Oltre il tifo ideologico, l’elezione di un nuovo pontefice interroga la nostra epoca su ciò che tiene insieme le collettività: il bisogno di simboli, di senso, di riferimenti che non siano solo opinioni, ma strutture
L’elezione di un Papa americano ha immediatamente attivato il riflesso condizionato del nostro tempo: una scarica di commenti, battute, tifoserie contrapposte. Reazioni da stadio, come se tutto fosse un derby ideologico. Ma forse, almeno per una volta, converrebbe sospendere il gioco e chiedersi cosa ci dice davvero questo evento sul genere umano, sull’individuo e sulle collettività.
Intanto, un dato: nel mondo ci sono circa un miliardo e quattrocento milioni di cattolici. Al di là di come la si pensi, questo significa che una parte enorme dell’umanità si riconosce, si identifica o comunque si rapporta con la Chiesa cattolica romana. Non è opinione: è struttura. È un riferimento reale, ancora potente, al di la delle singole posizioni, sedimentato nella storia.
Certo, l’individuo singolo può anche non averne bisogno. Alcuni, molti, non so, hanno fatto un percorso interiore tale da reggersi da soli, senza delegare il proprio orientamento personale a simboli esterni. Ma sono forse pochi? La maggior parte vive nella necessità di riferimenti. E non c’è nulla di strano: è un tratto umano.
Il punto poi è che la collettività non è la somma delle singolarità. Ha una dinamica propria, meno consapevole, più esposta alle oscillazioni. E senza figure di riferimento, tende a perdersi, a sfilacciarsi. È la collettività, più ancora dell’individuo, ad avere bisogno di simboli forti. Per coesione, per equilibrio, per senso.
Una figura come il Papa, che piaccia o meno, svolge questa funzione. Il popolo che crede e forse anche altri, vi proietta attese, emozioni, rassicurazioni. I governi, le istituzioni, ne leggono implicazioni strategiche, segnali geopolitici, posizionamenti globali. Ognuno interpreta in base al proprio sistema di appartenenza. Ecco perché conviene evitare il tifo. Perché ridurre tutto a una battuta, a una contrapposizione istintiva, impedisce di vedere ciò che è davvero in gioco: il bisogno universale, della collettività umana, di orientamento. Che non è debolezza, ma struttura.
Una collettività senza riferimento ha solo un moto senza senso. Penso, non con chiarezza, che nonostante tutto sia preferibile che ci siano “sensi” che si scontrano piuttosto che assenza di senso. Avete un idea?