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lunedì, Giugno 9, 2025

Il paradosso del referendum abrogativo: quando vince chi resta a casa

Un meccanismo pensato per dare voce ai cittadini si è trasformato in uno strumento che premia l’astensione e congela il cambiamento

C’è un cortocircuito nella democrazia diretta italiana, e si chiama referendum abrogativo. Un istituto nobile in teoria, che permette al popolo di cancellare una legge con un semplice sì. Ma che nella pratica nasconde una trappola logica e politica: vince chi non partecipa.

Non è una forzatura. È il risultato di un meccanismo ormai anacronistico: il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto. Se non si raggiunge questa soglia, il referendum è nullo. Il che significa che chi vuole mantenere una legge può semplicemente non votare, delegando al silenzio il compito di neutralizzare chi partecipa. Più che una chiamata alle urne, diventa un invito a stare a casa. E non c’è niente di più antidemocratico di una democrazia che funziona meglio con l’astensione.

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Si potrebbe capire se il referendum fosse propositivo, cioè se servisse a introdurre una nuova legge: in quel caso, il quorum avrebbe senso come forma di prudenza istituzionale. Ma nel caso dell’abrogativo, dove si chiede di cancellare qualcosa che già esiste, il non-voto finisce per essere un’arma passiva ma potentissima. Chi è contrario a una legge dovrebbe difenderla con argomenti, non col silenzio.

E non è un problema teorico. È accaduto più volte che quesiti referendari molto partecipati in termini di contenuto venissero affossati solo perché non si è raggiunto il quorum, anche se la stragrande maggioranza dei votanti si era espressa per l’abrogazione. Il risultato? Una distorsione della volontà popolare, con buona pace dell’articolo 1 della Costituzione, che ci ricorda che “la sovranità appartiene al popolo”.

Serve allora una riflessione seria. Il quorum è un feticcio di una stagione passata, in cui la partecipazione era altissima e il rischio era semmai quello di un uso strumentale e troppo frequente del referendum. Oggi, con la disaffezione crescente verso la politica, la disinformazione diffusa e l’astensionismo come prima scelta per molti cittadini, mantenere questo vincolo significa condannare il referendum all’irrilevanza.

Le alternative esistono. Alcuni propongono di eliminare del tutto il quorum. Altri di calcolarlo sui votanti effettivi, rendendo il confronto più leale. Altri ancora immaginano modelli più articolati, come un doppio turno o un quorum mobile. Ma una cosa è certa: se vogliamo che il referendum resti uno strumento vivo e non una trappola, dobbiamo ripensarne le regole.

Perché una democrazia che funziona solo quando i cittadini non si presentano alle urne, non è una democrazia: è un simulacro. E il paradosso di oggi — quello in cui chi vince è chi resta a casa — è il segnale più chiaro che qualcosa va cambiato. Prima che sia troppo tardi.

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