Mai evidenti come in questa settimana, l’intera città si ribella ai “tafferugli” fra giovani ignoti
Leggo un post di Antonio Degortes. Parla di sicurezza, contrade e territorio. Dice quel che da qualche giorno volevo dire, ma non ho detto perché ormai questa cosa non può più funzionare.
Sui fatti attuali, le contrade potrebbero entrarci, ma non nel modo di cui tutti parlano. Scordiamoci che ciascuna delle consorelle possa vigilare e intervenire. Forse una volta, forse nella mia lontana giovinezza, quando tra l’altro c’erano decine di sedicenti zii pronti a entrare in azione e “nocchinarti” se non ti comportavi bene.
Le contrade vigilanti sono finite con gli omini (e le donnine) gialli a far la guardia alla Piazza e con i processi per i “fronteggiamenti”. Quello che salta ai miei occhi è che il potere non ha fiducia nell’autocontrollo delle contrade e tantomeno ne ha vera appartenenza in quanto – se si parla di municipalità – gli eletti corrispondono allo spettro generale della città; solo il 20-25% è realmente contradaiolo, gli altri hanno conoscenze e timori approssimativi.
Le contrade che però realizzano frequenti e numerose operazioni immobiliari si potrebbe tentare di coinvolgerle nel ripopolamento della città murata. Quando possono lo fanno senza aiuti né riconoscimenti.
Perché la questione del centro storico è conseguente all’abbassamento demografico di tutta Siena. L’amministrazione di centrodestra si è impegnata con forza sul decoro e la protezione del centro storico, ma sinceramente non so se ha la reale consapevolezza dei target che tutela.
Riteniamo – e il voto delle sezioni lo conferma – che tuteli il proprio elettorato, ma non certo quella parte dell’elettorato che determina la vittoria. E nemmeno è la totalità dei benestanti liberal, perché sennò non saprei proprio definire chi sta in strada degli Agostoli, a Belriguardo, o Malizia, o Vignano per fare qualche esempio.
Sono persone, poche migliaia di persone, che per volontà o contingenza sono rimaste in centro. Poi ci sono coloro che hanno molti immobili – e ne fanno un uso su cui si potrebbe discutere – e coloro che hanno i negozi o i pubblici esercizi luccicosi – ma sempre meno perché se sono in factoring è un’altra cosa -. Ebbene, una domanda… Cos’è il Centro storico di Siena per quest’amministrazione che di qui almeno al 2028 avrà responsabilità di gestione su di esso?
Delle due l’una. Se il Centro storico è più o meno un museo, entriamo nell’ordine di idee che quando non è “aperto al pubblico” lo chiudiamo e proteggiamo. Se invece è il cuore di un agglomerato urbano con proprie specificità e criticità andiamo a vedere come renderlo più conforme a una visione collettiva che dovremmo condividere circa l’aspetto del nostro cuore fisico.
In cosa le contrade lo rendevano diverso? Almeno nei nostri ricordi… Le Contrade erano punti di riferimento di quartieri popolati; chi le viveva aveva regole di convivenza che arrivavano da lontano e permettevano una buona socialità. Se in San Marco, o nei Pispini, o in Camollia ci fosse sufficiente densità abitativa, basterebbe organizzare le regole di buona convivenza. Ed allora il territorio sarebbe presidiato da una moltitudine legata da molte relazioni e capace di percepire e denunciare l’aggressione alla qualità della nostra vita.
Ho vissuto qualche tempo, anzi svariati anni, in una città che è molto simile a Siena. Si chiama Perugia e la si raggiunge in un’ora. Ha un centro storico non facilmente accessibile e due importanti università, di cui una per gli stranieri. La presenza di vestigia gloriose di tempi lontani non rende sempre facile l’innovazione della città.
Abitavo in un quartiere di periferia e una sera, rientrando dal lavoro, mi trovai… al lavoro. Nel senso che davanti casa c’erano i carabinieri che preparavano un’irruzione nel mio condominio. Fattomi riconoscere per giornalista, oltre che come residente, ebbi un trattamento di favore e accesso al cordone operativo; c’era nervosismo, qualcuno aveva parlato di pistole e la cosa non era stata ancora verificata con certezza. Un milite era in vena di confidenze… “Sai sono stato a Milano, Bologna e Firenze… Come qui, mai… Sai noi siamo della Stazione di Casteldelpiano, controlliamo tutta la Settevalli… Di roba ce n’è, ma ce la facciamo a fare il nostro lavoro… Ma in Centro abbiamo perso… Non abbiamo il controllo”.
Feci cena parecchio tardi. Pistole non ce ne erano. Solo una donna magrebina, pesta e sanguinante, con un poco più che neonato piangente in braccio, che in palese choc sbatteva qua e là la testa del figlio. Un paio d’ore prima, il fratello del marito, carcerato a Capanne, aveva tentato di entrargli in casa con l’ordine di prelevare i figli e portarli in Africa. Io intanto continuavo a pensare all’acropoli perugina.
Perugia centro. Lassù, dove non vai se non hai un motivo per farlo. All’inizio servita anche con l’efficiente minimetrò finché, per rumorosità, la municipalità decise di arrestarne il funzionamento la notte. L’anno prima inchieste tv avevano rivelato profonde connivenze dei colletti bianchi nello smercio di droga, qualche giorno dopo vidi sul mio giornale una foto che da sola diceva e spiegava tutto. Una gazzella della Gdf che la notte andava di rinforzo a polizia e carabinieri con una enorme spranga infilata nel parabrezza. Quando avvenne il fatto, l’auto di servizio non era in sosta ma sopraggiungeva per far cessare un “fronteggiamento” fra diversi gruppi etnici.
Siena di Perugia specchio fedele. Ma si potrebbe fare esempi di una modernità pronta a travolgerci anche riguardo a Firenze o Pisa, oppure si potrebbe invitare tutti a ritrovare calma e razionalità ed anche a ricordarsi di quel che a suo tempo conoscemmo e non vogliamo ora ricordare.
Intanto, se una determinata parte politica che guida la città da sette anni, mi dice che i fatti di oggi sono responsabilità delle inadempienze di ieri, non si guadagna il mio rispetto. O meglio, io che ho iniziato parlando di calo demografico sono prontissimo a riconoscere che le scelte passate sono foriere delle conseguenze odierne, ma se la tiritera mi viene rivenduta unicamente come elemento di de-responsabilità, la seconda cosa che chiedo è cosa avete fatto in sette anni?
Gli enti territoriali sono un po’ come società con personalità giuridica, tra un esercizio e l’altro, qualcosa passa sempre, a volte crediti a volte debiti. E’ normale. Chi ha ruoli pubblici ha l’onore-onere di proporre soluzioni. Quindi prima di definirsi non colpevole, che proponga queste soluzioni, senza tentare di smollarle a un prefetto che è chiamato in causa solo e sempre se le cose vanno non bene.
Altra cosa che non mi torna è che queste torme di aggressori e delinquenti vengano da fuori. Corpi estranei della città. Non lo sono, invece. E forse le contrade citate ad esempio salvifico ne sono anche infiltrate; o se la parola fosse ritenuta troppo grossa, diciamo contaminate.
Proprio quando scrivevo per un giornale di Antonio Degortes, un paio d’anni fa, raccontai di un furto di soprabiti avvenuto il giorno della discoteca nella mia contrada. Apriti cielo. Anche quella volta c’erano di mezzo i maranza che toglievano ai ricchi per dare a se stessi, con quei – fatemelo dire – cazzo di coltellini che sono parte del loro outfit. Nello stesso periodo le perorazioni di un esercente di piazza Gramsci, vittima di vandalismi, erano quasi quotidiane. L’anno prima un ex rettore di università mi aveva parlato, cuore in mano, dei pericoli che vivevano i propri figli per l’alcolismo dei teenagers in contrada e l’anno ancora avanti – a seguito di protratti vandalismi – un graduato e sindacalista della Polstato mi parlava della necessità dei daspo urbani per non far contaminare determinata gioventù da altri che gioventù non erano più ma diffondevano il verbo di una trasgressione illecita.
Concludo… saputo più niente, della gang di bambine che ci regalò lo status di terza notizia del notiziario Rai delle 20:00? Bell’esempio di città che vuol fare del “bon vivre” il suo mantra e comunque mai cose tanto grandi si erano descritte fintanto non c’è stato il periodo della pandemia, quando un’intera generazione di ragazzi è stata trattata come untori.
Insomma la cosa grave non è quello che sta avvenendo e per cui le forze dell’ordine stanno intervenendo, ma il fatto che ad essere coinvolta in modo diretto o indiretto è la gioventù che è nostra erede e non nostra nemica. Ed il fatto che il nostro senso della legalità – e di conseguenza quello dei nostri figli – si è adattato ai tempi. Quando frequentai Libera e Contromafie, Luigi Ciotti partiva sempre facendoti comprendere la potenziale gravità di un attraversamento fuori dalle strisce. E da lì si arrivava a Falcone e Borsellino.
In questo momento le persone che vogliono meritarsi il mio rispetto non devono agire da politici, ma da cittadini perché a rischio c’è il nostro futuro di cittadini. E se domani non saremo cittadini, non saremo neanche elettori, quindi la politica a cosa serve, se non ci fa stare insieme.
(nella foto un’immagine del video di Sena Civitas)