Il nostro 8 marzo con le donne del carcere di Pisa

Due senesi in visita a una struttura con un pesante “sotto-organico” e molto in difficoltà a prevenire eventi psicotici e autolesionismi

Claudia Cardone, Esperto di Sistemi Qualità (ANVUR) e di Politiche d’Innovazione (OCSE) e Giulia Simi, membro del Consiglio Generale del Partito Radicale in occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale dei Diritti della Donna, hanno preso parte a una delegazione del Partito Radicale che ha visitato la casa circondariale Don Bosco di Pisa. La medesima iniziativa “Un fiore per le donne” ha interessato diversi istituti penitenziari femminili come la Casa Circondariale Femminile di Rebibbia a Roma, la Casa Circondariale di Torino “Lorusso e Cutugno” – Sezione Femminile, la Casa Circondariale Genova Pontedecimo – Sezione Femminile, la Casa Circondariale di Teramo “Castrogno”- Sezione Femminile, la Casa Circondariale di Bologna, Rocco D’Amato – Sezione Femminile, laCasa Circondariale Pagliarelli a Palermo – Sezione Femminile, la Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli, la Casa Circondariale di Forlì – Sezione Femminile, l’Istituto Penale Femminile per Minorenni Casal del Marmo a Roma e il Carcere Francesco Cataldo “Carcere San Vittore” a Milano – Sezione Femminile. Di questa visita ci hanno offerto le proprie descrizioni che volentieri pubblichiamo… (dr)

Casa circondariale Don Bosco di Pisa

Per “Un fiore per le donne”, Venerdì 8 marzo scorso abbiamo raggiunto la casa circondariale Don Bosco di Pisa e, accolte dalla comandante della polizia penitenziaria Amalia Cucca, prima donna a ricoprire questo ruolo, abbiamo fatto visita alla sezione femminile della casa circondariale.

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Al momento della visita, l’istituto ospitava complessivamente 293 persone detenute (il 40% sono straniere), di cui 26 donne. La capienza regolamentare totale è di 198 persone, mentre la capienza della sezione femminile è di 22 posti (rispetto a ciò va evidenziato che almeno 4 detenute godono dei diritti relativi al regime di semi libertà).

La sezione femminile è articolata su due piani. Gli spazi detentivi si trovano al primo piano e versano complessivamente in buono stato, visti i lavori di ristrutturazione che nel 2021 hanno dotato tutte le celle di docce interne, bidet e bagni separati con porte. Le celle inizialmente pensate per due persone hanno visto la presenza di 3, talvolta 4 recluse. I bagni sono tutti dotati di doccia, eccezion fatta per una delle 4 stanze del reparto medico femminile.

Giulia Simi e Claudia Cardone

Al pianterreno è poi presente una piccola articolazione destinata al servizio di assistenza sanitaria intensiva (SAI), con 4 camere per le degenze. Anche le stanze del SAI femminile hanno giovato degli interventi di ristrutturazione: sono state allargate le porte in modo da poter fare passare le barelle ed è stata portata la doccia all’interno del bagno allestito per poter accogliere anche le persone con disabilità.

Il piano terra ospita una sala polivalente, una lavanderia, una piccola palestra, uno spazio per la parrucchiera e un angolo dotato di freezer. La sezione femminile non ha una cucina interna e le donne detenute usufruiscono del vitto preparato nella sezione maschile. L’istituto non ospita madri detenute e per questo non sono previsti né gli spazi né i servizi adibiti a tale scopo.

Per quanto riguarda l’offerta formativa si evidenzia una differenza sostanziale rispetto alla sezione maschile, che dispone anche del polo universitario; infatti a causa dell’esiguo numero di donne, spesso l’attività formativo/scolastica rimane soffocata. Solo alcune donne, circa 3, sono coinvolte nei corsi scolastici e, in particolare, una giovanissima ragazza, incontrata con il docente di francese in un’aula didattica, è impegnata nella preparazione dell’esame di maturità.

Alcune detenute, al momento della visita lavoravano, ma soltanto alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria; inoltre solo nella sezione femminile non vengono erogati corsi di formazione professionale.

Le attività ricreative, culturali e sportive prevedono il corso di scrittura creativa, pet therapy, arte, arte-terapia, cucito creativo, flamenco e teatro. Prima della pandemia uomini e donne detenute potevano incontrarsi in occasione degli eventi (teatrali, festivi, conclusivi di progetti). A oggi questi incontri sono venuti meno.

Le detenute, come del resto tutto lo staff della comandante della polizia penitenziaria e le educatrici ci hanno accolte con entusiasmo, calore, empatia e disponibilità al confronto; abbiamo regalato loro un ramo di mimosa e abbiamo ascoltato i loro racconti.

La comandante, le educatrici e le detenute hanno un buon rapporto; nella sezione femminile, a differenza di quella maschile, non esistono casi psicotici e di autolesionismo; le detenute sono quasi tutte condannate in via definitiva per reati comuni.

La comandante Cucca, in carica a Pisa da pochissimo, ci ha messo al corrente della situazione emergenziale in cui versa, invece, la sezione maschile: la stessa struttura risale ai tempi della sua costruzione (1930) e si trova, quindi, in condizioni fatiscenti che necessitano di importanti e radicali interventi di ristrutturazione e manutenzione. Fra i detenuti sono presenti diversi casi di comportamenti antisociali, di autolesionismo e di psicosi.

Rispetto a ciò la mancanza di personale adatto risulta essere sicuramente il problema più grave e urgente; il personale di polizia penitenziaria ha perso recentemente circa 30 unità ( la capienza regolare sarebbe di 221 unità ma la forza operativa, al momento della visita, è ridotta a 190 agenti) e il numero delle educatrici, pur essendo regolare (4), non risulta più adeguato alle problematiche attuali.

I detenuti sono infatti cambiati, i reati sono cambiati e le carceri devono essere in grado di gestire la popolazione che ospitano, attraverso procedure e strumenti appropriati alla situazione corrente. Invece, il lavoro del personale si riduce a un perenne stato d’emergenza, sia per numero di persone addette sia per mancanza di qualificazione appropriata: la polizia penitenziaria non è addestrata a gestire situazioni di psicosi, di ‘disadattabilità’ e di autolesionismo: può intervenire e risolvere stati e contesti critici con mezzi e procedure proprie e adatte al corpo di polizia penitenziaria.

Nonostante un tessuto di associazioni di volontariato che lavora quotidianamente per alleviare, almeno in parte, le carenze del sistema carcerario, la presenza di un cappellano, di ministri di culto Islamici, Ortodossi, Testimoni di Geova, di un unico mediatore linguistico, di un centro clinico che garantisce la presenza all’interno dell’istituto di diverse attrezzature, di un’équipe medica che consta di dirigente sanitario, di caposala, di infermieri, di fisioterapista, di odontoiatra, di tecnico radiologo, per l’intero istituto è prevista una sola presenza settimanale di 54 ore di servizio psichiatrico e di 35 ore di servizio psicologico.

E’ evidente, quindi, che in mancanza di interventi concreti volti a potenziare i servizi di mediazione sociale, linguistica e culturale, nonché di attività propedeutiche all’ingresso nel mondo produttivo, di percorsi professionalizzanti ben strutturati, di misure alternative alla detenzione, attraverso percorsi di inclusione, nella duplice ottica di alleviare il sovraffollamento e di offrire concrete opportunità di reinserimento, di servizi sanitari adeguati alle patologie psichiatriche attraverso la Società della Salute che garantisca l’accesso delle persone detenute ai servizi residenziali sanitari per detenuti incompatibili con il regime detentivo, viene meno l’impegno di tutta la comunità, così detta civile, nei confronti della giustizia ripartiva volta in primis a migliorare l’ambiente carcerario, riducendo le cause socio economiche di commissione dei reati, attraverso azioni volte all’inclusione sociale e lavorativa.

Rispetto a ciò è necessaria un’inversione totale delle politiche sociali ed economiche, a partire dal diritto all’abitazione, alla salute, al lavoro delle persone meno abbienti. Città povere, gentrificate, con servizi locali ridotti al minimo, diventano fabbriche di popolazione carceraria; è ormai dimostrato che una società in cui le difficoltà economiche e sociali delle persone sono affrontate adeguatamente il numero dei reati cala enormemente, così come cala il tasso di recidive.

Intervenire nel settore della marginalità sociale, stanziando fondi per gli interventi di sostegno e assistenza alle persone in difficoltà è ciò che le amministrazione locali possono e devono fare per incidere realmente sulla questione della legalità e quindi sulla emergenza carceraria.

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