Dunque le primarie ci sono ancora e continuano a funzionare. Il Pd le utilizza. Il suo popolo – e quello della coalizione – vi partecipa. Intanto a Roma (48 mila 624 voti) e Bologna (26 mila 369) prima che si avvii la contesa per Campidoglio e Palazzo D’Accursio.
Vedremo in seguito se lo strumento consente davvero di tenere insieme chi vince e chi perde. Se insomma chi perde continuerà a sostenere chi ha vinto.
Vedremo se le primarie selezionano davvero la proposta migliore – a Bologna Matteo Lepore, assessore Cultura uscente con il 59,6%, a Roma l’ex ministro Economia Roberto Gualtieri con il 60,6% -, il candidato in grado di vincere poi alla competizione vera.
Certo, c’è chi dice che le primarie, semplificando, risolvono sì il tema della scelta di chi candidare ma lasciano problemi politici irrisolti sul tappeto. Non sempre cioè la semplificazione potrebbe risolversi in termini di dinamiche unitarie.
Probabilmente da sole le primarie non bastano, richiedono intese e probabilmente compromessi tra chi vince e chi perde. Accordi di “salva” si direbbe se si fosse ai canapi del Palio.
Vedremo anche se le primarie hanno anche una funzione di sollecitazione al protagonismo dell’elettorato. Già perché poi c’è la campagna elettorale da fare, al termine della quale si apriranno i seggi, quelli veri.
Il Pd e il centrosinistra fanno così. Il centrodestra no. Il centrodestra sta scegliendo i propri candidati sindaci con un altro metodo: quello dell’accordo tra i leader. Il tempo dirà chi interpreterà meglio il passaggio delle prossime amministrative. Sarà un laboratorio interessante… anche per il 2023 a Siena? Vedremo.
(nella foto l’aspirante sindaco di Bologna Matteo Lepore)