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martedì, Febbraio 11, 2025

Douglas Tompkins: l’uomo che cambiò il destino della Patagonia

Acquistò un territorio grande come mezza Toscana e lo regalò allo Stato dopo averlo rinaturalizzato

Oggi per #andataeritorno vi parlerò di un uomo che ha cambiato per sempre il destino della Patagonia. Spesso immaginiamo questa terra come un luogo selvaggio e remoto, intatto e incontaminato, dove la natura regna sovrana. Ma la realtà è molto diversa: l’uomo ha lasciato un’impronta profonda, talvolta devastante, altre volte rigeneratrice.

Questa è la storia di Douglas Tompkins, un visionario che ha dedicato la sua vita a proteggere la Patagonia e a riparare le ferite inflitte dall’uomo. Non un’impresa facile, ma una delle più straordinarie del nostro tempo…

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Un giorno, alcuni anni fa, mentre mi preparavo a partire per la Patagonia, scrissi: “Ho messo in bella evidenza, sullo schermo del mio telefono, un countdown. Oggi segna -2. È tutto pronto: ho tracciato la strada, seimila chilometri di Patagonia tra Cile e Argentina. Io e un caro amico. Non sarà un viaggio come gli altri. Questa è la terra dove è nata la leggenda della Città dei Cesari, il popolo della città perduta. Antonio Pigafetta racconta che gli uomini Tehuelche erano talmente alti che lui e i suoi compagni gli arrivavano solo alla cintura”.

“Questa è la terra – scrivevo – che ha ispirato Antoine de Saint-Exupéry: qui nasce Il Piccolo Principe, in volo, trasportando posta su un fragile Laté 25, tra lande desolate spazzate dal vento. È qui che cresce l’albero alerce, capace di vivere 4.000 anni, dal legno così duro che i primi coloni lo usavano come moneta. Storie e leggende di un Paese dove Puerto de Hambre, il Porto della Fame, giace nella regione chiamata Ultima Esperanza“.

La Caletta Tourtel

Questo era il luogo verso cui mi preparavo ad andare, forse incantato da ciò che Louis Sepúlveda aveva scritto nel suo Patagonia Express. Ma non vi narrerò nulla di tutto questo, almeno non oggi. Oggi vi racconterò una storia moderna, quella di un uomo straordinario dei nostri tempi.

La Patagonia cilena prima degli anni ’70

Per comprendere questa storia, dobbiamo capire cosa fosse la Patagonia, in particolare quella cilena, fino agli anni ’70: una delle aree più isolate al mondo. Le comunità locali, fatte di pastori, pescatori e piccoli agricoltori, vivevano in condizioni di estrema autosufficienza. Le persone allevavano pecore e bovini, praticavano una pesca modesta e l’agricoltura era limitata dal clima rigido. Per commerciare, era necessario attraversare le Ande, scambiando lana e pesce secco con beni di prima necessità.

Il Lago Elizalde

Il mare era l’unico mezzo di trasporto, ma era imprevedibile e lento. Durante l’inverno, molte comunità rimanevano isolate per mesi. La densità di popolazione era di soli 0,5 abitanti per km²: ipoteticamente per incontrare qualcuno significava camminare per almeno 1,4 km, senza contare le immense aree completamente disabitate.

La mancanza di infrastrutture rendeva la terraferma quasi inaccessibile: villaggi come Caleta Tourtel o Puerto Bertrand guardavano al mare come unica via di comunicazione, mentre l’entroterra rimaneva un mondo selvaggio e inospitale. Fu proprio questa condizione di isolamento, unita alla necessità di consolidare la sovranità su territori contesi, che spinse il governo cileno a intraprendere un’impresa monumentale: la costruzione della Carretera Austral.

La costruzione della Carretera Austral

Nel 1976, Augusto Pinochet avviò la costruzione della Carretera Austral per rafforzare la sovranità su questi territori e contrastare le rivendicazioni argentine. Fu un’opera titanica, realizzata dall’esercito cileno in condizioni proibitive: piogge incessanti, foreste fitte, ghiacciai e rilievi scoscesi.

Parco Pumalin

Ripensando alla mia esperienza su questa strada, ho provato sulla pelle quanto possa essere difficile attraversarla. Il ripio, una ghiaia spessa e instabile, rendeva la guida delle moto una sfida continua. Le auto galleggiavano con le gomme larghe, mentre noi, con le due ruote, affondavamo come barche alla deriva. Non si poteva rallentare: l’unico modo per avanzare era mantenere una buona velocità, ma ogni metro portava con sé il rischio di cadere, inghiottiti dai profondi solchi lasciati dai camion.

Poi arrivammo a La Junta, nel cuore della foresta pluviale. Qui cadono 5.000 mm di pioggia all’anno — cinque metri d’acqua, roba da uomini rana! Pensare che soldati e ingegneri abbiano costruito una strada in queste condizioni mi ha fatto apprezzare ancora di più la loro fatica: ogni metro conquistato fu una lotta contro la natura, in un territorio che sembra fatto apposta per respingere l’uomo. Ancora oggi ci sono sezioni sterrate e ponti temporanei.

La Cordigliera in Patagonia

La strada facilitò l’accesso alla regione, ma accelerò anche lo sfruttamento intensivo della Patagonia. Pecore e bovini trasformarono le foreste in pascoli; i puma e i guanachi furono quasi sterminati perché considerati una minaccia. Gli alerci, alberi millenari, furono abbattuti per costruire scandole di legno, mentre il disboscamento favorì l’introduzione di specie aliene come pini ed eucalipti, che impoverirono la biodiversità.

Il Cerro Castillo

L’arrivo di Douglas Tompkins

In questa terra ferita arrivò Douglas Tompkins, imprenditore americano noto per aver fondato The North Face ed Esprit. Negli anni ’90, lasciò il mondo degli affari per dedicarsi completamente alla conservazione ambientale, una decisione che segnò una svolta radicale nella sua vita.

Tompkins, amante della natura fin da giovane, aveva trascorso anni esplorando montagne, fiumi e foreste in diverse parti del mondo. Ma con il successo delle sue aziende, iniziò a sentirsi sempre più a disagio nel vedere l’impatto devastante del consumismo e dell’industria della moda sul pianeta. Fu proprio questa disillusione che lo spinse a vendere la sua quota di Esprit nel 1989, abbandonando una carriera di successo per seguire un ideale più grande.

Chaitèn in Patagonia

La Patagonia rappresentava per lui una delle ultime frontiere incontaminate. Spinto dalla visione di preservare questa terra unica, iniziò ad acquistare vasti appezzamenti di terreno con l’obiettivo di proteggerli dal degrado e ripristinare gli ecosistemi originali. Insieme a sua moglie, Kristine McDivitt, acquistarono oltre 890.000 ettari (8.900 km²) tra Cile e Argentina, trasformando queste terre in una delle più grandi operazioni di conservazione privata della storia.

In moto sulla Cordigliera

In questi luoghi, devastati dal pascolo intensivo e dall’introduzione di specie invasive, i Tompkins intrapresero un’opera di rinaturalizzazione senza precedenti: eliminarono i fili spinati, estirparono pini ed eucalipti introdotti e lasciarono che la natura guarisse. Col tempo, la fauna tornò a ripopolare la regione: guanachi, puma e altre specie un tempo scacciate dagli allevatori ripresero possesso del loro habitat.

Nonostante il loro lavoro fosse guidato da ideali nobili, i Tompkins furono spesso osteggiati. Furono accusati di minare la sovranità dello Stato — dopotutto, un privato possedeva una superficie pari a mezza Toscana. La Chiesa locale, che aveva avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle comunità della Patagonia, li considerava una minaccia per l’economia pastorale. Gli allevatori, dal canto loro, li accusarono di sottrarre lavoro ai braccianti e di impedire l’uso delle terre per il pascolo.

Ma Douglas e Kristine non si lasciarono scoraggiare. Continuarono a collaborare con i governi, coinvolsero le comunità locali nei loro progetti e dimostrarono che la conservazione poteva essere una risorsa, non una minaccia.

La Carretera Austral

Una volta completata l’opera di rinaturalizzazione, i Tompkins decisero di donare le terre al governo cileno, a patto che venissero trasformate in parchi nazionali per garantire una protezione legale permanente. Questo portò alla nascita della Ruta de los Parques de la Patagonia, un corridoio di 17 parchi nazionali che si estende per 2.800 km, più del doppio della lunghezza dell’Italia. Analogamente, in Argentina, contribuirono alla creazione del Parque Iberá, un progetto di ripristino ambientale che riportò alla vita le zone umide e permise la reintroduzione di specie estinte.

Ventisquero Colguante ossia Il Ghiacciaio Sospeso

Douglas Tompkins morì tragicamente nel 2015, durante un’escursione in kayak sul lago del Parque Pumalín, il parco che più lo rappresentava. La sua morte fu improvvisa, ma il suo sogno vive ancora in queste terre, come un’eredità per il pianeta e per le generazioni future.

Il mio viaggio in Patagonia

“Era la seconda volta che percorrevo questa terra straordinaria. La prima mi ero spinto fino al lago General Carrera, esplorando le sue rive, ma senza potermi soffermare a lungo: proseguii verso Ushuaia, fino a baciare il Polo Sud. Fu un viaggio intenso, ma mi lasciò con la sensazione di non aver compreso appieno la straordinarietà dell’ecosistema che avevo attraversato. Così decisi di tornare, per vivere la Patagonia cilena con maggiore calma e percorrere tutta la Carretera Austral fino alla sua fine, a Villa O’Higgins, dove la strada muore tra ghiacciai e laghi. Per oltre mille chilometri, non si esce mai dai parchi che Tompkins ha contribuito a creare.

Fine della Carretera Austral al Lago O’Higgins

Se un giorno vorrete perdervi in un mondo fantastico, questa è una parte dell’itinerario da sogno che ho seguito:

• Hornopirén – Caleta Gonzalo: attraverso il Parque Nacional Hornopirén e il Parque Pumalín Douglas Tompkins.

• Chaitén – Puyuhuapi: fino al Parque Nacional Queulat, con il suo ghiacciaio sospeso.

• Coyhaique – Cerro Castillo: tra montagne spettacolari.

• Cochrane – Villa O’Higgins: nel cuore del Parque Nacional Patagonia e delle sue terre selvagge.

Ogni tappa è stata una scoperta, un’immersione nella maestosità della natura che Tompkins ha lottato per proteggere. La Patagonia non è solo un luogo. È un viaggio dentro l’essenza del nostro pianeta, un promemoria di quanto la natura sia resiliente e di quanto possiamo fare per proteggerla. Se mai deciderete di perdervi in queste terre, troverete non solo paesaggi mozzafiato, ma anche un pezzetto del sogno di Douglas Tompkins, che continua a vivere. E Buon viaggio, perché questo è uno dei viaggi della vita!

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