Scontro con le opposizioni e allarme di giuristi e magistrati: “deriva autoritaria”
Il disegno di legge Sicurezza, fin dalla sua presentazione, è stato uno dei provvedimenti più controversi e simbolici del governo di destra. Proposto come strumento per rafforzare l’ordine pubblico e la tutela delle forze dell’ordine, ha trovato fin da subito una forte opposizione tanto nelle aule parlamentari quanto nella società civile. Dopo un primo via libera ottenuto in Senato nel corso del 2024, il testo ha incontrato grandi difficoltà alla Camera, dove si è scontrato con una strategia di ostruzionismo messa in campo da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra. Le opposizioni hanno infatti presentato centinaia di emendamenti, utilizzando tutte le prerogative regolamentari disponibili per rallentare i lavori e cercare di aprire un vero confronto sul merito del provvedimento. Nel frattempo, mentre in Parlamento si combatteva sul filo delle procedure, fuori dai palazzi si moltiplicavano le manifestazioni e i sit-in organizzati da movimenti sociali, associazioni e forze politiche che denunciavano il carattere repressivo e liberticida del disegno di legge.
Con l’approssimarsi della fine dell’anno e l’impossibilità di arrivare a un’approvazione nei tempi previsti, il governo ha iniziato a valutare un cambio di strategia. La soluzione individuata è stata quella del decreto legge, strumento che consente un’immediata entrata in vigore delle norme, salvo poi la conversione entro 60 giorni da parte delle Camere. Il 4 aprile 2025 il governo ha ufficialmente deciso di ricorrere a questa via, giustificando la scelta con la necessità di superare l’impasse parlamentare e garantire risposte rapide in tema di sicurezza. Si è trattato di una decisione politica forte, che ha suscitato nuove polemiche. Le opposizioni hanno denunciato un atto di forza, un ulteriore passo verso lo svuotamento del ruolo del Parlamento e un segnale preoccupante di “trumpizzazione” della politica italiana. Secondo i critici, la scelta del decreto impedisce ogni confronto reale, riduce drasticamente la possibilità di modifiche al testo e impone una visione ideologica della sicurezza che rischia di comprimere i diritti e le libertà democratiche.
Nel merito, il decreto mantiene molte delle disposizioni più controverse del DDL originario. Tra queste figurano l’inasprimento delle pene per diversi reati, l’introduzione di nuove fattispecie penali ritenute da molti funzionali alla repressione della protesta sociale, una stretta sulle norme sull’immigrazione e l’ampliamento delle prerogative delle forze dell’ordine in tema di sicurezza urbana e gestione dell’ordine pubblico. Una modifica significativa rispetto alla versione iniziale riguarda le misure detentive nei confronti delle donne incinte e delle madri con figli piccoli: mentre il DDL prevedeva il carcere, il decreto stabilisce che siano ospitate negli ICAM, istituti a custodia attenuata. Ma resta intatto, nella sostanza, l’impianto repressivo che aveva suscitato allarme fin dall’inizio.
E proprio su questi contenuti si sono espressi in maniera netta sia i giuristi che alcuni esponenti della magistratura. I Giuristi Democratici hanno parlato senza mezzi termini di “deriva autoritaria”, denunciando un pericoloso smantellamento dei principi democratici e costituzionali, e l’uso distorto della penalità come strumento simbolico e ideologico. Durante le audizioni parlamentari precedenti alla conversione in decreto, numerosi esperti e giuristi avevano già espresso dubbi profondi sulla costituzionalità di alcune norme, come quella che introduce il reato di “resistenza passiva”, giudicato vago e potenzialmente abusabile. In un quadro già segnato da queste tensioni, ha suscitato ulteriore allarme la proposta, avanzata dalla Lega, di sottrarre ai pubblici ministeri le indagini su eventuali violenze commesse da agenti di polizia, per affidarle all’Avvocatura dello Stato. Una proposta che le opposizioni hanno definito incostituzionale, e che viene vista come un chiaro tentativo di ridurre l’indipendenza della magistratura in materia di controllo sull’operato delle forze dell’ordine.
Sul fronte opposto, Forza Italia e Lega difendono con decisione il decreto, rivendicandone la portata simbolica e politica. Maurizio Gasparri, in particolare, ha accusato la magistratura di “persecuzione” nei confronti di Matteo Salvini, riferendosi al processo Open Arms, e ha lodato il DDL Sicurezza come risposta adeguata per rafforzare la legalità e proteggere gli operatori delle forze dell’ordine, che a suo avviso sono fin troppo spesso sotto attacco. Gasparri ha anche attaccato duramente l’opposizione, accusandola di “stare con i teppisti” e di voler sabotare ogni iniziativa utile a garantire l’ordine pubblico.
Il quadro che emerge è quello di un’Italia spaccata. Da un lato un governo che procede a colpi di decreto, riducendo gli spazi del confronto parlamentare, e che propone una visione della sicurezza centrata su disciplina e repressione. Dall’altro, un arco largo di opposizioni, movimenti, giuristi e settori della magistratura che denunciano una preoccupante torsione autoritaria. Il futuro della discussione si sposterà ora sulla conversione del decreto, ma già si annunciano nuove manifestazioni e iniziative per chiedere che il testo venga ritirato o profondamente modificato. Quel che è certo è che la partita sul rapporto tra sicurezza e libertà è tutt’altro che chiusa.