Oltre i quesiti referendari il nodo politico: i rapporti con la Cgil, e le incognite sul futuro del campo largo
A poco più di un mese dai referendum abrogativi promossi dalla Cgil, previsti per l’8 e 9 giugno, il Partito Democratico si trova in una posizione delicata. La segretaria Elly Schlein ha espresso il sostegno ufficiale del Pd ai cinque quesiti referendari, ma all’interno del partito emergono divisioni e preoccupazioni riguardo all’esito della consultazione.
Il timore principale riguarda il possibile mancato raggiungimento del quorum, che potrebbe trasformare il referendum in un boomerang politico per il Pd. Alcuni esponenti del partito, come Stefano Bonaccini, hanno espresso riserve sull’abrogazione del Jobs Act, sottolineando che la legge fu voluta dallo stesso PD durante la segreteria di Matteo Renzi. Bonaccini ha dichiarato: “Il Jobs Act è stato un provvedimento importante, e non credo sia opportuno cancellarlo senza una riflessione approfondita”.
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha lanciato un appello ai partiti di opposizione, chiedendo un impegno più concreto nella campagna referendaria. Landini ha sottolineato l’importanza del referendum per migliorare i diritti dei lavoratori, affermando: “Questo referendum non è per questo o per quel partito, è un voto che permette di migliorare i diritti di chi lavora”.
Il Movimento 5 Stelle, guidato da Giuseppe Conte, ha espresso il proprio sostegno a quattro dei cinque quesiti referendari, differenziandosi dal Pd su alcune tematiche. Conte ha dichiarato: “Vogliamo abrogare norme che hanno reso i lavoratori più fragili, con stipendi da fame e meno tutele contro i licenziamenti”.
Nel frattempo, Matteo Renzi, promotore del Jobs Act durante il suo mandato da premier, ha annunciato che voterà “no” all’abrogazione della legge, definendo il referendum una “guerra ideologica” che non porterà a cambiamenti concreti.
La situazione evidenzia le tensioni all’interno del centrosinistra italiano, con il Pd diviso tra il sostegno ufficiale al referendum e le preoccupazioni per un possibile insuccesso. La campagna referendaria rappresenta una sfida significativa per la leadership di Schlein, che dovrà bilanciare le diverse anime del partito e affrontare le critiche interne ed esterne.
Un eventuale mancato raggiungimento del quorum lascerebbe dietro di sé strascichi politici profondi. Da un lato, i rapporti tra Pd e Cgil rischierebbero di incrinarsi ulteriormente, con Landini che potrebbe accusare apertamente il partito di aver sabotato, o quantomeno trascurato, la campagna. Dall’altro, all’interno del Nazareno potrebbe aprirsi una nuova stagione di richieste di chiarimento, se non vere e proprie spinte per un confronto congressuale. Il nodo irrisolto della convivenza tra chi difende il Jobs Act e chi lo contesta, tenuto finora sotto traccia, potrebbe deflagrare. E trasformarsi in un confronto tra sinistra-centro.
Anche il percorso del cosiddetto “campo largo” subirebbe un’ulteriore battuta d’arresto. Invece di rappresentare un’occasione di unità su un tema storico della sinistra, il referendum rischia di alimentare diffidenze e distinguo, dando a Giuseppe Conte un vantaggio tattico nella ricomposizione dei rapporti con il mondo del lavoro e la Cgil. Mentre il Pd si interroga sulla propria identità e sulla strategia da adottare verso le regionali d’autunno, il leader del M5S potrebbe raccogliere consensi tra gli elettori disillusi.
Con l’avvicinarsi della data del voto, sarà dunque fondamentale osservare come il Pd e gli altri partiti dell’opposizione affronteranno la campagna. Non sarà solo un test sulle norme del Jobs Act, ma soprattutto un passaggio decisivo per capire chi guiderà e con quale linea politica l’opposizione nei prossimi mesi.