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martedì, Luglio 22, 2025

L’Italia e il cambiamento verso cui è diretta

Un bilancio 2024 e riflessioni sul futuro, tra declino demografico, emigrazione e automazione

Nel 2024 in Italia si sono registrati circa 370.000 nati a fronte di circa 651.000 morti, con un saldo naturale negativo di circa –281.000 persone; la popolazione complessiva è scesa a circa 58,93 milioni, quasi 37.000 in meno rispetto all’anno precedente. La fertilità si è attestata su 1,18 figli per donna, il livello più basso mai registrato dalla nascita dell’Italia unita. Il dato sulle morti include un numero invariabilmente alto di anziani, con un’età media in costante aumento (83,4 anni nel 2024) e una quota di persone oltre i 65 anni pari a circa un quarto della popolazione.

Contemporaneamente l’emigrazione italiana ha raggiunto un picco: circa 191.000 italiani sono andati a vivere all’estero nel 2024, oltre tre quarti dei quali giovani laureati o qualificati, con un aumento superiore al 36% rispetto all’anno precedente. Negli ultimi dieci anni più di 1 milione di italiani ha lasciato il Paese e solo metà è rientrata, generando una significativa perdita netta di capitale umano qualificato.

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Gli scenari che emergono dallo studio del fenomeno sono allarmanti per il futuro della forza-lavoro: secondo alcune stime, nel Nord Italia i lavoratori disponibili potrebbero calare di oltre 2,4 milioni entro il 2040; su scala nazionale, la contrazione della popolazione in età attiva potrebbe raggiungere i 5 milioni, aggravando i problemi di sostenibilità del sistema socio‑economico. La diminuzione del numero di occupati si riflette inevitabilmente sul potenziale di crescita del PIL: un’analisi della Banca d’Italia parla esplicitamente di una possibile perdita dell’11 % del prodotto interno lordo entro il 2040 se non si interviene. La riduzione della popolazione in età lavorativa sarà la più acuta in Europa fino al 2040, pesando sulle finanze pubbliche e sul potenziale di sviluppo.

Occorre tuttavia guardare oltre i numeri e le tendenze, e riflettere sulle dinamiche che si stanno attivando sul piano del lavoro e della tecnologia. È vero che la nascita di figli “stranieri” o da genitori stranieri rappresenta una quota rilevante del totale – circa il 21 % dei nati nel 2023 – ma questo dato non basta a compensare il deficit produttivo generato dal calo complessivo della popolazione. L’immigrazione legale, se ben gestita, può contribuire in parte, ma senza politiche strutturali si rischia di non invertire realmente la tendenza.

Allo stesso tempo la trasformazione tecnologica, con automazione e intelligenza artificiale, sta ridisegnando il mercato del lavoro. Se da un lato queste forze possono compensare parte della carenza di manodopera, dall’altro generano un nodo etico e pratico: chi sostituisce lavoro umano con macchine continua a beneficiare dei risparmi di costo ma senza contribuire al welfare. Su questo terreno emerge la proposta – ancora poco dibattuta – che anche le macchine o le entità automatizzate dovrebbero “versare contributi” per sostenere i posti di lavoro soppressi, una sorta di redistribuzione forfettaria verso il sistema socio‑assistenziale.

In questo contesto, i referendum abrogativi tenuti l’8 e 9 giugno 2025 su diritti del lavoro e leggi sul lavoro hanno visto una partecipazione molto bassa, con chi ha votato a favore del “sì” (a favore della reintroduzione di garanzie su lavoro dignitoso, limiti ai contratti precari, più diritti) e chi non si è recato alle urne rafforzando indirettamente l’impostazione opposta: più flessibilità, meno tutele. Il risultato rischia di favorire la continuazione della fuga di giovani e laureati all’estero: solo nel 2024, circa 191.000 giovani hanno lasciato l’Italia, contribuendo al deficit di lavoratori qualificati già visibile nelle aziende italiane.

Malgrado la gravità dei dati, non colgo una presenza effettiva del tema demografico al centro dei programmi politici o del dibattito pubblico. Il consenso immediato domina le scelte elettorali e legislative, spostando l’attenzione sul breve termine, mentre il futuro – che pure consegnerà a generazioni di giovani un paese profondamente diverso – viene spesso ignorato. E tuttavia quel futuro sarà il loro: la speranza risiede nei giovani, nella loro volontà, nella loro capacità di progettare un’Italia sostenibile, con lavoro dignitoso, salari giusti e diritti veri. Ma per farlo servono scelte consapevoli, responsabilità collettiva e una visione politica capace di mettere al centro l’interesse delle generazioni a venire.

Il bilancio demografico non è un’invenzione: è una realtà documentata, certificata da ISTAT e da organismi indipendenti. È un dato di fatto che l’Italia perda ogni anno centinaia di migliaia di persone tra decessi ed emigrazione. È un fatto che la forza‑lavoro invecchia, diminuisce e rischia di non sostenere i costi di pensioni, sanità e assistenza. È un fatto che il lavoro flessibile senza diritti spinge i giovani fuori o li mantiene precari in patria. Riconoscere tutto questo, discuterne e agire non è allarmismo ma senso della realtà. E se la risposta non arriva, l’Italia che consegneremo ai nostri figli sarà ben diversa da quella che sogniamo oggi.

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