Tra crisi climatica e diseguaglianze il movimento cresce in Toscana nei conflitti locali e nelle voci di chi pensa a una transizione giusta, popolare e radicale
Un amico parla spesso di ecosocialismo e talvolta si prende del visionario. Eppure…
L’ecosocialismo non è uno slogan, tantomeno facile e nemmeno un’etichetta da convegno. Eppure è un’idea che cammina, lentamente e spesso in silenzio, tra le crepe di un mondo che continua a negare l’evidenza: che l’emergenza ambientale non è separabile da quella sociale.
L’ecosocialismo parte da qui, da una constatazione semplice e radicale: la crisi climatica è il volto ecologico delle diseguaglianze prodotte da un modello economico che consuma risorse, persone e futuro. Non basta parlare di verde, di sostenibilità, di transizione. Serve una trasformazione che abbia al centro la giustizia. Ambientale, certo. Ma anche sociale, democratica, territoriale.
In Italia, l’ecosocialismo è ancora una parola timida. Non la si trova nei programmi dei partiti maggiori, raramente la si ascolta nei talk show, eppure vive in tante pratiche e in molte battaglie locali. In Toscana, ad esempio, non esiste un partito che si dichiari esplicitamente ecosocialista, ma esistono esperienze politiche, amministrative e civiche che di fatto incarnano quei principi. Ovunque si trova una lettura che intreccia ambiente e potere, ecologia e conflitto sociale. Una lettura che dice: non può esserci ecologia senza democrazia.
Queste battaglie non sono mai solo tecniche o ambientali. Sono anche battaglie per il diritto alla salute, alla qualità della vita, al paesaggio come bene comune, alla partecipazione delle comunità alle scelte. E qui l’ecosocialismo smette di essere un’astrazione per diventare prassi. Un modo di guardare al mondo che non si accontenta di pannelli solari e biciclette elettriche, ma chiede: chi decide? chi guadagna? chi paga il prezzo della transizione?
Nel tempo, alcune figure hanno provato a dare a questa visione una voce politica, portando avanti una critica puntuale al modello di sviluppo toscano, denunciando le contraddizioni della sinistra di governo e proponendo alternative basate su diritti, beni comuni e economia solidale.
Ma l’ecosocialismo toscano è anche nella rete diffusa delle comunità energetiche che stanno nascendo, nei giovani che animano i Fridays for Future con parole sempre più radicali, nei percorsi civici come quello di Chianciano Terme, dove l’amministrazione guidata dalla sindaca Grazia Torelli ha scelto la rigenerazione urbana orientandola secondo criteri di giustizia ambientale e coesione sociale. Non un’operazione di facciata, ma un percorso che passa dall’acquisizione pubblica del Parco Acquasanta al progetto dello sportello “Antenna Europa”, con un’idea chiara: che la transizione ecologica deve partire dai bisogni reali delle persone e dalla valorizzazione degli spazi comuni, non dalle promesse degli investitori privati.
Non serve una bandiera, serve un linguaggio nuovo, capace di tenere insieme parole antiche – giustizia, solidarietà, mutualismo – e parole nuove – decarbonizzazione, resilienza, post-crescita. In Toscana, questa ricerca è viva. Nelle aule universitarie dove si studia il nesso tra ambiente e democrazia, nelle comunità cristiane di base che praticano accoglienza e sobrietà, nei sindacati di base che si oppongono alle logiche dell’impresa che licenzia. E anche in alcune amministrazioni locali, quando decidono di ascoltare le persone prima che gli investitori, o di usare i fondi europei per progettare un welfare ecologico, non per imbellettare i dati di sostenibilità.
Non c’è un centro unico dell’ecosocialismo. È una rete, un mosaico, una semina. A volte si chiama in altro modo. A volte non si chiama affatto. Ma c’è. E forse il suo valore è proprio questo: non voler diventare un nuovo potere, ma un nuovo orizzonte. Che restituisca senso alla politica, radicandola nelle lotte per la vita.