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martedì, Luglio 22, 2025

Nordio prepara l’ultima stretta: la giustizia torna terreno di tensione

Giustizia e politica, il nodo irrisolto tra riforme, inchieste e garantismo. Dallo scontro sul caso Salvini alla prudenza di Sala

Torna al centro del dibattito pubblico il tema della giustizia, non come questione astratta o tecnica, ma come nervo scoperto del rapporto tra politica, magistratura e società.

L’occasione è offerta da due vicende molto diverse tra loro: da un lato il caso Open Arms, con la decisione della Procura di Palermo di ricorrere direttamente in Cassazione contro l’assoluzione piena di Matteo Salvini; dall’altro, le inchieste che coinvolgono il Comune di Milano su presunte irregolarità urbanistiche, di cui il sindaco Beppe Sala prende atto con rispetto istituzionale, senza però rinunciare a una parola di cautela e garantismo.

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Due episodi distinti, che tuttavia si intrecciano nel clima acceso di queste settimane, a ridosso del passaggio finale della riforma Nordio in Parlamento.

Il ministro della Giustizia ha già chiarito che intende modificare le regole che oggi consentono alla pubblica accusa di impugnare un’assoluzione, considerandola una violazione del principio dell’imparzialità e un’anomalia rispetto ad altri ordinamenti europei.

È una riforma strutturale, che si accompagna alla separazione delle carriere tra pm e giudici e alla creazione di due CSM distinti, più una nuova Alta Corte per il controllo disciplinare. Un impianto pensato per ridefinire in profondità l’equilibrio tra poteri, limitare il protagonismo giudiziario e restituire, nelle intenzioni del governo, una “giustizia giusta” e non politicizzata.

Ma è proprio su questi passaggi che si accende il confronto. Perché se da un lato Nordio rivendica un approccio liberale e garantista, è difficile ignorare come le parole dure con cui esponenti del governo — Salvini in testa — attaccano alcune procure o singoli magistrati si muovano su un terreno diverso, più polemico che riformatore.

La vicenda Open Arms, per esempio, è diventata una bandiera identitaria per il leader della Lega, che ora denuncia un accanimento giudiziario e un uso politico della giustizia, legando tutto alla propria azione di governo in tema di immigrazione.

E proprio in queste ore si fa strada l’ipotesi che la riforma Nordio venga utilizzata per impedire, in futuro, ricorsi come quello proposto dalla Procura di Palermo, che ha scelto un passaggio eccezionale — il cosiddetto ricorso “per saltum” — per arrivare in Cassazione evitando il secondo grado.

Su un piano molto diverso, ma dentro lo stesso clima di attenzione, si colloca l’approccio di Beppe Sala, che ha scelto toni più misurati in risposta alle inchieste che toccano ambienti vicini al Comune di Milano. Nessuna polemica con la magistratura, nessuna fuga in avanti, ma la riaffermazione del principio di presunzione di innocenza e della necessità che la politica continui a fare il suo lavoro.

Un atteggiamento che si richiama esplicitamente a una cultura del garantismo laico, che cerca di tenere insieme la fiducia nella magistratura e la tutela dell’equilibrio istituzionale.

Non a caso, mentre il centrodestra agita il caso Sala per accusare il Pd di doppio standard rispetto a Salvini, lo stesso Sala si tiene fuori dal gioco delle contrapposizioni, forse consapevole che la giustizia non può essere ridotta a terreno di propaganda o rivalsa.

In questo quadro, la riforma Nordio assume un valore che va oltre il merito tecnico delle norme. È una proposta di sistema, che si carica però di significati politici nel momento in cui viene letta — o utilizzata — alla luce delle vicende giudiziarie che coinvolgono personaggi di primo piano.

Il rischio, in un clima così teso, è che la necessaria discussione su come migliorare l’efficienza, l’equilibrio e l’autonomia della giustizia si trasformi in un regolamento di conti, in cui ogni vicenda diventa pretesto per rafforzare una parte e indebolire l’altra.

Servirebbe invece un confronto più sobrio, meno segnato dal sospetto reciproco, capace di distinguere la critica legittima dalle delegittimazioni, e le riforme dalle reazioni. Perché la giustizia funziona davvero solo quando riesce a tenere insieme indipendenza, rigore e rispetto. E quando la politica sa stare al suo posto, senza confondere le garanzie con i favoritismi, e senza usare le toghe come scudo o bersaglio a seconda delle convenienze del momento.

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