Per “Insoliti Viaggiatori” dalla Norvegia ai sogni canadesi, tra incontri casuali, riflessioni sulla libertà e un impegno per chi lotta
Nella prima parte di questa lunga chiacchierata, Greta Trabacchin ci ha raccontato i suoi inizi incerti, la paura di guidare, l’impatto della malattia e il coraggio di ripartire in sella alla sua moto, da sola, con un viaggio fino in Galles. Adesso la strada continua: dalla rinascita alle nuove mete, passando per la Norvegia, il desiderio di portare la propria moto in Canada e un modo tutto suo di viaggiare e restituire.
“Sai – parte subito Greta – io col lavoro non ho molto tempo per viaggiare. Posso farlo solo durante le ferie, perché ho un lavoro normale. L’anno successivo sono voluta tornare in Norvegia, sempre da sola. C’ero già stata anni prima con il mio ex fidanzato, ma volevo tornarci. Un viaggio lungo, 11.000 km. Era un’altra prova, per vedere se riuscivo ad arrivare fino a lì. La Norvegia è una delle terre che amo di più. Le terre del Nord ormai non riesco a farne a meno. Anche quello è stato un test”.
“Mi ricordo – continua – che il primo giorno volevo tornare indietro. Ero partita, ma mi era presa malissimo. Stavo scrivendo a un amico: “Mi sa che torno indietro, non ce la faccio, ho paura”. Avevo avuto anche una piccola disavventura con la moto, con le sospensioni. Poi le ho regolate ed è andata meglio. E proprio mentre scrivevo che volevo tornare a casa, ero ferma in Germania, in uno di quei posti lungo l’autostrada, dove c’è solo il bagno, niente attorno. Si ferma un altro motociclista italiano. Mi fa il caffè. Alla fine facciamo un po’ di strada insieme. Per caso dormiamo nello stesso posto. Poi lui continua il suo giro, io vado verso nord. Quella sera, quell’incontro a caso, mi ha fatto proprio dimenticare che volevo tornare indietro. E da lì sono ripartita tranquilla. Me lo ricordo benissimo, quel momento”.
L’incontro con un altro viaggiatore!
“Sì, sì… proprio nel momento giusto. Quando ne hai bisogno, eh”.

Viaggiare per incontrare
Ecco, questa è proprio una di quelle cose che mi spingono a viaggiare da solo: l’incontro. Perché quando si viaggia in coppia, o con gli amici, si è rivolti all’interno del gruppo: all’amico, al fidanzato…
“Sì, siamo un po’ chiusi”.
Esatto. Chiusi verso l’esterno. Quando sei da solo, invece, non c’è scampo: sei pronto ad affrontare qualsiasi cosa. Ma soprattutto sei costretto… e quella è una costrizione che io amo.
“Ma non solo sei costretto, forse lo cerchi anche. Perché sei da solo e quindi ti viene naturale. Io sono una persona molto introversa, ci metto tanto a parlare con le persone. Ho una certa ansia sociale… ci metto tanto a trovare il mio posto, diciamo. Ma quando sono in viaggio da sola, cerco proprio le persone. E questa cosa mi ha cambiata, anche nella vita di tutti i giorni. Ora lo vedo: sono diversa. Adesso, magari, parlo anche con uno che incontro al supermercato… una cosa che prima non avrei mai fatto”.
Il viaggio cambia. In viaggio si cambia sempre, non c’è scampo. Ho vissuto tante piccole storie che difficilmente dimenticherò. Nel profondo sud dell’Argentina, in un luogo desolato, deserto, ho incontrato un ragazzo per strada con una catena rotta in mano. Pensavo fosse disperato, e invece aveva trovato un “amico” per strada che gli aveva promesso di portargliene una nuova da 200 km di distanza. Lui stava lì tranquillo, sul bordo della strada, fiducioso. Mi è sembrato fantastico.
“Mi fido di te”.

Un’altra volta, in Cile, a Cerro Sombrero – un miserando villaggio di minatori – in una baracca fatta di lamiera ho incontrato un nativo araucano. Aveva una specie di bar e vendeva alcol e poche altre cose ai minatori. Siamo stati a chiacchierare due o tre ore. Senza motivo. Non so nemmeno perché… ma stavo bene con quella persona incontrata da cinque minuti, all’altro capo del mondo. Questo è il viaggio.
“Lo capisco bene. Sì, lo capisco bene”.
Torniamo a te. Dici di non essere estroversa, però io ho trovato in rete una tua foto vestita da Grinch… e un’altra da Pippi Calzelunghe! Quindi non sei estroversa, però ti sei buttata! La maschera?
“Le fa mia mamma, che è sarta. A me piace questa cosa di prendere le parti di altri personaggi”.
Quindi la maschera ti ha aiutato? Ti metti la maschera e diventi un’altra persona?
“Esatto. Sì, sì. È un po’ come quando metto il casco: mi trasformo”.
Ti trasformi in Greta Supertramp. Negli ultimi viaggi ho visto che hai usato una telecamera 360, se non sbaglio. Forse anche un drone?
“Sì, sì. Però non li uso tanto”.

Perché?
“Il drone non lo uso tanto… non c’è molto feeling tra di noi, ecco. Sempre per la solita ansia: ho paura di perderlo. Allora lo uso poco”.
Può succedere! Io sono fissato con la tecnologia… Infatti volevo chiederti: quanto tempo dedichi alla preparazione dei contenuti per i social? Io, se voglio ottenere anche solo un piccolo risultato, devo dedicarci tanto tempo. E a volte, mentre viaggio, mi dimentico. Magari il posto è troppo bello… e poi mi dico: “Ma proprio nel momento clou non hai acceso la telecamera, cretino!” Tu che rapporto hai con i media e con tutto il lavoro dietro? Ti pesa? Lo fai con tranquillità?
“Ti dirò, non ci perdo troppo tempo con le riprese. Non mi interessa fare il video perfetto da YouTube, ne ho fatti alcuni giusto per raccontare la mia avventura… Anche per sensibilizzare, sai, era il mese dedicato alla prevenzione dei tumori, ci tenevo. Ma non è che mi metto lì a impazzire per i video. Ho la mia telecamera piazzata nel punto giusto: se qualcosa mi interessa, schiaccio e via. Non è un lavoro. Lo faccio solo quando sento che voglio condividere qualcosa di bello. Non è la priorità del viaggio, ecco”.
Senti, raccontami un’altra cosa, anche per chi sogna di viaggiare: io ho un rapporto particolare con il cibo di strada, provo sempre tutto. Tu come ti comporti quando sei in giro?
“Dipende da dove viaggi, secondo me. Per esempio, se vado al nord… lì non c’è una grande cultura culinaria. Spesso, anche per risparmiare, vado negli ostelli: lì c’è sempre la cucina e cucino io. A volte capita di conoscere altra gente. Una volta ho conosciuto una ragazza coreana: per lei la Norvegia era carissima, cucinava il suo cibo e io il mio. C’è stato uno scambio. Io facevo la pasta, lei uno strano bollito… ed è stato bello. Però quando sono stata in Scozia, ho dovuto provare per forza l’haggis. Quello con le frattaglie. Mi è piaciuto pure! Era anche buono”.

Grande!
“Cerco sempre di assaggiare qualcosa di tipico, sì. Certo, in certe zone non è che ci sia tutta ‘sta varietà. In Turchia invece: kebab tutti i giorni! Mi piace assaggiare il dolce tipico, ma quando posso cucino. Dove merita, vado a provare. Tra poco andrò in Tunisia, e non vedo l’ora di scoprire cosa c’è da mangiare”.
Per me il cibo è un mezzo per avvicinarmi alla gente. Magari ti offrono una cosa strana… o qualcosa che sembra normale ma non lo è. In Laos, per esempio, mangiavo questo brodino chiamato phở bò. Era una zuppa vegetale con un po’ di carne. Poi, vedendo i banchi, con i cani arrosto… pensavo: “Ma oggi ho mangiato phở bau o phở miao?” Chissà che carne c’era dentro.
“A volte è meglio non sapere. Meglio davvero non sapere”.
Io, comunque, non saprò mai cosa ho mangiato.
“Esatto. Se è buono e non ti fa male… va bene così”.
Ti capita di tornare apposta in posti dove sei già stata?
“Sì. Per esempio, quando sono tornata in Norvegia, volevo proprio ripassare negli stessi posti, per vedere che effetto mi facevano dopo tanti anni, e dopo tutto quello che mi era successo. C’ero già stata con il mio ex. Volevo tornarci da sola, per capire che effetto mi avrebbe fatto. Ma dopo due o tre giorni che facevo le stesse strade, mi sono rotta le palle.
E allora ho cambiato programma, ed è stato bellissimo. Oppure mi piace l’idea di andare da sola in un posto nuovo, e poi – se mi piace tanto – tornarci con gli amici. Prima da sola, poi in compagnia. Mi piace”.

A me è successo in Patagonia. La prima volta c’ero stato da solo, e pensavo di non tornarci. Poi un amico mi ha chiesto: “Mi ci porti?” E ho detto sì, senza esitazione. Ho cambiato un po’ il giro per trovare stimoli nuovi, ma l’ho rifatto volentieri. A volte, però, capita anche il contrario. Di recente ho rifatto la strada da Beni a Jomsom, verso l’Annapurna, poi verso l’Upper Mustang. La prima volta, sei anni fa, era una vera avventura: torrenti, guadi, piccoli monasteri… gente semplicissima. Ora: hotel, strade asfaltate. Mi sono sentito tradito. Certo, non è che possono fermare lo sviluppo per me…
“Anche a me è successa una cosa simile, in piccolo. Anni fa avevo fatto un trekking in montagna. C’era un rifugio piccolo, tipo una casetta da fieno. Bellissimo. Ci sono tornata dopo tre anni: avevano costruito un mega rifugio d’acciaio, pieno di gente. Mi è dispiaciuto. Ero contenta di averlo visto prima. Era una coccola, nel mezzo della montagna. Adesso… è orribile. Ma questo è anche quello che porta il turismo”.
Eh sì. Dici che non è giusto… e io ti capisco. A me distrugge i ricordi. Però capisci anche che la gente ha bisogno di vivere. È difficile insegnare il rispetto dei luoghi. E alla fine… chi sei tu per dirglielo. La gente si fa più furba, e in posti dove non spendevi nulla, ora ci torni e spendi cifre assurde. Ma torniamo a te. Mi fai chiacchierare, ma io voglio sapere di te. La moto ti pone in mezzo alla strada, non ti scherma: acqua, vento, sole, caldo, freddo. Poi arrivi e…
“Certo. E poi quando arrivi sana e salva… c’è la doccia calda, un posto per dormire… allora basta. Hai tutto”.

E col mezzo meccanico, invece? La paura che si rompa qualcosa? Di forare? Come la gestisci?
“Allora, ti dico: nel primo viaggio che ho fatto in Galles avevo ancora le camere d’aria.
La moto era nuova, e all’inizio non ha senso cambiarle. Ma ogni giorno vedevo macchine forate per strada. Io avevo una paura… ogni volta che parcheggiavo la moto per fare un’escursione, tornavo con il terrore di trovarla con la gomma a terra. Quindi, appena tornata a casa, sono passata subito alle tubeless. Almeno così, se prendo un chiodo, bene o male so ripararla. Quella è l’unica cosa che so fare, sulla moto. Per il resto, io sulla moto non so fare niente. Vado allo sbaraglio… e in qualche modo si sistemerà. Non mi pongo neanche il problema: se comincio a pensarci troppo, poi non parto più”.
Bene! Mi sembra un buon atteggiamento. Lo faccio anche io.
“Ovviamente, mi faccio l’assicurazione. Quella semestrale di Europe Assistance… e via!”
Sogni lunghi, tempo corto
Se ho capito bene, hai un lavoro e quindi puoi viaggiare solo durante le ferie, come tutti i comuni mortali. Anch’io lavoro, e invidio quelli che fanno viaggi di mesi… vorrei tanto farli anche io. Ma dimmi: se potessi partire per un viaggio lungo – diciamo tre o quattro mesi – dove andresti? A Oriente, Occidente, Nord o Sud?
“Allora… ho un po’ di sogni, in realtà. Prima di stare male, volevo partire per il Kazakistan. Tanti viaggiatori – e un po’ mi fanno arrabbiare – dicono che il Kazakistan lo attraversano in fretta, perché vanno in altri Paesi. Lo saltano, lo trovano noioso. Ma secondo me non è vero. Io avevo trovato un sacco di posti interessanti: per esempio, il deserto del Mangystau… una cosa pazzesca, sembra quasi l’Arizona. Volevo andarci e poi tornare. Ce l’ho ancora lì, nel cassetto. Poi mi ricordo che, quando facevo le terapie, mi ero fatta una promessa – che ancora non ho mantenuto. Mi ero detta che, quando sarei stata bene, avrei spedito la moto in Canada. Volevo vedere le cascate del Niagara, farmi una foto nello stesso posto dove, tanti anni fa, mia nonna aveva scattato una foto. Lei era andata in Canada perché dei nostri parenti si erano trasferiti là durante la guerra. Io ci sono molto legata, anche se non c’è più da tanto”.
“Volevo partire da lì – continua Greta -, da dove era stata mia nonna. Attraversare tutto il Canada, fare escursioni nei parchi – adoro camminare in montagna. Volevo vedere il parco di Banff, lo Yukon… Mi piacciono un sacco le storie dei cercatori d’oro. E ovviamente, entrare in Alaska. Sarebbe un grande sogno. Però… ci vuole tempo”.

Tempo… e anche denaro. Io spesso rinuncio a spedire la mia moto e ne noleggio una in loco. È il modo più semplice, soprattutto se hai solo un mese o quindici giorni.
“Sì, ma per questo viaggio servirebbe più tempo. Al lavoro posso avere due settimane, e piangendo riesco a strappare la terza. Ma neanche con tre settimane, nemmeno con una moto a noleggio, riesci a farlo come si deve”.
Una buona parte si può fare in due settimane, senza rinunciare a troppo. Ti do qualche dritta: vai ad Anchorage, lì c’è un ottimo noleggio moto. Da lì sali a Talkeetna, poi al Denali State Park, fai tutta la Top of the World Highway, ti fermi al Chicken Gold Camp, attraversi il confine a Little Gold, ti butti nello Yukon, lo attraversi con quel traghettino da sei-otto macchine… e arrivi a Dawson City, che sembra il Far West. Poi scendi lungo la South Klondike Highway, passi per Carcross e giù fino a Skagway. Il ritorno su Anchorage te lo organizzi da sola, ma ti assicuro: già così è un viaggio indimenticabile.
“Però… il sogno è portare la mia moto”.
Eh… no, quella no.
“Sarebbe proprio il massimo. Poi bisogna anche accontentarsi, insomma”.

Devi considerare che, se spedisci la moto, rimane via mesi. E intanto tu resti senza… A me questa cosa mi blocca.
“Beh, io non ho grandi responsabilità economiche. Sto ancora a casa dei miei, non ho figli, non ho una famiglia da mantenere. Quindi i soldi li spendo tutti per viaggiare. Il problema, per tutti, è sempre lo stesso: il tempo”.
Per me il tempo è tutto. Viaggio da peones, come dico io: non mi interessa l’alloggio, cerco gli incontri e i luoghi. Quando qualcuno torna e mi dice solo “l’hotel era fantastico”, capisco che facciamo viaggi diversi.
“Sì, sono d’accordo: fare più strada, o più viaggi deve essere l’obbiettivo”.
Io sono cresciuto con Kerouac. Con i suoi libri… anche se qualcuno con la Beat Generation ci si è rovinato. Trovo ancora ispirazione in certe frasi. Tipo: “Non c’era nessun posto dove andare se non ovunque. Quindi continua ad andare, rotolando sotto le stelle”. Bello da sentire. Difficile – forse impossibile – da realizzare. Ma noi eravamo sognatori.
“Beh, anche adesso, sui social, ti dicono: “Molla tutto! Se ci credi ce la fai”.
In realtà, tanti che sembrano in viaggio, stanno lavorando – e non lo dicono”.
Io ringrazio il mio lavoro. Mi ha permesso di viaggiare, anche se ora lo faccio più intensamente, in questa fase della vita in cui sono… vecchiarello. Ma ho amici che sono viaggiatori seri, che hanno rinunciato a molto. Soprattutto alle relazioni. Un viaggio di qualche mese cambia poco. Ma se lo fai per anni, e magari lo ripeti, poi torni… e il mondo non è lì ad aspettarti. È cambiato.

Le parole che restano
“Sì… anche io ho notato che in viaggio fai esperienze che ti cambiano. Anche se non vai lontano. E poi, a volte, è difficile raccontarle. Non trovi la giusta lunghezza d’onda. Non ti capisci. A volte rimani lì, imbarazzata, a parlare delle solite cose superficiali. Dipende dalle persone… Non ho solo amici viaggiatori. Ma con alcuni, a volte, proprio non riesci a comunicare. Forse sei tu che sei cambiata. E loro sono rimasti dove li avevi lasciati”.
Sì, è proprio questo. Sai, quando ti dicono: “Ma dove vai? Ma non hai paura?”
Come se il mondo fosse pericoloso solo perché è lontano. Ma le città che visito, i luoghi… hanno gli stessi problemi delle nostre città. Non è che diventano più pericolosi solo perché sono altrove.
“Io, infatti, evito le città a prescindere. A me piacciono i villaggi, i paesini piccoli. Piuttosto che le città, soprattutto se viaggio in moto: mi viene l’ansia che me la rubino, quindi le evito proprio. Se proprio devo visitare una città, magari ci vado in aereo per un weekend… ma era una cosa che facevo una volta. Ora non mi piace neanche più tanto, sinceramente”.
Nell’ultimo viaggio ho fatto una di quelle cose che faccio solo quando sono da solo. Non ti immaginare chissà cosa: ho preso la metro all’alba a Los Angeles, volevo guardare le facce di chi non ha scelto le highway a dieci corsie. Per ricordarmi quanto sono fortunato. Lo faccio ogni tanto: per non dimenticare. A te capita?
“Sinceramente… io evito le folle. Proprio non mi piace stare in mezzo alla gente.
Preferisco stare nella natura. Se incontro qualcuno, magari un viandante, ci parlo volentieri… ma il caos non fa per me”.

Ognuno ha le sue sensibilità. Non fraintendermi: anch’io amo tantissimo la natura. Nell’ultimo viaggio sono andato a fare… le coccole alle balene! Ero in Messico, nella baia di San Ignacio, un santuario delle balene. Vivi in un villaggio ecologico: baracche di compensato, servizi al minimo, acqua a secchi, luce a fasce orarie… Ma poi un biologo ti accompagna a vedere questi cetacei meravigliosi. Si avvicinano fino a farsi toccare. Le madri partoriscono lì, e restano per tre mesi a crescere i piccoli prima del lungo viaggio di ritorno. Li spingono verso le barche – piccoli gusci di pochi metri che scompaiono accanto a loro. Un’esperienza indimenticabile. E alla fine ti chiedi: com’è possibile cacciare animali così gentili?Ti voglio fare ora un’ultima domanda, perché non voglio rubarti altro tempo. Sei stata fantastica a concedermi questa intervista, e nel permettermi – attraverso di essa – di promuovere il progetto umanitario che c’è dietro Karma on the Road. Ma so che anche tu ti muovi con le forze che hai per aiutare chi ha vissuto esperienze simili alla tua. Me ne vuoi parlare?
“Durante la malattia ho conosciuto tante persone che avevano avuto la mia stessa diagnosi.
Era bello confrontarsi. Spesso mi chiedevano: “Ma tu sei stata così? Perché io…”, oppure dicevano: “Ho sentito che un’altra ha avuto questo…” Io rispondevo sempre: “Ogni persona reagisce a modo suo. Ognuno è diverso”. Io sostengo l’AIL – l’Associazione Italiana contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma. Quando vado in viaggio, spesso faccio piccole raccolte fondi. E ogni tanto do una mano, tipo quando ci sono i banchetti per le uova di cioccolato dell’AIL. Adesso sto organizzando anche una lotteria: chi fa una donazione, partecipa e può vincere dei premi. Ho cercato di fare una cosa più carina. Diciamo che non è solo una donazione: c’è anche un piccolo ritorno, qualcosa che avvicina più persone”.
È bellissimo. Un impegno costante verso gli altri. Guarda, io vedo tutti quei tuoi capelli rossi… ti vedo splendida. E penso a quello che hai passato.
“Vabbè, sono anche ricresciuti! Sono cresciuti tantissimo!”
Chissà che angoscia durante la malattia… Ma ora sei tornata. Sei di nuovo il Grinch! L’ho visto nel filmato. Allora, grazie infinite. Anche se più che un’intervista è stata una… una specie di flusso di pensieri.
“Sì, dai. E poi io non sono nemmeno una che parla tanto… quindi, direi: super!”
L’intervista finisce, ma la sensazione è che Greta stia appena iniziando a raccontarsi davvero. Il suo modo di parlare è semplice, diretto, senza pose. La sua forza non è nella retorica, ma nella coerenza di chi ha scelto di non nascondersi.
A un certo punto, parlando del cambiamento che la malattia e i viaggi hanno portato nella sua vita, dice: “Forse sei tu che sei cambiata. E loro sono rimasti dove li avevi lasciati.”
È una frase che resta dentro. Forse è proprio questo il viaggio: riconoscersi in una nuova dimensione e, senza rinnegare nulla, imparare a restarci. Grazie, Greta. Buona strada.
Il viaggio continua: nelle prossime settimane, nuovi motociclisti, nuove rotte e lo stesso desiderio di libertà.
“Queste interviste, e quelle che seguiranno, sostengono i progetti solidali di ‘Karma on the Road’ – un impegno a lungo termine – realizzato con il supporto di SienaPost e Moto Travel Summit, per diffondere storie di solidarietà e passione motociclistica.”

Contatti mail: luca@gentiliblog.it. Rubrica su Siena Post: https://sienapost.it/sezione/rubriche/andataeritorno/ Blog personale: https://gentiliblog.it/ Contatti MTS https://www.travellersummit.it/ – travellersummit@gmail.com ONLUS : https://www.karmaontheroad.org/
(2 – fine)