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mercoledì, Aprile 2, 2025

Da Vonn a Siddharta: l’arte perduta di tornare a vivere

Elogio di chi cerca: “Per la maggior parte dei gabbiani non è volare che conta, ma mangiare. Per quel gabbiano, però, non era importante il cibo, ma il volo”

Caro direttore, si ricorda che qualche tempo fa le scrissi un paio di righe su Lindsey Vonn, la sciatrice statunitense con una novantina di vittorie in Coppa del Mondo?

Bene. Come certo ricorderà, è tornata alle gare dopo — mi pare — oltre 2700 giorni di assenza, con un ginocchio in titanio e, dettaglio non da poco, a 40 anni suonati.

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E’ un po’ come a Siena, dove c’è addirittura chi torna in pista (si fa per dire) dopo 4732 giorni. Con una differenza sostanziale: dopo aver fatto, come certificato, nulla e per fare nulla. Non è proprio la stessa cosa, diciamolo.

La riflessione su Vonn me l’ha innescata il suo secondo posto nel Super-G a Sun Valley, le lacrime per quel risultato e — forse — anche il fatto che mi trovo in montagna. Sono sempre stato un habitué, un habitué dell’altrove, ma adesso ancora di più, anche perché con il volo diretto da Ampugnano al piccolo aeroporto dietro casa mia, si figuri, a 1900 metri di quota, è stato un attimo. Siamo fortunati, a Siena, a essere così ben collegati: quello stanziamento poi da 1.850.000 euro su Ampugnano è stata una manna dal cielo. Hanno tappato le buche sulla pista e, finalmente, c’è di nuovo carta igienica nei bagni, i bagni in un secondo momento.

Paolo Benini

Ma torniamo a Lindsey Vonn — e al concetto di ritorno. Perché, diciamolo, il ritorno non è roba per tutti. È una cosa da eletti, da spiriti inquieti. I più, con la copertina sulle ginocchia, il popcorn in mano e la Coca-Cola a portata di gomito, davanti alla tv, non possono capire. Guardano, commentano, giudicano.

E infatti molti — gli immancabili haters — han detto che è tornata per soldi. Che bisogno aveva, a quarant’anni, con quel ginocchio che sembra uscito da un’officina meccanica, di rischiare di nuovo tutto? Anche l’immagine forse.

E invece no. Vonn è tornata per una cosa che ai più sfugge: le sensazioni, le emozioni, l’immergersi. Quel brivido che arriva solo quando sfidi te stessa, quando ti rimetti in gioco per il gusto di sentire il vento in faccia — e non metaforicamente. In questo, nel mio piccolo, mi ci ritrovo anch’io. Non c’è podio, né medaglia, ma c’è quella stessa ricerca testarda di qualcosa che abbia senso. Lei, sciando come sa fare. Io, sciando un po’ peggio di lei, interrogando luoghi, gesti, ritorni, parole. È sempre una gara, solo che cambia il tracciato.

E allora uno si chiede: che cos’è, in fondo, un ritorno? È un movimento, certo. Ma non all’indietro. È un ritorno alla verità, a ciò che conta davvero. È un atto filosofico. Ogni ritorno autentico è anche un interrogarsi, un “andare nei boschi” per trovare la saggezza, come faceva Thoreau, ma anche un accettare l’eterno tornare di Nietzsche. Vivere con l’idea che ogni scelta vada vissuta come se fosse per sempre.

E mentre tutto scorre e un attimo non sarà più quello precedente — “come il fiume”, direbbe Hesse — capisci che tornare non è mai tornare al punto di partenza, ma è riconoscere qualcosa che eri già stato, e che avevi dimenticato.

Thoreau cercava essenzialità, Nietzsche responsabilità, Hesse armonia. E in fondo parlavano tutti della stessa cosa: del coraggio di tornare alla vita, non solo di sopravvivere

Ed è qui che mi permetto, sommessamente, un invito. Ai signori delle coperte, dei commenti facili e dei like di rimbalzo. A quelli che vivono in seconda battuta, che si beano dei ritorni altrui come se fossero serie tv. A quelli che “brava la Vonn”, “coraggiosa eh”, ma poi continuano a vivere su un divano con lo stesso entusiasmo di una pianta da interno e sono tantissimi purtroppo.

Non serve essere Lindsey Vonn. Non serve avere un ginocchio di titanio, né un podio, né uno stadio che applaude. Serve un piccolo gesto: uscire, camminare, scrivere, cercare. Basta poco per affacciarsi alla vita — davvero — invece di guardarla da dietro uno schermo, convinti di viverla.

E allora, cari amici delle coperte, affacciatevi. Almeno un poco. Non siate solo spettatori di ritorni altrui: fate il vostro. Magari goffo, magari piccolo, magari silenzioso. Ma vostro.

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