Aspettando il ritorno degli “onesti”: perché la questione morale non si risolve con il moralismo, ma con la costruzione di una politica all’altezza della democrazia
Le inchieste giudiziarie che nelle ultime settimane hanno coinvolto diverse città italiane riportano in superficie un tema mai sopito: la crisi della rappresentanza politica, il ritorno di un certo moralismo selettivo e l’eterno cortocircuito tra rinnovamento e continuità. Volti nuovi, spesso presentati come simboli del cambiamento e dell’integrità, finiscono al centro di vicende giudiziarie che — a prescindere dagli esiti — parlano del fallimento di un’idea povera di politica: quella che pensa che basti “non essere come gli altri” per meritare fiducia.
A Prato, la sindaca Ilaria Bugetti (Pd) ha ricevuto un avviso di garanzia per corruzione, con l’ipotesi di una contiguità con interessi economici. Ha scelto di dimettersi, parlando di rispetto per l’istituzione. A Milano, il sindaco Giuseppe Sala è stato iscritto nel registro degli indagati e la procura ha chiesto gli arresti domiciliari per un assessore. A Pesaro, il sindaco Matteo Ricci ha ricevuto un avviso di garanzia per presunte irregolarità nella gestione di appalti pubblici. In Calabria, è sotto indagine Roberto Occhiuto, presidente della Regione in quota Forza Italia, insieme ad altri membri del suo entourage, con ipotesi di corruzione e turbativa d’asta nell’ambito della sanità regionale e alloggi popolari. A Vigevano, l’ex eurodeputato della Lega, Angelo Ciocca, che rischia il rinvio a giudizio per corruzione e falsità ideologica, accusato di aver tentato influenze indebite su consiglieri comunali.
Tutte le vicende sono ancora nelle fasi iniziali delle indagini. In nessun caso ci sono condanne. La presunzione di innocenza è un principio inviolabile e vale integralmente per tutti i soggetti coinvolti, senza eccezioni. Il garantismo non è un favore né un atto di cortesia, ma la condizione minima di ogni democrazia liberale. È anche il filtro necessario per evitare che la giustizia venga utilizzata come strumento di lotta politica.
La reazione pubblica, tuttavia, è sempre più prevedibile e ripetitiva: da un lato l’indignazione rabbiosa, alimentata da un’opinione pubblica esasperata e spesso male informata; dall’altro il rifiuto, lo scetticismo, l’assuefazione. Ma cambiare la politica non si fa deprecandola, e ancor meno rifiutandola. La questione morale non è una parentesi, né un’emergenza passeggera: è una dimensione strutturale della democrazia. E affrontarla non significa “moralizzare” la politica, ma investire nella sua qualità.
L’onestà, da sola, non è né una competenza né una visione. È una condizione minima, necessaria, ma non sufficiente. La mitologia dell’onesto outsider ha prodotto un danno culturale profondo: ha abbassato l’asticella, sostituendo il merito con la reputazione, la complessità con la semplificazione, l’impegno con il carisma improvvisato.
Chi entra in politica senza strumenti, preparazione o cultura istituzionale espone le istituzioni a un rischio concreto. Il costo non è solo l’inefficienza amministrativa: è la sfiducia collettiva. Quando si improvvisa, si delegittima il ruolo pubblico, si rafforzano le logiche clientelari, si diventa più vulnerabili a opacità e pressioni. Naturalmente, questo non significa che i casi giudiziari recenti confermino questo schema, anzi, ogni vicenda ha la sua specificità, e nessuna riflessione collettiva deve trasformarsi in una scorciatoia per il pregiudizio.
Tuttavia, resta il punto: la politica non può essere affidata alla spontaneità o all’occasione. Troppo spesso oggi viene percepita come un residuo inevitabile, un meccanismo “coatto”, da subire più che da scegliere. Eppure la politica serve: è il luogo dove si prendono decisioni pubbliche, si costruiscono soluzioni, si tutela l’interesse comune.
Per questo, va formata, selezionata, curata. Servono scuole, percorsi, filtri culturali ed etici. Non ci si improvvisa amministratori come non ci si improvvisa chirurghi. Una classe dirigente incapace è un danno generazionale, e un rischio sistemico.
Il moralismo di maniera non serve. Ma nemmeno il cinismo disilluso che considera tutto perduto. La politica non ha bisogno di facili assoluzioni o di tribunali mediatici, ma di strumenti concreti per elevare la qualità della rappresentanza. Garantismo sì, ma anche responsabilità. La politica non è fatta per essere amata o odiata: è fatta per essere esercitata bene.
E mentre il ciclo mediatico si riaccende, e già si invoca il ritorno degli “onesti”, vale la pena ricordare che il problema non è mai stato solo l’onestà. Il problema è l’idea di politica come vocazione, come mestiere pubblico, come funzione sociale che richiede studio, pratica, coerenza. Se vogliamo davvero una classe dirigente all’altezza, non dobbiamo cercare nuovi salvatori, ma costruire nuove condizioni. Anche questo è un compito politico.