Sono 8,5 milioni glo italiani sull’orlo del disagio sociale
C’è un’Italia che, almeno sulla carta, sembra aver superato la crisi. I numeri della disoccupazione migliorano, le aziende assumono, eppure la povertà non arretra. Anzi, si trasforma, assumendo nuove forme, più subdole e difficili da combattere. Quella che emerge dai dati più recenti è una realtà in cui avere un lavoro non sempre significa poter vivere dignitosamente. Otto milioni e mezzo di persone, quasi un italiano su sette, sono oggi sospese in un limbo tra occupazione e indigenza, intrappolate in un sistema che promette stabilità ma genera precarietà.
Il mercato del lavoro italiano mostra segnali contraddittori. Da un lato, il numero dei disoccupati è sceso di quasi 300.000 unità in un anno, un dato che potrebbe far tirare un sospiro di sollievo. Dall’altro, però, cresce in modo preoccupante l’esercito dei lavoratori che, nonostante un impiego, faticano ad arrivare a fine mese. Sono quasi sette milioni, e il loro numero aumenta senza sosta. La ragione è semplice: i nuovi posti di lavoro creati sono spesso contratti a termine, collaborazioni occasionali, part-time involontari. Lavori che non garantiscono sicurezza né redditi sufficienti.
Le donne pagano il prezzo più alto. Per molte di loro, l’occupazione significa accettare condizioni svantaggiose: orari ridotti contro la propria volontà, mansioni sottopagate, carriere bloccate. E mentre il governo annuncia misure di sostegno, come il bonus bollette o l’aumento dell’assegno sociale, queste iniziative rischiano di essere solo palliativi, incapaci di risolvere il problema alla radice.
Serve una svolta. Non bastano gli incentivi all’assunzione se poi i salari restano bassi e le tutele inesistenti. La povertà oggi non è più solo disoccupazione, ma anche lavoro che non protegge, che non permette di progettare un futuro. E mentre le statistiche discutono di percentuali, nelle periferie delle città, nelle parrocchie, nei centri di assistenza, migliaia di persone lottano ogni giorno per sopravvivere, spesso senza neppure chiedere aiuto, perché la vergogna è più forte del bisogno.
La ripresa, se c’è, non per tutti. E se non si interviene con politiche più coraggiose, il rischio è che questa Italia divisa diventi la normalità. Un paese in cui lavorare non basta più per vivere.