Mia madre ci ha insegnato a lasciare sempre una o più candele, fuor della porta, al freddo, la notte di Natale per indicare la strada al bambino. E l’indomani chi primo si svegliava correva ad aggiungere il bambino nella capanna del presepe. Quello era il momento; né prima né dopo. Stavolta non ho fatto né l’una né l’altra cosa. Mi sono addormentato sul divano. E al risveglio il presepe non c’era.
Eppure, quantomeno alla candela, ci avevo pensato tutto il pomeriggio. Negli anni purtroppo si è affievolito il mio rispetto per la tradizione, il mio timore per il divino, il mio senso di disciplina. E’ invece cresciuto il cinismo e la capacità di rendersi indifferenti. Verso tutti; a cominciare dai familiari meno stretti. Pur se credo che i più fanno come me, non ne provo alcuna soddisfazione; né mi rincuora che sia segno dei tempi. Torno a pensare all’importanza di conservare il bimbo che è in me. Quel che rimane.
E oggi che vorrei scrivere due righe per dirvi Buon Natale sono assalito da mille dubbi sul senso profondo di quel che faccio. Non voglio dirvi Buon Natale perché così fan tutti. In un vuoto espressivo che ho dentro, cerco un pieno da condividere. Vorrei che fosse un bene comune che ci lega in affetto o appartenenza. Mi viene in mente solo la nostra città .
Già condividere è sempre una parola magica. Convinto della possibilità straordinaria del miracolo ho sempre creduto che, sul lago di Tiberiade, Gesù non abbia interrotto la propria predicazione moltiplicando davvero pani e pesci, finché ne sentii parlare diversamente da un prete comboniano mentre visitavo una sperduta regione del Kenya: “qui la gente non è fessa – mi disse -, noi insegniamo il miracolo della condivisione. Durante la predicazione ci fu cibo per tutti perché chi lo aveva lo condivise con gli altri”.
Ma condividere non è per forza roba religiosa. Un professore di economia ha tenuto nel centro di Siena una lectio magistralis qualche giorno fa dicendo che nelle nostre città ci stiamo precludendo ad essa: abbiamo occupato gli spazi per la nostra condivisione con le auto. Crediamo che la gioia derivi dalla quantità di cose che abbiamo oppure dal possesso di un posto per proteggersi, quando invece è manifesto – soprattutto se vai ad altri climi e latitudini – che il vero arricchimento ti arriva dall’essere con gli altri senza protezione, “armato” della sola curiosità per il prossimo.
Auguri, regali… Mi dicono che sono retaggio antico, riportabile ai pagani saturnali. Cosa c’entrano con il ricordo del figlio del Signore che si fa carne per assumersi il peccato dell’uomo? Di un uomo che tra l’altro non prova vergogna nel continuare la violenza sui propri simili anche in questi giorni.
I pastori, dal pulpito, lo dicono. Ma siamo sicuri che non pensiamo: tanto lo devono dire, non ce l’hanno con noi, noi con la guerra non c’entriamo? E dicono anche altre cose. Augusto Paolo Lojudice, cardinale, arcivescovo di Siena, Colle, Montepulciano etc, ha chiaramente indicato due fasce amplissime di popolazione che hanno bisogno di ricevere una nuova e diversa prospettiva: giovani e inoccupati, i “senza speranza”.
L’eminente uomo della Chiesa non è originale ma penetrante. Mi auguro che dia forza a coloro come me che parlano di necessità di prospettiva da dieci anni almeno.
Mi scrivono una riflessione che condivido. Siena non è più addormentata. Lo fosse darebbe l’idea che il risveglio eventuale sarebbe salvifico. In realtà è ormai una città che sta affrontando il proprio declino. C’è chi lo ha capito e vorrebbe lottare, c’è chi non lo sa ancora perché crede a tutto, c’è chi non vuole saperlo perché non saprebbe affrontarlo. E c’è anche chi su questo declino ci lucra. Mi dicono…
Noi senesi saremmo anche sulla stessa barca, ma c’è chi è già sott’acqua – e il cardinale arcivescovo sembra parlare di loro – e chi balla sul ponte. Vogliamo aprire gli occhi e capire chi ha un problema e chi lo crea agli altri?
Un anno fa, cercai di fare i miei auguri sintetizzando “più dignità per tutti“, oggi mi sento più propenso a parlare di rispetto. Quel rispetto che poi porta a riconoscere la dignità altrui e che mostrarlo già ti fa sentire di avere dignità . Primo atto di questo rispetto per me è il ritorno al comprendere ciò che avviene intorno a noi con riflessioni e/o domande. Per rispettarsi serve conoscere la verità e avere la capacità di condividerla.
Grazie. Buon Natale, buon anno nuovo.