Cinque quesiti su licenziamenti, appalti e cittadinanza chiamano gli italiani a esprimersi su diritti e tutele
Cinque quesiti, due giornate di voto, un crocevia politico e sociale che torna a porre al centro la voce diretta delle cittadine e dei cittadini italiani.
Le urne si apriranno l’8 e il 9 giugno 2025 per i referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza. Una consultazione che intreccia rivendicazioni sindacali, trasformazioni normative e il tema sempre vivo dell’inclusione.
La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili cinque quesiti referendari, quattro dei quali promossi dalla CGIL e riguardanti il mondo del lavoro, e uno sostenuto da varie realtà civiche e istituzionali sui tempi di accesso alla cittadinanza italiana per i cittadini stranieri extracomunitari.
Il quesito forse più emblematico è quello che chiede l’abrogazione del contratto di lavoro a tutele crescenti, introdotto con il Decreto Legislativo 23 del 2015, noto come Jobs Act. Questo contratto aveva modificato profondamente le tutele in caso di licenziamento, legandole all’anzianità di servizio e limitando la possibilità di reintegro, in particolare per i lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti. L’intento del referendum è quello di cancellare in blocco questa disciplina, riaprendo una riflessione sull’equilibrio tra flessibilità e diritti.
Un altro quesito riguarda l’eliminazione della responsabilità solidale del committente negli appalti. Attualmente, in caso di infortuni sul lavoro, il committente può essere chiamato a rispondere insieme all’appaltatore. I promotori ritengono questa norma fondamentale per garantire sicurezza e giustizia, mentre le forze imprenditoriali la vedono come un ostacolo alla semplificazione dei contratti.
Il terzo quesito mira ad abrogare le norme specifiche sulle indennità di licenziamento nelle piccole imprese, ovvero quelle con meno di 15 dipendenti. Secondo la CGIL, queste norme hanno creato un doppio binario ingiustificabile, riducendo in modo significativo le tutele dei lavoratori solo in base alla dimensione dell’azienda. Si tratta quindi di un tentativo di ristabilire un principio di uguaglianza nei diritti fondamentali del lavoro.
Di portata ancora più immediata è il quarto quesito, che punta a reintrodurre la possibilità per i lavoratori licenziati ingiustamente di essere reintegrati nel proprio posto di lavoro, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa. Attualmente, infatti, in molti casi l’unico risarcimento possibile è l’indennità economica, e solo raramente viene previsto il ritorno al lavoro. Il referendum interviene proprio su questa asimmetria.
Infine, il quinto quesito porta in primo piano il tema della cittadinanza. Oggi, un cittadino straniero extracomunitario maggiorenne deve risiedere legalmente in Italia da almeno dieci anni per poter richiedere la cittadinanza italiana. Il quesito chiede di dimezzare questo termine a cinque anni. Un’iniziativa che tocca il cuore del dibattito sull’inclusione, l’integrazione e il riconoscimento dei percorsi di vita delle persone immigrate. Questo quesito ha ricevuto il sostegno di consigli regionali, associazioni e reti civiche e ha raccolto oltre 637 mila firme, dimostrando una spinta diffusa nel paese.
I promotori dei referendum sul lavoro, guidati dalla CGIL, hanno lanciato ufficialmente la campagna referendaria il 12 aprile, con l’obiettivo di attivare una mobilitazione capillare in tutta Italia.
Sul fronte opposto, non sono ancora del tutto definite le posizioni ufficiali di partiti e forze sociali, ma è probabile che le associazioni datoriali e i partiti di centrodestra si oppongano all’abrogazione delle norme introdotte con il Jobs Act e alle modifiche sulla cittadinanza, ritenendo queste misure funzionali alla competitività del sistema economico e alla coesione sociale secondo parametri più restrittivi.
Il referendum si svolgerà in un contesto carico di tensioni politiche e istituzionali, in un calendario che potrebbe influenzare la partecipazione: le date scelte, l’8-9 giugno, coincidono infatti con la tornata elettorale per le elezioni amministrative, configurando un nuovo “election day”.
Resta il nodo dell’informazione, della chiarezza e del coinvolgimento democratico. I referendum del 2025 non sono semplici votazioni tecniche, ma vere e proprie chiamate alla partecipazione su temi cruciali che toccano la vita quotidiana delle persone: il diritto al lavoro, la giustizia nei rapporti di impiego, il valore dell’inclusione e della cittadinanza. Sarà la maturità civile del paese a decretare, con il voto, se queste battaglie troveranno conferma nelle urne o resteranno ferme alla soglia del quorum.