L’ho sentito dire un sacco di volte, “Ma in fondo che cos’è una canzone?”. Prima di tutto, io preferisco parlare di “brani musicali”. La terminologia Canzone è come se ne sminuisse il valore o l’importanza, quando non si degenera addirittura nella definizione di “canzonetta”, citata in un famoso brano di Bennato, anche se lui la usa per altri scopi. La Bibbia del web, al secolo la Sora Wikipedia, così recita testualmente: “Una canzone è una composizione vocale scritta per una o più voci, perlopiù con accompagnamento strumentale”.
Guai però a fermarsi a una definizione fredda come uno sformato di finocchielle appena tirato fuori dal freezer e grigia al pari del linguaggio di un commercialista. Se penso a certi brani di Claudio Baglioni (che apprezzo, ma fino a un certo punto), ecco che la “canzone” , simile alla crisalide che si registra all’anagrafe come Farfalla, diventa un romanzo, una storia, un film del quale ci divertiamo a immaginare i volti dei protagonisti. Perché la “canzone” è questo e molto altro. E’ ricordo, è prendere coscienza di un argomento (Gaber), è divertimento o commozione allo stato puro.
Ma che cos’è che determina il successo di un brano musicale. In pratica, tutto … e niente. A volte arriva dopo decenni. In altre occasioni, paf !, eccolo sotto i riflettori quando meno te lo aspetti.
Se ne parlava anni fa durante un dibattito aperto a San Gusmè per la Festa di Luca Cava. Erano stati invitati parolieri di gran nome, come Gomol e Giancarlo Gibazzi, e anche loro si trovavano d’accordo che il consenso di chi ascolta non si può pianificare, soprattutto con il testo di una canzone.
Nell’occasione fu fatta la radiografia a un successo mondiale dei Procol Harum nel 1967 (“lontano da queste cose”, secondo una approssimativa traduzione dal latino, che però dovrebbe essere scritto “Procul harum”), come anche un botto per la versione italiana, col titolo “Senza luce”), l’arcinota “A whiter shade of pale” che alcuni traducono come “una sfumatura più bianca del pallido” (Keith Reed, uno degli autori dichiarò di aver sentito questa definizione in un pub e che gli era piaciuta).
Gary Brooker, l’altro autore (c’è anche un terzo, Mattew Fisher, che però ha visto riconosciuti di suoi diritti solo nel 2009) cercava un intro strumentale ad effetto e il tastierista Fisher glielo trova attingendo a un paio di “passaggi” di tale Johann Sebastian Bach, tanto che anche questo signore agognava ai diritti di autore, negatigli per … eccessiva lontananza nel tempo della sua età.
Ma a parte la valenza strumentale di questa “sfumatura più bianca etc”, nel dibattito sangusmese si accennava a quel certo nonsense del testo …
“Incuranti del frivolo fandango, facevamo la ruota per tutta la sala … quando chiedemmo un altro drink il cameriere portò un vassoio … non appena il mugnaio ebbe raccontato la sua storia, il suo viso si tinse dell’ombra di un pallore più bianco … io vagavo tra le mie carte da gioco e non volevo permetterle che fosse una delle sedici vergini vestali in partenza per la costa …”
Come ripetevano Gomol e Gibazzi, il segreto di un successo musicale ? Imperscrutabile il destino di un gruppo delle Sette Note.
Alla prossima.
https://youtu.be/St6jyEFe5WM?si=NZ57yHPLPdH7nbnF (Procol Harum)