divenuta mia moglie, prendemmo in affitto un appartamento all’ultimo piano al numero 10 di via Tito Sarrocchi. Un ultimo piano, nel lato non “signorile” della strada che però sarebbe divenuto per sette anni il luogo di incontri e cene con i molti amici che l’attività politica mi procurava”.

Supponiamo fosse un’esistenza vissuta con sacrificio sul percorso casa-partito-casa…

“Si, l’attività politica era assolutamente preminente. Solitamente entro le nove varcavo il cancello di via Curtatone. Nei giorni di volantinaggio anche prima: alle 7,45 arrivavo i primi studenti che scendevano dai pullman a San Domenico e passavano a ritirare i volantini. Telefono, ciclostile e invio di stampe tramite posta erano le attività prevalenti. La comunicazione ai tempi di allora… Il telefono passava rigorosamente dal centralino, gestito – meglio sarebbe dire controllato – dal Banducci, burbero “guardiano” sul lavoro, quanto affabile “fuori” con il suo mitico mandolino. Il ciclostile era la patria del Palei, uomo tuttofare, debole di vista ma dalle mani d’oro. Con il suo ape 50 era capace di imprese inenarrabili”.

E in viale Curtatone eravate da primo, secondo o terzo piano?

“Mi fai sorridere. Due stanzette al pianoterra che dividevamo in tre o quattro giovanotti e almeno una responsabile delle ragazze. La vita per un ragazzo tra i diciannove e i ventitré anni tra l’inizio e il termine del lavoro scorreva veloce. Era molto diversa da ciò che potrebbe vivere un ragazzo di oggi. Tra riunioni, incontri, manifestazioni, appuntamenti, viaggi. Ogni giorno conoscevi cose nuove, nuove esperienze. Ti sentivi utile, all’interno di un movimento, di una “causa” in cui avevi un ruolo, una responsabilità. Una sensazione dove le luci erano assai più delle ombre”.

Chiudiamo con una curiosità. Siena, dall’alto delle sue cifre, si rapportava direttamente con Roma o c’erano anche riferimenti a livello regionale?

“In quegli anni partecipai chiaramente anche al livello regionale della Fgci, in via Alamanni a Firenze. Non saprei dirti in questo momento se ci riferivamo a questo organismo chiamandolo Coordinamento o Segreteria. Non ricordo con esattezza. So che rappresentò l’occasione per incontrare alcuni compagni di valore, come Catia Franci che ci lasciò troppo presto, e altri che, nel tempo, avrei rincontrato più volte come Nicchi, Valentini, Domenici, Fontanelli e altri. E, come era avvenuto per le cellule di provincia, fu anche l’occasione per conoscere la Toscana e fenomeni sociali a noi sconosciuti come la grande industria o le vicende portuali. Due ricordi mi tornano alla mente: Capraia, e l’iniziativa per salvaguardarla dalla speculazione e le conclusioni “particolari” di un congresso di zona in Lunigiana”.

(1 – continua)

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