Le mie considerazioni sul Ddl Giustizia sono strettamente un’opinione personale. È necessario approvare una riforma: lo è da tempo memorabile ma le leggi ad personam di Berlusconi e della Destra, l’attacco all’autonomia dei giudici ce lo impedirono.
L’esito è stato un aggravamento del funzionamento della Giustizia sia civile che penale. La crisi del funzionamento del CSM, i metodi della sua elezione, casi di degrado clientelare e peggio hanno portato ai minimi termini la fiducia dei cittadini nei giudici. Non è un aspetto da sottovalutare.
È vero che l’Unione Europea ha posto tra le condizioni della erogazione all’Italia dei miliardi di euro del Recovery Plan l’approvazione della riforma della Giustizia, del Fisco e quella della Semplificazione amministrativa, ma l’Italia di queste riforme ha urgente necessità.
Il Consiglio dei ministri ha approvato un testo e, all’unanimità, ha deciso di ricorrere al voto di fiducia in Parlamento. Non è chiusura: è determinazione.
La riforma, lo hanno detto il presidente Draghi e la ministra Cartabia, non è immodificabile. Alcuni punti tuttavia restano fermi ed è bene che lo siano, a cominciare dalla durata dei processi.
Una pena giusta che arrivi dopo un decennio, o quasi, diventa immorale. Fa saltare ogni rapporto di equità tra punizione e recupero. Un’assoluzione che arrivi dopo un decennio non restituisce alla persona la dignità offesa.
Certo i delitti di mafia o di terrorismo come i reati che prevedono l’ergastolo non possono essere derubricati; e non lo sono nella proposta di legge.
Si possono individuare fasi di transizione dal vecchio al nuovo, altri perfezionamenti tecnici, ma non bisogna rinunciare a mio avviso alla tenuta della riforma.
Su di essa sono attesi ora, e da verificare, due passaggi; per essere ancor più espliciti due comportamenti.
Il primo riguarda la maturità e coerenza dei partiti che sostengono il Governo, soprattutto del movimento CinqueStelle. Occorre guardare alla salvaguardia dello Stato di diritto e pensare ai cittadini, ai loro bisogni: in questo quadro mettere al sicuro il bene prezioso dell’autonomia dei magistrati non le tendenze che degenerano verso le corporazioni.
Il secondo aspetto di verifica chiama in causa direttamente i magistrati: diano un contributo al miglioramento della legge e al cammino della sua approvazione, evitando contrapposizioni apocalittiche, scontri frontali che non hanno ragione di essere e non sarebbero compresi.
L’autonomia tra politica e magistratura in democrazia e negli Stati di diritto è reciproca. La sovranità del Parlamento occorre rispettarla e valorizzarla tutti. L’alternativa alla legge di Riforma del resto sarebbe il referendum già indetto, anch’esso una via legittima e democratica.
Su un tema delicato come questo personalmente preferirei la legge di riforma approvata dalle Camere.
(Nella foto la ministra della Giustizia Marta Cartabia)