Assegnava i crediti professionali questa mattinata molto interessante al San Niccolò. Tante presenze illustri, una buona partecipazione di addetti ai lavori (giornalisti) e tanti spunti su cui riflettere. E’ questo il bilancio del Convegno Organizzato questa mattina nell’ambito del XVI Festival della Salute di Siena, dal titolo “Comunicare la salute: un mestiere difficile”.
Ad aprire la serie di interventi, moderati dal professor Maurizio Boldrini, docente di comunicazione dell’Università di Siena, è stato il professor Alessandro Lovari, anch’egli docente di Comunicazione all’Università di Cagliari, laureato a Siena ma formatosi poi successivamente negli Stati Uniti in un’area di ricerca che si chiama “Health Communication”.“I cittadini devono essere sempre coinvolti attivamente nei processi di comunicazione – spiega Lovari – nel ricercare messaggi e nel condividere idee ed esperienze sulla salute. Prima si trattava di una comunicazione molto più ristretta e difficoltosa, oggi con l’avvento del digitale la condivisione delle informazioni è molto più semplice oltre che aperta anche a tipologie di comunicazione più difficili da controllare. Specialmente sui social media, dove ognuno può raccontare la propria storia, o promuovere i propri prodotti. Servono dunque maggiori skills da parte di chi legge per selezionare quali informazioni sono quelle corrette”.
Il rischio di “mercificazione” della salute è infatti sempre maggiore, anche perché l’impatto mediatico di notizie “spettacolari” spinge sempre di più a coinvolgere opinion leader ed influencer per far arrivare la comunicazione laddove non arriverebbe attraverso i canali tradizionali.
“La comunicazione può essere interpretata – ammette la dottoressa Roberta Villa, giornalista scientifica – la stessa notizia può essere raccontata in maniera diversa ed avere una risultanza sul pubblico completamente diversa. Oggi un ruolo importante nella comunicazione scientifica lo sta avendo il marketing fatto da case farmaceutiche, grandi strutture mediche private ed influencer. La parola chiave per chi il mestiere di giornalista dunque deve essere “responsabilità”. Dobbiamo renderci conto dell’importanza di quello che facciamo. Un titolo, un concetto, può condizionare la nostra vita di tutti i giorni in tema di salute ma non solo”.Anche perché, la recente pandemia, ha evidenziato quanto potente possa essere la comunicazione, in tutte le sue forme. Quanto anche possa essere utile, ma potenzialmente anche molto dannosa se usata in maniera sbagliata. Anche se stando ai numeri “l’impatto della disinformazione e delle fake news è molto minore di quanto si possa pensare”. Parola del professor Tiziano Bonini, Sociologo dell’Università di Siena. “Tendenzialmente le persone sono difficili da convincere – afferma Bonini – così come è molto difficile fargli cambiare idea. E quindi gli effetti della disinformazione sono minori di quanto si possa pensare”.
In situazioni emergenziali, come è stata la recente pandemia, la comunicazione può diventare una sorta di pronto soccorso – incalza invece il dottor Cesare Buquicchio, che è stato per due anni capo ufficio stampa del Ministero della salute in piena emergenza Covid – avremo certamente commesso degli errori comunicativi, ma c’era l’esigenza di dare informazioni sul come comportarsi, cosa fare o non fare. E non c’era troppo tempo per riflettere. Serviva essere presenti con organi ufficiali, onde evitare anche il proliferare di false notizie o teorie complottistiche che iniziavano a circolare su internet. Durante le emergenze è importantissimo sapersi orientare bene tra panico e superficialità. Sono entrambi pericolosi perché portano a fare scelte sbagliate”.
La mancanza di informazione può avere diverse conseguenze, la principale è quella che in comunicazione si chiama “Infodemia”, ovvero quando “la sovrabbondanza o mancanza di informazioni crea un vuoto informativo – precisa la dottoressa Diana Romersi, collaboratrice dell’Ufficio Comunicazione del Ministero della Salute – E’ in quel momento che si vengono a creare disinformazione e misinformazione. La differenza tra questi due concetti è che la prima è fatta con dolo da chi comunica, la seconda invece con superficialità. Entrambe possono creare gravi danni fisici, sociali, economici e politici”.
Ed a proposito di politica, è stato molto interessante ascoltare le parole di Bernard Dika, portavoce del Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, che ha spiegato come la Regione Toscana ed il suo Presidente si sono mossi nel periodo pandemico e si stanno muovendo tutt’ora. “Siamo entrati in carica nell’ottobre 2020, in piena seconda ondata covid. Il core business della nostra comunicazione era dunque orientato sulla sanità. Abbiamo acceso canali nuovi di comunicazione per provare a raggiungere più persone possibile, non limitandoci ai media tradizionali ma usando tutto quello che il ventaglio comunicativo ci metteva a disposizione. Una delle prime cose che ho notato è che quando si parla di Sanità sui giornali se ne parla quasi sempre in termini negativi, per disservizi o malasanità. Per questo abbiamo deciso di promuovere quelle cose (e sono tante) che invece vanno molto bene. Dando voce ai nostri medici, infermieri, personale sanitario, che ogni giorno vanno a lavorare e lo fanno con grande professionalità”.
Tutti d’accordo comunque nel dire che: “L’emergenza pandemica ha segnato uno spartiacque per chi si occupa di comunicazione sanitaria – afferma il dottor Francesco Bianchi, Responsabile Comunicazione IRCSS Azienda Ospedaliera Universitaria di Bologna – perché si è spenta l’attenzione su tutto il resto e tutti i fari sono stati puntati sulla sanità. In quella fase, potevamo farci travolgere dallo tsunami, ed invece con l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, abbiamo provato a non subire ma provare a dirigere la comunicazione. D’altronde, la comunicazione segue il flusso degli eventi e quindi bisogna essere malleabili e sapersi adattare alle varie situazioni che si presentano”.
Collegati da remoto invece gli ultimi due ospiti, moderati dal dottor Luca Revelli, Direttore Scientifico del Festival della Salute. Il primo ad intervenire è stato Luciano Ragno, giornalista scientifico, che ha sottolineato come “prima del covid chi comunicava argomenti scientifici era abituato ad avere a che fare con esperti che la pensavano più o meno allo stesso modo. Con l’avvento del Covid invece spesso ci siamo trovati di fronte a versioni molto diverse tra di loro, cosa che di sicuro ha contribuito a creare caos nell’audience che non sapeva a chi affidarsi”.
Anche perché nella comunicazione scientifica uno degli aspetti fondamentali è l’empatia e la cura del dialogo, come sottolineato dal dottor Ambrogio Sognamiglio, docente di comunicazione, che sottolinea come spesso “la parola possa essere già di per sé una cura. La difficoltà è trasferire questo aspetto dal codice etico alla pratica. Si fa molta fatica a trovare le parole giuste per entrare in connessione con il paziente. Il linguaggio è un atto di identità. Avere empatia significa prendere la giusta distanza da quello ho davanti e veicolare il concetto attraverso la migliore comunicazione possibile per ottenere la fiducia nel paziente”.
Una lunga maratona, nella quale non sono mancati momenti simpatici e divertenti. Dalla quale si può evincere una cosa sopra tutte le altre: comunicare la salute è un mestiere complesso… fidarsi di fonti attendibili… diffidare dalle imitazioni!