Morire sul lavoro non si deve, non si può. Purtroppo però è ancora possibile. Anzi, sul lavoro, si continua a morire tutti i giorni.
Solo che non sempre i morti fanno notizia. Le chiamano morti bianche, appunto per l’assenza formale di una mano omicida.
Ma questa volta no. La morte di una lavoratrice di Prato ha fatto scalpore. Ha suscitato emozione. Indignazione, rabbia. E’ salita all’attenzione dei social prima di tutto. La giovane età della vittima, soltanto 22 anni.
La sua storia di mamma di una bimba di soli di 5 anni. La sua bellezza. Morta in un lavoro antico come la tessitura. Dove si continua a morire.
Soltanto tre mesi fa un altro giovane di 22 anni era morto in un altro impianto di filatura. Distrazioni? Impianti vecchi? Fatalità? Le inchieste diranno.
Resta il fatto che sul lavoro ancora si muore. Luana D’Orazio è morta, il giorno dopo è stata la volta di un operaio al tornio e l’altro ancora un titolare sotto una lastra di pietra. E indignarsi a singhiozzo non basta.
Che non si venga a dire, trascinati dall’emozione, che è un problema di norme. Casomai del loro rispetto e dei controlli necessari ma insufficienti.
Ma a voler vedere bene fino in nodo principale sta nel lavoro che manca, nelle opportunità di lavoro che mancano soprattutto per i giovani. Anche questa storia di tragedia quotidiana ci racconta un mondo distante anni luce dai magnifici scenari della green economy e dell’industria quattropuntozero.