Il grande equilibrio che si spezza con gli Stati Uniti e il mondo che cambia
Gli Stati Uniti hanno costruito la loro potenza su un equilibrio fragile ma efficace, un sistema in cui la loro moneta è diventata il centro del mondo finanziario mentre la loro economia si spostava sempre più verso la speculazione e il debito. L’industria ha lasciato spazio alla finanza, la produzione si è spostata all’estero, il capitale è diventato il vero motore del sistema. Tutto questo ha funzionato finché il resto del mondo ha accettato il dollaro come punto di riferimento assoluto.
Dal 1971 il legame con l’oro è stato spezzato e il dollaro è diventato una valuta fiduciaria, sostenuta dalla forza dell’economia americana e dalla supremazia militare. La crisi petrolifera del 1973 ha portato all’accordo con l’Arabia Saudita e con l’OPEC: il petrolio sarebbe stato venduto in dollari, garantendo una domanda costante della valuta americana e permettendo di finanziare il debito pubblico attraverso il risparmio globale. Questo sistema ha funzionato per decenni, ma ogni equilibrio si regge finché le condizioni non cambiano.
Gli Stati Uniti avevano bisogno di attrarre continuamente capitali esteri per finanziare il proprio deficit, le guerre, la macchina militare, l’apparato industriale legato al Pentagono e alla sicurezza globale. Il mondo aveva fiducia nel sistema americano perché garantiva stabilità, controllo, capacità di reazione tecnologica e militare. Tuttavia, ogni sistema basato sulla fiducia può entrare in crisi quando emergono alternative credibili e quando il meccanismo di fondo diventa insostenibile.
Dagli anni Duemila le crisi finanziarie hanno eroso questa fiducia. La supremazia militare americana ha mostrato crepe evidenti: i conflitti non portano più vittorie nette e il costo di mantenere una presenza globale è diventato sempre più alto. I mercati internazionali hanno iniziato a guardare alla Cina, alla Russia, ai BRICS come alternative alla sfera di influenza americana. Il dollaro resta forte ma sempre più sfidato da valute locali e da accordi bilaterali in monete diverse. Il regolamento del petrolio e del gas in yuan, rubli o rupie segna una frattura sempre più evidente nel sistema.
In questo scenario emerge il progetto di Trump e della parte del capitalismo americano che cerca un riassetto strategico: un ritorno all’industria, ma non attraverso il recupero della produzione delocalizzata, bensì attraverso l’appropriazione dell’industria europea, l’imposizione di dazi e il controllo sulle forniture energetiche. Con meno guerre da finanziare, con una spesa militare più mirata e con il tentativo di riallineare la Russia per creare una nuova divisione del mondo, Trump propone un’America più chiusa, più protezionista, più aggressiva verso i partner tradizionali e meno interessata a mantenere il vecchio ordine globale.
Ma il mondo non è più quello degli anni Settanta. Gli equilibri si sono spostati e la capacità degli Stati Uniti di adattarsi a questa nuova realtà resta la grande incognita. La finanziarizzazione dell’economia ha creato una dipendenza dal debito che non si risolve con un semplice cambio di strategia. La transizione verso un sistema più multipolare è già in corso senza possibilità di ritorno. L’America cerca un nuovo assetto, ma il rischio è che il vecchio equilibrio si spezzi senza che ne emerga uno nuovo e stabile.
Il disegno di Trump e dei suoi alleati, con il suo approccio protezionista e realista, è certamente un tentativo di riorganizzare gli equilibri globali, ma non privo di rischi. L’Europa, purtroppo, sembra essere in una posizione di stallo, con la sua leadership incapace di dare una risposta chiara alla crescente influenza degli USA e dei nuovi poli emergenti, come la Cina e la Russia.
La divisione strategica che Trump propone, con il tentativo di staccare la Russia dalla Cina, è rischiosa e potrebbe destabilizzare ulteriormente l’Europa. Macron e altri leader europei sembrano spesso incapaci di tracciare un cammino alternativo, e la ricerca di soluzioni temporanee non fa che mostrare la debolezza della posizione europea.
Il futuro dell’ordine mondiale dipenderà dalla capacità degli Stati Uniti di reinventarsi e adattarsi a un sistema sempre più policentrico. La sfida è aperta, e il risultato rimane incerto.