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sabato, Maggio 17, 2025

Anche la morte dev’essere perfetta, oggi

Autodeterminazione o fuga? Il quesito affrontato da Paolo Benini

Prendo atto, quando ho tempo, che c’è tanta gente che ama davvero discutere, confrontarsi, prendersi sul serio. Prendersi sul serio è la parte più esilarante finchè non provi pena.

Bene! E dunque abbiamo imparato a illuderci di poter scegliere tutto. Parlo di “noi” ma in realtà diciamo che non faccio proprio parte del noi, dato che trovo insopportabile tutta questa serietà per lo più finta, talmente finta che nemmeno chi finge se ne accorge.

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E dunque ormai noi decidiamo quando nascere, se nascere. In quale corpo stare, quale parte rifare, un seno qua, uno là, un naso, i capelli, le rughe. Ma anche quale valvola mettere, quale organo sostituire, quale protesi impiantare.

E poi chi essere: se uomini, se donne, o un po’ e un po’, fluidi, alternati, reversibili. Se decido, posso essere qualunque cosa — per il tempo che voglio -. Ma purtroppo per quanto ti sforzi di essere libero da definizioni, sempre ti devi definire. Sempre torni a essere definito. Il corpo, il limite, il tempo… vincono sempre. Abbiamo preteso di controllare la forma della vita. E ora, inevitabilmente, vogliamo controllare anche la sua fine.

La morte

La morte assistita, già aperta al business con attrezzi vari che si profilano sul mercato per assisterla meglio, è l’ultima bandiera di questa ideologia malata del controllo. La chiamano libertà, ma è solo panico travestito da scelta. Perché la morte, in sé, non cambia.

Morirai comunque. Dai! Dimmi che non lo sapevi? Solo che adesso, invece di affrontarla, vuoi invitarla tu, decidere quando suonare il campanello, magari con la playlist giusta. Perché l’unica cosa che proprio non sopporti è che arrivi senza che tu lo abbia deciso. Ma questo secondo me non è coraggio, autodeterminazione. È paura, di morire, del dolore che di fatto oggi, con le giuste modalità non c’è, paura anche di perdere capacità e quindi morire prima di diventare demente senza rendersi conto che spesso non c’hai capito niente lo stesso. Insomma è l’illusione di poter dominare anche l’indomabile.

Chissà se mentre era in campo di concentramento aspirava alla morte assistita? Forse poteva suicidarsi o farsi ammazzare, non doveva essere difficile in quei luoghi; ma Viktor Frankl, non lascia spazio a equivoci:

“Quando non siamo più in grado di cambiare una situazione, siamo chiamati a cambiare noi stessi”. (Viktor E. Frankl, Man’s Search for Meaning, 1946)

E poi diciamolo chiaramente: eccetto pochissimi casi estremi, nessuno è contento di morire. Neppure chi lo chiede. Ma l’idea che si debba “decidere tutto” ha infiltrato anche il pensiero della morte. È diventata una questione di autodeterminazione, come se fosse un atto di stile. Oggi invece, se non possiamo cambiare la situazione, preferiamo eliminarla…, anticipandola. Non siamo più disposti a sopportare, ad attraversare, ad affrontare. Non cerchiamo senso nel dolore, che non è mica divertente eh!! Vogliamo solo silenziarlo. Ma qui lo stile non conta. Qui si tratta di guardare in faccia ciò che non possiamo evitare. Epicuro lo scrisse con lucidità disarmante:

“La morte non è nulla per noi, poiché quando ci siamo noi, la morte non è presente; e quando la morte è presente, allora noi non siamo più” (Lettera a Meneceo)

Per lui la morte non era un problema, perché non è mai qualcosa che viviamo in prima persona. Ma se Epicuro ci libera dalla paura, sono gli Stoici a darci la linea: non fuggire, stare. Non disperarsi, accettare. Non teatralizzare, sopportare. Marco Aurelio, in uno dei suoi pensieri più noti, ci ricorda:

“Non è la morte che un uomo dovrebbe temere, ma il non cominciare mai a vivere”. (Meditazioni, Libro XII)

L’atteggiamento stoico non è gioia per la morte. Non sono mica così stupido! È dignità nell’affrontarla. Non pensare ossessivamente a come evitarla, ma imparare a non farsene distruggere. A riconoscerla per quello che è: una parte… spiacevole?… del tutto.

Oggi invece, siamo così terrorizzati dalla fine che preferiamo provocarla, pur di non subirla. Amico, se non lo sai, che tu decida o che ti colga muoia lo stesso e amico anche se decidi, in fondo, è lei che ti ha condizionato. Non stai scegliendo quando morire. Stai solo scappando con stile.

La morte assistita, così come viene narrata oggi, è solo un suicidio sotto mentite spoglie. Ma almeno il suicidio ha la dignità della disperazione nuda, senza maschere. Qui invece si traveste da atto razionale ciò che è, in fondo, un ridicolo tentativo di fuga. E allora no, non è un atto di libertà. È il segno di una civiltà che non sa più stare. Nemmeno davanti all’unica certezza che ha sempre avuto, morire.

Pensiamo a vivere mentre voi continuate a dibattere. Oggi cosa fate? Io devo piantare il basilico e andare al mare, devo verniciare la ringhiera del terrazzo. Voi, mi raccomando, continuate… pure! Vi ammiro.

Paolo Benini

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