Quali libertà difendiamo oggi, e quali strumenti accettiamo per proteggerle? Un confronto nel giorno della Liberazione
Il XXV aprile si avvicina e con esso le celebrazioni della Liberazione. A Siena, il Comitato composto da Comune, Provincia e Anpi ha deciso di affidare il discorso ufficiale all’onorevole Rosy Bindi, già ministra e presidente della Commissione parlamentare Antimafia. Una figura forte, divisiva per alcuni, ma da sempre riconosciuta per il suo rigore morale e istituzionale. Tuttavia, la sua presenza in questa occasione carica di memoria e valori non è neutra e, anzi, potrebbe riaprire una riflessione profonda su un nodo tutt’altro che risolto: quello tra legalità, trasparenza e libertà.
A innescare il confronto – per ora a distanza – è Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, senese, da anni interlocutore critico delle scelte della Commissione Antimafia presieduta da Bindi. Bisi, nel suo blog, non si limita a un commento sulla sua partecipazione al XXV aprile, ma riporta l’attenzione su una frase contenuta nella relazione finale della Commissione, datata 22 dicembre 2017.
In quel documento, in riferimento alla legge del 26 novembre 1925 – primo atto del regime fascista con cui Mussolini impose il controllo sulle associazioni – si legge: “Non si vuole di certo auspicare il ripristino delle disposizioni fasciste, seppure, non va dimenticato che, accanto a coloro che perseguivano evidenti volontà illiberali, insigni giuristi apprezzavano tali normative che, per l’eterogenesi tipica delle leggi, garantivano comunque un sistema di conoscenza e di trasparenza”.
Parole che, oggi, Stefano Bisi ripropone nel contesto delle celebrazioni della Liberazione, sottolineando l’ambiguità di una trasparenza che, se portata all’estremo, può diventare strumento di controllo. “Certo, la trasparenza assoluta tipica dei regimi totalitari”, scrive. E richiama proprio la legge del 1925 per interrogarsi: è davvero legittimo evocare, anche per contrasto, un impianto normativo autoritario, quando si parla di legalità democratica?
Il confronto tra Rosy Bindi e Stefano Bisi non nasce oggi. Nel 2017, la Commissione Antimafia ordinò il sequestro degli elenchi degli iscritti a logge massoniche, nel contesto di un’indagine sul rapporto tra criminalità organizzata e massoneria. Un’azione che sollevò polemiche forti, con Bisi che parlò di “emergenza democratica” e di “caccia alle streghe”. E che ha avuto un epilogo recente e significativo: nel 2025, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano per violazione della privacy, ritenendo illegittima quella misura. Una sentenza che sembra dare ragione, almeno in parte, a chi allora gridava all’arbitrio.
In questo quadro, l’invito a Rosy Bindi per il XXV aprile riapre inevitabilmente quel capitolo. Ma non per forza in chiave polemica. Piuttosto, Bisi cerca – e cercherà – di tirare Bindi dentro una riflessione più ampia: quanto può spingersi la ricerca della verità da parte delle istituzioni senza travalicare i confini della libertà? E quanto la lotta alle mafie può legittimare strumenti che toccano i diritti individuali?
È una tensione che attraversa da sempre le democrazie liberali: tra sicurezza e libertà, tra trasparenza e riservatezza, tra legalità e garantismo. Il XXV aprile celebra la libertà riconquistata, ma invita anche a interrogarsi su come proteggerla oggi. E se è vero che la memoria non è mai neutra, allora anche i discorsi ufficiali, le presenze istituzionali e le parole pronunciate assumono significati plurimi.
Il confronto tra Bindi e Bisi – anche se per ora solo evocato – non è uno scontro tra passato e presente, né tra ideologie. È piuttosto il riflesso di un interrogativo che ci riguarda tutti: quale libertà celebriamo, quando celebriamo la Liberazione?