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giovedì, Aprile 24, 2025

Risiko bancario che parte da Siena: MPS tra potere finanziario e interessi del territorio

La città tra ambizioni di rilancio e timori di marginalizzazione

Non è una semplice manovra finanziaria né uno scambio di azioni ordinario. L’offerta pubblica di scambio (OPS) lanciata da Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca ha i contorni di un vero e proprio risiko bancario che da Siena si allunga fino a Milano, Bruxelles e Francoforte, coinvolgendo non solo i due istituti ma anche Generali, la Banca Centrale Europea, il Governo italiano e alcuni dei protagonisti più influenti della finanza nazionale.

L’operazione, che segna una discontinuità forte rispetto al recente passato di MPS, rappresenta per l’amministratore delegato Luigi Lovaglio il tentativo di chiudere la lunga parentesi del risanamento e aprire una nuova fase di protagonismo per la banca senese. L’obiettivo: creare, insieme a Mediobanca, un “terzo polo” bancario italiano, in grado di affiancarsi ai colossi Intesa Sanpaolo e UniCredit, integrando la rete territoriale di MPS con il know-how specializzato di Mediobanca nei settori dell’investment banking, del private banking e del wealth management.

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Ma l’OPS non è stata concertata con Mediobanca. E dunque è ostile. Il consiglio di amministrazione della banca milanese l’ha respinta con decisione, definendola “fortemente distruttiva di valore” e priva di raziocinio industriale e finanziario, mettendo in guardia sui rischi di fuga dei clienti, di perdita dei talenti interni e sull’impatto negativo per gli azionisti. L’operazione è sostenuta dal Governo italiano, che ha approvato senza condizioni l’aumento di capitale propedeutico all’OPS e ha deciso di non esercitare il golden power.

Il segnale è chiaro: Roma vede con favore un consolidamento del settore bancario nazionale, specialmente se guidato da soggetti con forte presenza pubblica, come MPS, ancora parzialmente controllata dal Tesoro. Ma è proprio qui che la partita si complica. La mossa di MPS, secondo molti osservatori, avrebbe nel mirino non solo Mediobanca, ma anche Generali, di cui la banca milanese è principale azionista.

Dietro l’operazione si muovono figure decisive come Francesco Gaetano Caltagirone, azionista influente di MPS e protagonista dei recenti tentativi di cambiare la governance della compagnia assicurativa triestina. In posizione d’attesa c’è poi Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, primo azionista di Mediobanca e con importanti quote anche in UniCredit e Generali. Il suo eventuale appoggio – o rifiuto – potrebbe risultare determinante per l’esito dell’operazione. Il riassetto, se andasse a buon fine, inciderebbe profondamente sulla governance di Generali e sull’assetto del potere finanziario italiano, ridisegnandone gli equilibri a partire da una mossa scattata da Siena.

La Banca Centrale Europea ha finora concesso il via libera tecnico all’aumento di capitale necessario all’offerta, ma mantiene alta l’attenzione sui rischi sistemici di un accentramento di potere in poche mani. Se da un lato Bruxelles e Francoforte spingono per operazioni di consolidamento bancario, dall’altro chiedono che siano trasparenti, guidate da logiche industriali coerenti e sostenibili, e soprattutto capaci di garantire la stabilità del sistema. In questo contesto complesso e ancora aperto, la città di Siena si trova al centro di una trasformazione che ha potenzialità significative ma anche insidie non trascurabili.

Da un lato, l’operazione potrebbe finalmente archiviare la stagione del risanamento e ridare forza, ambizione e prestigio a MPS, con riflessi positivi per l’occupazione e per la sua funzione nel territorio. Dall’altro, la fusione con Mediobanca potrebbe comportare una perdita di autonomia decisionale, la concentrazione delle leve strategiche a Milano e un possibile ridimensionamento del ruolo operativo della sede senese. Non va escluso neppure l’effetto occupazionale, se l’integrazione dovesse comportare sovrapposizioni o tagli. Per Siena, dunque, il progetto rappresenta una posta alta: o diventa il baricentro di una rinascita finanziaria, oppure rischia di essere riassorbita nella logica dei grandi gruppi, perdendo peso e centralità.

In definitiva, l’OPS di MPS su Mediobanca è molto più di un’operazione di finanza. È una partita di potere, economia e visione strategica del futuro del sistema bancario italiano. Il suo esito potrebbe ridefinire gli equilibri di potere, cambiare il destino di tre grandi istituzioni (MPS, Mediobanca e Generali) e, in modo non secondario, influire sull’identità economica e simbolica di una città, Siena, che dal 1472 ha fatto della sua banca la proiezione concreta di un orgoglio civico e di una lunga storia collettiva.

Adesso, quella storia rischia di aprirsi a una nuova e delicata stagione. In ballo non c’è solo un piano industriale, ma il senso stesso del rapporto tra una banca e il suo territorio. Siena ha già visto svanire la sostanza del legame con Mps, e ora rischia di vederne scomparire anche i segni. Perché, in un sistema che accentra tutto tra Roma e Milano, qualcuno dovrebbe ancora investire in una direzione operativa a Siena? È una domanda scomoda, ma urgente. Chi pensa, chi ha responsabilità, chi ha voce: lo dica. Perché oggi, più che schierarsi, serve capire dove stiamo andando, e se c’è ancora spazio per immaginare una presenza vera, non simbolica. Magari non è troppo tardi per chiedersi se un’integrazione può essere fatta bene, con rispetto per le persone, i territori, le competenze. Ma bisogna iniziare a parlarne. In modo serio, e pubblico. Altrimenti sarà qualcun altro a decidere tutto, ancora una volta, senza neppure dover spiegare il perché.

E proprio in questa prospettiva, non va trascurato un aspetto spesso ritenuto secondario, ma che invece dovrebbe essere centrale: il ruolo del credito nell’economia reale. E’ fondamentale che un risiko bancario non si traduca in una razionalizzazione dell’offerta, ma al contrario in un suo rafforzamento. Perché le piccole e medie imprese italiane – che da sole sostengono buona parte degli investimenti produttivi e del PIL del Paese – hanno bisogno di accesso al credito per cofinanziare i loro progetti. E in un contesto di crescita stagnante, con due anni consecutivi di calo della produzione industriale, il rischio concreto è che senza nuovo ossigeno si apra una fase di vera e propria recessione.

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