Qualche giorno fa abbiamo annunciato un incontro a Sinalunga il prossimo 25 marzo (ore 21, Centro Studi Valdichiana) sulla proposta di legge regionale che definirà le aree idonee per l’installazione di impianti di energia rinnovabile. L’incontro è organizzato da Legambiente Valdichiana, Valdichiana 2030, Siena Sostenibile, Opzione Zero, Comitato Aria e l’Associazione Il Bersaglio di Montepulciano. Sul tema, in sostanziale dissenso, il giorno successivo il signor Fabrizio Quaranta, ricercatore Agrario nonché socio di Italia Nostra e dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GRIG) ha aggiunto una nota molto lunga sull’agrivoltaico. Lo abbiamo invitato a indirizzarci la medesima in forma di lettera per meglio curarne la diffusione posto che rispettasse i tre parametri da noi richiesti: attribuzione di firma certa, buona educazione e originalità di contenuti (dr).
AGRIVOLTAICO
Nel ben tracciato solco della ipocrita furbizia italiana aggiraregole l’AGRIVOLTAICO è di fatto un artificio elaborato a fini di lucrosa produzione energetica per aggirare le benvenute (seppur tardive) regole che vietano direttamente il fotovoltaico sui terreni agricoli.
Uno dei più gravi fenomeni distruttivi dell’ambiente, dell’agricoltura, del paesaggio e oggi sempre più invasivo, è legato al proliferare senza regole e controlli di impianti industriali fotovoltaici, agrivoltaici, grattacieli eolici, batterie di accumulo, stazioni e sottostazioni, per la produzione di energia elettrica, che, con la furba vulgata populista semantica del termine “parchi”, stanno devastando il nostro prezioso paesaggio agricolo, naturale e storico-culturale, non solo perché renderanno impossibile per decenni le storiche coltivazioni di pregio che caratterizzano la nostra agricoltura, ma anche per le opere connesse necessarie al loro funzionamento e per gli impatti sul paesaggio e sulla vita delle persone: isole di calore, rumore, interdizione di vaste aree, inquinamento elettromagnetico, inquinamento luminoso, frammentazione ecologica, perdita di suolo pregiato, perdita di attività economiche, perdita di valori culturali, storici e paesaggistici, disturbo della fauna…
Dopo 70 anni di selvaggia speculazione edilizia, incontrollata urbanizzazione e crescente diminuzione della SAU, superficie agricola utilizzabile, con perdita completa dell’autosufficienza per quasi ogni materia prima alimentare (meno del 64% per grano tenero per pane e pasticceria, -44% duro per la pasta, -53% mais, -73% soia e poi legumi, olio, frutta secca, ecc… onte ISMEA e CREA), è semplicemente irresponsabile consumare ulteriore suolo, tombando migliaia di ettari, tra l’altro quelli migliori e carenti, i più fertili, pianeggianti e ben esposti, con un osceno tappeto per km di lugubri paramenti funebri fotovoltaici a terra (che tutti sanno potrebbero tranquillamente trovare posto su tetti o aree industriali già consumate (fonte ISPRA), seppur con minor lucro privato dell’arrembante speculazione energetica).

Già migliaia di ettari agricoli, soprattutto a grano, pianeggianti del Sud più bello (Sicilia, Puglia, Lucania, Molise) sono stati impunemente massacrati, con “allegro” cambio di destinazione d’uso, e ora tocca alle località più iconiche del Centro, in particolare della Tuscia, “rea” di aver preservato vaste aree agronaturalisticamente integre e quindi particolarmente appetitose alla speculazione energetica: a Tuscania, Tarquinia e, soprattutto, Vulci-Montalto di Castro ormai si coltiva quasi più silicio che grano e centinaia di progetti predatori incombono su quelle zone patrimonio dell’umanità.
L’abnorme numero di progetti industriali per le energie rinnovabili, seppur sottoposti alla valutazione di diverse Autorità competenti, sta facendo diventare il già incantevole territorio italiano una grande periferia industriale dedicata alle FER, snaturando definitivamente il paesaggio con un danno enorme alle economie locali e al tessuto sociale.
Si considerano le terre agricole e i siti naturali come res nullius, qualcosa di vuoto e inutile da riempire, costruire, consumare con facile e furbo lucro millantato per moderno progresso sviluppista, con criteri di valutazione socioeconomica superati e forieri di un evidente degrado della qualità della vita.
Tutto ciò non fa altro che avvalorare la tesi che i progetti in questione non siano volti al bene comune e al contrasto al cambiamento climatico (che non ha certo cause locali, ma GLOBALI) come millantato in varie sedi, ma rispondano esclusivamente a logiche di privatissima economia speculativa aziendale e ove oltretutto le aziende proponenti si sostituiscono allo Stato, avendo addirittura il potere di espropriare.
Le terre fertili sempre più scarse, gli ineludibili servizi ecosistemici del suolo, la produzione agricola sempre più deficitaria, il paesaggio identitario, la nostra storia e cultura, la grande Bellezza che richiama crescente turismo sostenibile, in nome di una irrisoria riduzione di CO2 GLOBALE è tecnicamente inutile, un suicidio ambientale ed economico, socialmente ed eticamente vergognoso.
(…) Nessuna pianta mediterranea adattatasi nei millenni si giova dell’inutile ombreggiamento se non per brevissimi periodi estivi e solo nelle ore centrali della giornata mentre lo scempio di ferro e silicio (addirittura sopraelevato) offende e degrada il territorio per km e km TUTTO L’ANNO e per tutte le 24h. Le colture primaverili-estive sono in campo da aprile a ottobre e i “benefici” decantati da una letteratura di “parte” (per rimanere educati) per le specie a ciclo C3 forse si avrebbero per meno di soli 30-40 gg e, appunto, nelle sole ore centrali della giornata. Ma per i restanti 300-320 gg a chi giovano?
La risposta è facile, purtroppo e non serve citazione ma onestà culturale, con la u e anche con la o. Le colture vernine come i frumenti e gli orzi, avene, segale poi, principali seminativi nazionali coltivati per quasi 2 milioni di ettari, vera quinta paesaggistica dell’Italia più struggente, sono in campo generalmente da novembre a luglio e questi di certo NON SI GIOVANO DI OMBREGGIAMENTI FARLOCCHI in quanto da novembre fino a marzo finirebbero per contrarre la produttività, ad aprile-maggio, nella strategica fase di levata-spigatura, li esporrebbe a malattie crittogamiche tra cui le subdole fusariosi, veicolo di pericolose micotossine notoriamente cancerogene.
E poi a fine ciclo in giugno-luglio queste colture hanno bisogno di tutto il calore mediterraneo senza tralicci e silici a oscurare le spighe perché la granella si asciughi e possa essere facilmente mietitrebbiata e soprattutto conservata a lungo senza pericolosi inneschi di muffe e funghi.
Non a caso l’agrivoltaico non è mai gestito da agronomi ma da società energetiche che spesso riescono a convincere agricoltori bisognosi di liquidità per la cronica scarsa reddittività delle attività agricole, ma è molto probabile che in pochi anni rimarranno solo pali e silicio senza traccia di colture sotto, appassito alibi di breve durata per finalità non agricole.
Uno studio dell’Università della Tuscia, pubblicato su rivista con referaggio internazionale, Science Direct, nel giugno del 2022, ha paragonato le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un terreno coperto per 7 anni da pannelli fotovoltaici con uno limitrofo non coperto e i risultati attestano una variazione della fertilità del suolo con significativa riduzione della capacità di ritenzione idrica e della temperatura del suolo, oltre all’aumento della conducibilità elettrica (EC) e del pH. Sotto i pannelli, la materia organica del suolo è stata drasticamente ridotta, inducendo una parallela diminuzione dell’attività microbica (valutata come respirazione o attività enzimatica) e della capacità di sequestro della CO2. Ne consegue dunque una drastica riduzione della fertilità e dei servizi ecosistemici che le porzioni di suolo occupate per più anni dai pannelli fotovoltaici sono in grado di erogare. Una futura riconversione ad uso agricolo potrebbe richiedere molto tempo e risorse.
Gli impianti fotovoltaici e agrivoltaici riscaldano le aree circostanti, influenzando negativamente gli ecosistemi naturali o antropici in esse presenti impattando su fauna, flora e salute umana con formazione di isole di calore. Se dal lato utile producono energia dall’altro lato producono calore (fino a 7O°). Tra i possibili impatti microclimatici causati dagli impianti fotovoltaici e agrivoltaici i più frequenti sono:
- aumento di temperatura dell’aria;
- variazione di umidità dell’aria ed evapotraspirazione (suolo naturale o permeabile);
- diminuzione della radiazione solare (sotto e in prossimità dei pannelli solari);
- variazioni a microscala della ventilazione.
Tra questi impatti, quello più significativo in tutti gli ambienti di localizzazione degli impianti è l’alterazione del campo termico. Si parla di fenomeno di Isola di Calore da Fotovoltaico (PVHI) in analogia al fenomeno microclimatico di Isola di Calore Urbana (UHI) [Barron, 2016].
La vegetazione riduce la cattura e lo stoccaggio del calore nei suoli, l’acqua infiltrata e la vegetazione rilasciano flussi di calore latente dissipanti per evapotraspirazione. Tali flussi di calore latente possono risultare drasticamente ridotti in installazioni fotovoltaiche, portando a maggiori flussi di calore sensibile riscaldanti per radiazione e convezione. Vengono coinvolte anche l’energia re-irradiata dai pannelli fotovoltaici e l’energia trasferita all’elettricità [Barron, 2016].
Centrali fotovoltaiche e agrivoltaiche inducono un cambiamento del paesaggio, che risulta più scuro e meno riflettente a causa della variazione dell’albedo (frazione di radiazione solare incidente che è riflessa in tutte le direzioni e indica il potere riflettente di una superficie) indotta dai pannelli. ARPAV, 2023. Monitoraggio impatto microclimatico da FVT e A-FVT – Linea Guida ARPAV.

Agrivoltaico e vincoli equiparati al fotovoltaico a terra
Le recenti pronunce della giurisprudenza, sia da parte dei TAR che del Consiglio di Stato, hanno evidenziato un orientamento unitario riguardo agli impianti agrivoltaici. In particolare, questi impianti non beneficiano di un regime autorizzativo privilegiato rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici a terra, in quanto sono soggetti agli stessi vincoli paesaggistici, ambientali e procedurali. Di seguito si esaminano i punti salienti delle sentenze e dei criteri giuridici che ne derivano.
Principio di equiparazione tra agrivoltaico e fotovoltaico a terra
Dalle sentenze emergono chiaramente che la doppia destinazione, agricola ed energetica, non consente all’agrivoltaico di allontanarsi dai vincoli applicabili al fotovoltaico a terra. Nel caso del TAR Umbria, Sentenza n. 615/2023, il Tribunale ha sottolineato che “l’agrivoltaico, pur connotandosi per la compresenza di attività agricola e produzione energetica, non può prescindere dalla valutazione di compatibilità paesaggistica, ai sensi degli artt. 136 e 146 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali), esattamente come previsto per il fotovoltaico a terra.” Questo significa che, nonostante l’integrazione dell’attività agricola, l’impianto deve comunque rispettare rigorosi standard di tutela paesaggistica. Anche il TAR Sardegna, con la Sentenza n. 192/2023, ha confermato che “la finalità agricola accessoria non modifica la natura sostanziale dell’impianto, che deve essere valutato alla stregua degli impianti fotovoltaici tradizionali, con particolare riguardo all’impatto sul suolo e al consumo di territorio.” Tale affermazione rafforza l’idea che la presenza di un’attività agricola non costituisce una via d’uscita dal rispetto dei vincoli paesaggistici. Le sentenze del TAR Puglia, sia quella di Bari (Sentenza n. 1144/2024) che quella di Lecce (Sentenza n. 361/2023), ribadiscono ulteriormente che non vi è alcuna deroga derivante dalla destinazione agricola del terreno. In particolare, il TAR Bari ha dichiarato che “la pretesa di sottrarre l’agrivoltaico alle discipline di settore (L.R. Puglia n. 45/2013) è infondata, poiché la destinazione agricola del terreno non esime dal rispetto dei limiti alla localizzazione degli impianti energetici.” Analogamente, il TAR Lecce ha evidenziato come “l’impianto agrivoltaico, ancorché integrato con attività agricola, incida sul paesaggio rurale al pari del fotovoltaico a terra, richiedendo identiche cautele in sede di autorizzazione.”
Il Consiglio di Stato ha ulteriormente chiarito che l’obiettivo della produzione energetica non può prevalere sulla necessità di tutelare il paesaggio e il territorio. Nelle Sentenze nn. 2242 e 2243/2022, il Consiglio ha precisato che “la finalità agricola non costituisce elemento idoneo a giustificare deroghe ai vincoli codificati per il fotovoltaico, dovendosi garantire un bilanciamento effettivo tra interessi energetici e tutela del territorio.” Inoltre, con la Sentenza n. 8235/2023, il Consiglio ha confermato che “l’agrivoltaico, se realizzato su aree agricole non degradate, deve rispettare i medesimi limiti previsti per il fotovoltaico a terra, incluso il divieto di sottrarre terreni all’attività primaria.”
Il TAR Lazio, con diverse pronunce, ha confermato che la saturazione del territorio rappresenta un problema reale: ulteriori impianti in un’area già carica di installazioni FER rischiano di generare esternalità negative, con impatti significativi sul turismo e sull’identità locale. In particolare, la Deliberazione della Regione Lazio n. 390/2022 evidenzia esplicitamente il rischio di tali esternalità, affermando la necessità di una ripartizione equa degli impianti sul territorio regionale.
il TAR Lazio ha respinto i ricorsi contro la DGR 171/2023, riconoscendo la legittimità delle misure adottate dalla Regione per limitare la concentrazione degli impianti FER. Questo orientamento giurisprudenziale sottolinea l’importanza di garantire un equilibrio tra lo sviluppo delle energie rinnovabili e la tutela del paesaggio, del patrimonio ambientale e dell’identità territoriale, elementi fondamentali per la sostenibilità a lungo termine
Gli impianti FER devono essere prioritariamente installati nelle aree idonee previste dalla normativa. Il principio di proporzionalità, che sta alla base del concetto di saturazione, richiede anzitutto di pianificare le installazioni sottraendole all’arbitrio del privato e ritenendo incompatibili le aree già oggettivamente sature.
Il TAR del Lazio, consacrando la DGR 171/2023, ha dato anche giusta attuazione alla normativa nazionale che prevede: a) di installare gli impianti FER nel rispetto di tutte le altre componenti di quel bene “complesso ed unitario” che è l’Ambiente (definizione del Consiglio di Stato); b) di porre attenzione al cumulo degli impianti previsto anche dalla normativa comunitaria sulla VINCA; c) di pianificare e realizzare un’equa ripartizione delle fonti FER sul territorio.
Gli imponenti impianti agrivoltaici, le strutture accessorie (elettrodotti, stazioni elettriche, impianti di accumulo, ecc.) e la viabilità di accesso sono destinati a trasformare paesaggi unici in una sorta di squallida zona industriale che, di fatto, inciderà sull’esercizio dell’attività agricola e, sicuramente, sulla possibilità di promozione e valorizzazione della stessa, rendendo vano il pluriennale e costoso impegno alla salvaguardia e miglioramento del territorio frenandone l’abbandono e lo spopolamento con le poliedriche opportunità di lavoro che l’attività agricola specializzata e di correlata accoglienza agrituristica anche internazionale consentono.
Molte aziende agricole a conduzione familiare comprendono agriturismi, bed & breakfast, cantine, frutto del duro lavoro nel mantenimento e miglioramento delle strutture tipiche ed identitarie della campagna che hanno richiesto l’investimento di ingenti risorse economiche di intere famiglie spesso per più generazioni che hanno scelto queste terre con passione e dedizione, impegnandosi nella sua valorizzazione, nel rispetto della sua bellezza paesaggistica e delle sue tradizioni. L’agriturismo non è soltanto un’attività economica, ma anche un progetto che mira a promuovere il territorio, la sostenibilità ambientale e a offrire agli ospiti un’esperienza autentica, immersa nella natura incontaminata. Particolarmente apprezzato dagli ospiti anche internazionali che con crescente fruizione riconoscono nelle strutture un contesto unico per godere di un’esperienza in un territorio incontaminato e autentico. E’ pertanto inappropriato che un progetto di sviluppo di impianti FER venga realizzato in questi territori, senza un’adeguata considerazione degli impatti negativi che tali impianti potrebbero comportare. È fondamentale difendere gli investimenti, che non riguardano solo il futuro economico delle aree rurali, ma anche la salvaguardia di territori di pregio amati profondamente e che sarebbe un vero delitto scempiare.
La vista panoramica sul magnifico entroterra dell’Italia ancora bella, dove ambienti naturali e selvaggi s’intrecciano con le attività umane fin dai tempi più remoti, verrà presto usurpato dalla realizzazione di impianti ad energia rinnovabile, invasivi come decine di campi di calcio. Tutto questo a discapito di qualsiasi vincolo di natura ambientale, paesaggistica, residenziale, archeologica e idrogeologica.

È inoltre da sottolineare il grave danno economico ai nuclei abitativi residenziali e turistici limitrofi, che perderanno di valore in modo irrecuperabile che non si avvantaggeranno certo dalla presenza di impianti industriali così invadenti a fare da sfondo al paesaggio, spesso circondato da dolci colline, ricco di boschi e macchie con alberi, pascoli verdissimi, olivi secolari, vigneti sapienti. A coronare questo scenario si inseriscono i borghi medievali di rilevanza storica di struggente e apprezzata bellezza, che sorgono sui rilievi collinari e godono di una vista eccezionale del paesaggio nel quale il mosaico agricolo e le vaste aree ancora naturalmente integre è una parte di grande importanza, che rischia di essere cancellato dalla presenza di lugubri distese fotovoltaiche, delle cabine elettriche, degli elettrodotti e delle immense pale eoliche.
Le ripercussioni di queste invadenti presenze nei confronti del settore turistico e ricettivo sono palesi, con ricadute economiche su numerose aziende. Aziende ed attività che negli anni hanno fatto ingenti investimenti per creare anche strutture di pregio e recuperare edifici di valore storico e architettonico, che si vedrebbero compromesse dall’installazione di queste distese di silicio. Quale turista sceglierebbe di fare una “bella” vacanza con vista grigi laghi fotovoltaici?
Siamo di fronte a un’imminente perdita di valore dei terreni e soprattutto degli immobili ricadenti nelle aree predate dalla speculazione energetica. Il mercato immobiliare subirebbe irrimediabilmente un brusco calo ed apporterebbe un deprezzamento del valore delle proprietà agricole e ricettive.
Si tratta di piccoli centri che vivono di cultura, agricoltura e turismo proprio grazie al fatto che sono stati risparmiati dalla violenza industriale e produttiva, che la febbre dell’energia rinnovabile dilagante distruggerebbe in modo irreversibile. Quanti ettari di suolo dobbiamo sacrificare per 35 anni? Ammesso che gli impianti vengano realmente dismessi e le terre siano restituite all’uso originario, come si può pensare che dopo un periodo così lungo possano essere recuperate le pratiche agricole? Da parte di chi? La crisi del settore agricolo nasce soprattutto dall’abbandono delle campagne per problemi di varia natura, fra cui anche la reddittività e i cambiamenti sociali, siamo sicuri che alla fine della vita di questi impianti ci sarà un tessuto sociale disponibile a ricominciare?
E‘ importante sottolineare che le disposizioni dell’art. 6, par. 3, della Direttiva n. 92/43/CEE, infatti, non si limitano ai piani e ai progetti localizzati esclusivamente all’interno di un sito Natura 2000; essi, infatti, hanno come obiettivo anche piani e progetti situati al di fuori del sito ma che, nondimeno, potrebbero avere un effetto significativo su di esso, indipendentemente dalla loro distanza dal sito in questione.” (s.v. T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 05/10/2022, n.12639). Questo principio dell’incidenza significativa e negativa dei progetti, dei piani e delle attività anche se esterni ai siti della rete ecologica Natura 2000 a prescindere dalla loro distanza è stato confermato anche dal Consiglio di Stato, dalla Commissione Europea e dalla Corte di Giustizia europea.
Molte aree rurali italiane a bassa densità abitativa, in cui le attività produttive prevalenti sono quelle legate all’agricoltura tradizionale, non intensiva e a bassa meccanizzazione e alla pastorizia/zootecnia. La rete insediativa è prevalentemente concentrata, costituita esclusivamente da piccoli centri. L’espansione urbana rimane comunque localizzata attorno ai centri storici, con connessioni locali che ricalcano la viabilità storica. L’insediamento sparso è legato prevalentemente al recupero di vecchi manufatti rurali, spesso trasformati in strutture ricettive di tipo agrituristico a conduzione familiare che, grazie alle caratteristiche di bellezza dei paesaggi, di ricchezza di aree naturali, di beni archeologici, storici e artistici della zona, costituiscono una potenziale area di sviluppo dell’economia locale in armonia con l’ambiente, la storia e l’identità dei luoghi che le ospitano. Armonia che oggi è invece fortemente minacciata dallo sviluppo caotico e speculativo degli impianti industriali FER.
Spesso le aree che ingolosiscono i predatori della speculazione energetica sono soggette a tutela ai sensi del D.Lgs. 42/2004 – Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che prevede la salvaguardia dei beni paesaggistici, tra cui le aree agricole di pregio. Tale normativa stabilisce che ogni intervento di trasformazione del territorio debba garantire la conservazione dell’identità storica e ambientale delle aree vincolate, evitando opere che possano comprometterne l’integrità visiva e funzionale.
La costruzione di impianti industriali agrivoltaici, (che di agro hanno solo la foglia di fico) spesso con estensione su larga scala, andrebbe in netto contrasto con tali disposizioni, determinando una modifica irreversibile dell’assetto del territorio. A livello nazionale, il D.M. 31/01/2023 del Ministero della Cultura, relativo alle linee guida per la tutela del paesaggio, sottolinea la necessità di contemperare le esigenze di sviluppo delle energie rinnovabili con la protezione dei beni paesaggistici e culturali, imponendo una valutazione rigorosa dell’impatto visivo e ambientale delle installazioni industriali. Il mancato rispetto di tali principi renderebbe il progetto incoerente con il quadro normativo vigente, esponendolo al rischio di annullamento in sede di controllo amministrativo o giudiziario.
Anche la giurisprudenza amministrativa valutando pareri ed osservazioni motivati, puntuali e concreti a sostegno delle Tutele del Patrimonio Culturale e Paesaggistico ha confermato questa previsione di diniego delle autorizzazioni, rendendo non solo ragionevole ma pressoché inevitabile una valutazione negativa dei progetti alla luce di criticità (ex multis Sentenza TAR Sardegna Sez II, 30.01.2024, n. 63 e Consiglio di Stato Sez IV 4 aprile 2022, n. 2464; Consiglio di Stato Sezione VI 23 settembre 2022, n. 08167). Inoltre, l’orientamento della giurisprudenza amministrativa è proteso, oltre alla garanzia delle tutele, anche al bilanciamento dei diversi valori e beni di rango costituzionale (paesaggio, beni culturali, biodiversità, ecosistemi e ambiente e nel riconoscimento del maggior favore verso gli interessi pubblici rispetto a quelli privati.
Riportiamo, ex multis, una recente sentenza del TAR del Molise Sez. I n. 346 del 20 dicembre 2023 sugli Impianti da fonti rinnovabili e la tutela del paesaggio. “La costruzione e l’esercizio di impianti da fonti rinnovabili devono rispettare le normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, a tenore dell’art. 12 comma terzo del D.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387. Tuttavia, la tutela del paesaggio costituisce, pur sempre, un valore di speciale ed elevato rango costituzionale, la qual cosa giustifica il complesso e articolato sistema di protezione che le normative di settore offrono per le emergenze paesaggistiche e archeologiche. La disciplina costituzionale del paesaggio erige il valore estetico-culturale a principio primario dell’ordinamento, mentre – per converso – la limitazione della libertà di iniziativa economica per ragioni di utilità sociale appare giustificata non solo nell’ottica costituzionale, ma anche in quella dei princìpi di cui all’art. 6 della C.e.d.u. (Convenzione europea dei diritti) e dell’art. 1 del relativo Protocollo addizionale, poiché, anche in essi, la garanzia dell’autonomia privata non è incompatibile con la prefissione di limiti a tutela dell’interesse generale”. E ancora la sentenza trova sostegno in altre pronunce di altri TAR : “Nello specifico campo d’interesse della vicenda, se è innegabile che l’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia valutato con favore dal legislatore comunitario e da quello nazionale, risulta però altrettanto evidente che le direttive europee di settore e la normativa interna facciano salvo l’esercizio di poteri pubblicistici ad alto tasso di discrezionalità, da parte dello Stato e delle autonomie locali, “specialmente in vista del contemperamento tra progettazione di nuove infrastrutture ed esigenze di tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ordinato assetto del territorio. Nell’esercizio della funzione di tutela, l’obiettivo primario perseguito dagli Enti locali consiste nel preservare l’ambito territoriale vincolato nel quale si collochi l’opera, in considerazione delle effettive e reali condizioni dell’area d’intervento” (TAR Puglia – Bari, Sez. II, n. 814/2023).
Vi sono evidenti interferenze con le attività agrituristiche e si instaura un effetto barriera nei confronti della fauna selvatica, come il lupo e i chirotteri, che risentono della frammentazione del paesaggio. La Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV n. 3204/2024, ribadisce l’obbligo che la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) debba garantire un bilanciamento equilibrato tra l’utilità socio-economica e il sacrificio ambientale, evidenziando come la mancata considerazione dell’opzione zero rappresenti un vizio procedurale che può compromettere l’intero iter autorizzativo
Il D.Lgs. 104/2017, che modifica la disciplina della VIA, stabilisce che la valutazione debba comprendere non solo gli impatti diretti del progetto, ma anche quelli indiretti, cumulativi, a lungo termine, permanenti e temporanei, nonché le interazioni tra i diversi fattori ambientali.
Inoltre, la normativa prevede che la VIA debba considerare la conformità dei progetti alle strategie di tutela della biodiversità e alle misure di conservazione stabilite dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE e dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CE, recepite in Italia attraverso il D.P.R. 357/1997. L’assenza di una valutazione dettagliata sugli effetti del progetto sulle aree di pregio ambientale e sui corridoi ecologici contrasta con gli obblighi di protezione delle zone a rischio.
Infine, la VIA deve essere condotta nel rispetto del principio di precauzione sancito dalla Convenzione di Rio del 1992, secondo cui, in caso di incertezza sugli impatti di un progetto, è necessario adottare misure preventive per evitare danni irreversibili all’ambiente. L’attuale valutazione del progetto non tiene conto di questo principio, omettendo un’analisi accurata degli effetti a lungo termine dell’impianto agrivoltaico sul territorio e sulle attività economiche locali.
E come ha chiarito il dott. Stefano Deliperi Presidente del GRIG commentando la Sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV, n. 68 del 7 gennaio 2025:” In tal senso anche il D.M. 10 settembre 2010 + Allegati), contenente linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, il quale prevede “all’allegato 3 lettera f) … specificamente che possano essere dichiarate non idonee non solo le aree SIC ma anche ‘le aree non comprese in quelle di cui ai punti precedenti ma che svolgono funzioni determinanti per la conservazione della biodiversità (fasce di rispetto o aree contigue delle aree naturali protette)’”. L’individuazione di un’adeguata serie di misure di salvaguardia per i valori naturalistici ed ecologici nella pianificazione gestionale delle aree rientranti nella Rete Natura 2000 concorre efficacemente a rendere chiaro e concretamente valido il rapporto fra salvaguardia ambientale e la corretta transizione energetica.”
A sostegno di quanto affermato fino ad ora sugli impianti FER, e sul loro effetto cumulo sul paesaggio, sul territorio e sulle vocazioni economiche locali in considerazione si riporta il seguente principio: “Se a scala europea o nazionale la produzione di energia da fonti rinnovabili è spesso considerata come unilateralmente positiva, è infatti a scala locale che lo sviluppo delle energie rinnovabili può produrre esternalità negative che intaccano i valori culturali e naturali del paesaggio, con potenziali ricadute sul turismo, sulla produzione agricola e sull’identità e riconoscibilità dei luoghi”. (Cfr. pag 25 Allegato DGR Regione Lazio 390/’22).
- Possibile violazione del diritto alla proprietà, diritto di prelazione dei confinanti e rischio espropriativo
Spesso nei documenti o analisi degli arrembanti speculatori non vengono menzionate residenze private i cui proprietari non vengono informati della trattativa in corso da parte dei proprietari dei terreni vicini che svendono alla speculazione e su cui avrebbero potuto esercitare il diritto di prelazione all’acquisto se non fossero stati colti di sorpresa dall’operazione e appena in tempo per fare le osservazioni entro il termine richiesto. Oltre all’ingiustificabile perdita di valore della proprietà i titolari evidenziano un danno emotivo irreparabile.
I progetti-rapina spesso comportano espropri o vincoli su terreni privati, contravvenendo al D.P.R. 327/2001 (Testo Unico sugli espropri), che disciplina le procedure di espropriazione per pubblica utilità, imponendo criteri stringenti per garantire il giusto equilibrio tra interesse pubblico e tutela della proprietà privata. Secondo l’art. 42 della Costituzione Italiana, la proprietà privata è riconosciuta e garantita, ma può essere espropriata solo per motivi di interesse generale, dietro corresponsione di un equo indennizzo. Tuttavia, nel caso di impianti di produzione energetica privata, vi è il rischio che l’interesse pubblico venga strumentalizzato a vantaggio di operatori privati, senza garantire un adeguato beneficio per la collettività. Inoltre, il D.Lgs. 387/2003, che regola le energie rinnovabili, prevede che gli impianti debbano essere realizzati in modo da minimizzare l’impatto su terreni agricoli produttivi e aree a forte valore paesaggistico. La concessione di espropri per impianti agrivoltaici su larga scala potrebbe quindi configurarsi come un abuso delle disposizioni normative, contravvenendo anche ai principi stabiliti dal Codice Civile in materia di tutela della proprietà fondiaria. Infine, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha sancito il principio della proporzionalità nelle espropriazioni (art. 1 del Protocollo Addizionale 1), stabilendo che ogni privazione della proprietà debba avvenire con garanzie di equità e ragionevolezza. L’assenza di una chiara dimostrazione del beneficio pubblico di un impianto potrebbe quindi esporre il progetto a ricorsi legali da parte dei proprietari espropriati.
Difetti di progettazione
Nei progetti spesso raffazzonati e frutto di copia/incolla vi sono dei difetti nella progettazione e nell’integrazione ambientale: la documentazione tecnica fornita risulta spesso insufficiente nel dettagliare l’interazione dell’impianto con il territorio circostante, in particolare per quanto riguarda aspetti fondamentali come il drenaggio delle acque piovane, la stabilità del suolo e l’effetto isola di calore generato dai pannelli fotovoltaici. È importante ricordare che tali aspetti sono regolati dal D.Lgs. 152/2006, il quale impone un’analisi completa dei rischi idrogeologici.
Un ulteriore punto critico riguarda l’insufficiente valutazione del rischio idrogeologico: l’installazione dei pannelli su vasta scala può infatti alterare la permeabilità del suolo e favorire il ruscellamento dell’acqua, aumentando così il rischio di erosione e inondazioni. Questo rischio è ben evidenziato dalle linee guida dell’Autorità di Bacino e dalle prescrizioni del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI).
Oltre a questi aspetti, spesso i progetti non considerano adeguatamente le interferenze elettromagnetiche e gli impatti sulla salute. La presenza di ampie infrastrutture elettriche e cavidotti sotterranei può generare campi elettromagnetici, i cui effetti sulla salute umana e animale non sono stati sufficientemente valutati, in contrasto con quanto stabilito dal D.P.C.M. dell’8 luglio 2003, che fissa i limiti di esposizione a tali campi
Infine, vi è una marcata mancanza di misure adeguate per la manutenzione e la gestione del fine vita dell’impianto. Il progetto, infatti, non prevede un piano dettagliato per lo smaltimento e il riciclo dei moduli fotovoltaici una volta terminata la loro vita utile, contravvenendo alle disposizioni del D.Lgs. 49/2014, il quale recepisce la direttiva UE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Tale carenza rischia di portare, nel tempo, a un accumulo di rifiuti tecnologici nel territorio, con impatti ambientali negativi a lungo termine.
Carenze nella Valutazione di Incidenza (VINCA)
Un ulteriore elemento critico dei progetti riguarda la valutazione di incidenza (VINCA). I progetti, infatti, spesso confinano con Siti Natura 2000, ma non viene condotta un’analisi approfondita degli effetti che tale vicinanza comporta. In particolare, non vengono analizzati in maniera dettagliata gli effetti sul comportamento delle specie mobili, come il lupo e gli uccelli migratori, e non viene considerata adeguatamente la possibilità di frammentazione degli habitat, con il conseguente rischio di collisione tra la fauna e i pannelli installati
La Direttiva 92/43/CEE e le sentenze della Corte di Giustizia UE richiedono espressamente che gli impatti vengano valutati anche nelle aree esterne ai siti protetti
Criticità tecniche
I progetti millantati di verde spesso presentano diverse criticità dal punto di vista tecnico come ad esempio l’installazione di pannelli con un’altezza di oltre 5 metri, una dimensione che risulta inadeguata e non compatibile con le caratteristiche di un paesaggio rurale. Tale scelta tecnica, oltre a influire negativamente sull’impatto visivo dell’intervento, rischia di alterare l’armonia del territorio, compromettendo il valore estetico e ambientale del contesto
Inoltre i progetti spesso prevedono l’installazione di decine di km di cavidotti interrati, il che comporta costi di connessione sproporzionati rispetto alla dimensione e al rendimento complessivo degli interventi e, ovviamente altri espropri e sfracelli ambientali.
Svalutazione degli immobili e dei terreni circostanti
Tutti gli immobili circostanti all’area di influenza dei progetti e anche fuori diminuiranno di valore. Dato il carattere unico delle aree sopravvissute all’industrializzazione, gli immobili hanno di recente spuntato una crescente attrattività. I motivi sono lo splendido paesaggio, i panorami indisturbati e la meravigliosa tranquillità, una serie di opportunità per costruire una vita confortevole. Una distesa di pannelli fotovoltaici sopraelevati oltre i 6 metri nelle vicinanze distrugge la maggior parte di queste ragioni.
Sebbene i pannelli fotovoltaici generino energia rinnovabile, non si può negare che siano di fatto un enorme impianto industriale che provoca molto disturbo. Centrali di questo tipo non sono assolutamente adatte nelle vicinanze di una riserva naturale, a un’area residenziale o agricola di grande valore culturale e turistico. Gli inconvenienti sono semplicemente troppi.
Per questi progetti infrastrutturali si dovrebbero cercare luoghi alternativi, dove l’impatto sulla natura e sui residenti sia praticamente inesistente. Ciò potrebbe avvenire in aree già industriali, come in prossimità di centrali elettriche esistenti, porti aerei e marittimi e grandi zone industriali. Comunque lontano da aree naturali, turistiche e agricole con una ricca biodiversità. Secondo quanto recita lo stesso PTE (Europa) per far fronte alle esigenze della domanda di produzione elettrica al 2050, “il compito principale sarà affidato alla tecnologia del solare fotovoltaico”. In questo contesto si sottolinea positivamente l’intenzione dello stesso legislatore di “individuare le aree e le superfici idonee […] coerentemente con le esigenze di tutela del suolo, delle aree agricole sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio”. Lo stesso Piano individua come soluzione migliore lo “sfruttamento prioritario delle superfici di strutture edificate (tetti e in particolare quelli degli edifici pubblici, capannoni industriali e parcheggi), aree e siti oggetto di bonifica, cave e miniere cessate”.
Anche l’ultimo aggiornamento del PNIEC nazionale conferma che “si seguirà un simile approccio, ispirato alla riduzione del consumo di territorio, per indirizzare la diffusione della significativa capacità incrementale di fotovoltaico prevista per il 2030, promuovendone l’installazione innanzitutto su edificato, tettoie, parcheggi, aree di servizio, etc.”.
Un ulteriore adempimento, che devono soddisfare i progetti finanziati dal PNRR, è il cosiddetto principio “Do No Significant Harm” (DNSH) ovvero “non arrecare danni significativi” all’ambiente circostante.
E invece, è in corso una vera e propria ecatombe ambientale soprattutto al più indifeso Mezzogiorno italiano, nell’ignavia complice della maggioranza degli italiani.
Fabrizio Quaranta