L’ urgenza di un’educazione al rischio per vivere la libertà in sicurezza
Una semplice buca scavata nella sabbia è diventata fatale per un giovane durante una vacanza estiva. Quella che sembrava un gioco si è trasformata in tragedia: la sabbia, instabile, è crollata all’improvviso, intrappolandolo senza scampo.
Non è la prima volta che accade, e purtroppo non sarà l’ultima se non cambiamo approccio. Gesti comuni e apparentemente innocui, come scavare nella sabbia, possono nascondere pericoli reali, spesso ignorati.
Ricordo la mia prima colonia estiva. Prima ancora di tuffarci in acqua o di correre in pineta, seduti al buio, guardavamo diapositive che mostravano i rischi a cui andavamo incontro: in acqua, in camera, nei boschi. Immagini forti, a tratti raccapriccianti, ma necessarie. Ci insegnavano che la libertà non è assenza di limiti, ma la capacità di conoscerli e rispettarli.
Oggi sembra prevalere l’idea che parlare di pericoli significhi togliere libertà. Si tende a minimizzare o a ignorare i rischi, lasciando che l’educazione alla sicurezza venga relegata in secondo piano. Ma l’assenza di informazione non rende il pericolo meno reale.
Educare al rischio non significa spaventare o proibire, ma rendere consapevoli. Sapere che la sabbia può cedere, che un’onda può travolgere, che una buca troppo profonda è una trappola. Solo così possiamo evitare che semplici gesti diventino tragedie.
Questa storia dovrebbe ricordarci che la responsabilità è di tutti: famiglie, scuole, istituzioni e singoli. Serve un impegno reale per trasmettere una cultura della sicurezza, fatta di attenzione e rispetto, senza togliere la gioia di giocare e vivere.
Perché solo conoscendo i rischi possiamo davvero essere liberi.